Chi ha paura del femminismo?
“Nel periodo in cui stavamo tutti scrivendo di pornografia a un dollaro a pagina, mi accorsi che per secoli avevamo avuto solo un modello per questo genere letterario: quello maschile. […] Le donne, mi pareva, erano più portate a fondere il sesso con l’emozione, con l’amore, e a scegliere un uomo piuttosto che a stare con molti” (Anaïs Nin, Il delta di Venere, Bompiani, 2017)
Il femminismo è un movimento portato avanti attivamente dagli individui che desiderano promuoverlo. Allo stesso tempo, si tratta di un processo che è diretta espressione dell’epoca in cui si sviluppa. Per queste sue caratteristiche intrinseche esistono quindi almeno due differenti dimensioni entro cui leggere il femminismo: per questo è così difficile guardarlo attraverso una lente unica. Non esiste, in realtà, una categoria univoca in cui inserire comportamenti e ideologie femministi, perché questi sono soggetti agli stessi mutamenti costanti a cui è sottoposta una società e i suoi individui.
L’estratto sopra riportato appartiene alla prefazione di Il delta di Venere, raccolta di racconti erotici scritti nel 1941, ma pubblicati solo nel 1977, dalla scrittrice cosmopolita Anaïs Nin. Il brano potrà sembrare a qualche lettore una manifestazione di femminismo, poiché propone l’idea secondo la quale l’espressione della sessualità femminile debba trovare uno spazio di rappresentazione a sé stante, separato da quello maschile in virtù delle differenti aspettative che le donne e gli uomini nutrono riguardo al sesso. Nin per la sua epoca costituì effettivamente un esempio di emancipazione femminile grazie alla libertà con cui espresse i suoi costumi attraverso la letteratura erotica e autobiografica. Tuttavia, se quegli stessi racconti fossero stati scritti oggi, verrebbero recepiti nello stesso modo?
Il moto del femminismo è continuo, assume sfumature anche sensibilmente diverse a seconda del contesto culturale in cui si sviluppa e, come per il fiume che non scorre mai identico sul corpo di Eraclito, anche il femminismo non è mai lo stesso nel passaggio da un’epoca all’altra, da un contesto sociale all’altro, da un Paese all’altro.
Per identificare i diversi cambiamenti del femminismo nel corso del tempo è stato coniato il termine wave: le ondate del femminismo rappresentano i momenti di cambiamento più intenso del movimento.
Il femminismo delle suffragette rappresenta quella che, retrospettivamente, è stata definita come prima ondata del femminismo, il momento in cui le donne hanno iniziato a reclamare maggiori diritti politici. Per la natura di queste richieste, a aderire al movimento furono soprattutto le donne istruite, di conseguenza socialmente e economicamente benestanti, delle classi borghesi. Lo scopo della loro lotta era ottenere il suffragio femminile, quindi non una vera parificazione di diritti e riconoscimento sociale tra uomo e donna. Poiché le stesse donne dell’Ottocento non credevano a questa uguaglianza né avevano alcun interesse a promuoverla.
A questa prima ondata fece seguito una seconda, successiva ai conflitti mondiali, durante la quale le donne chiesero un maggiore riconoscimento sociale, pur continuando a reclamare, anzi rivendicando, una naturale distinzione tra uomini e donne. La terza ondata si è conclusa alle porte degli anni duemila, con l’opposizione tra uomo e donna e l’uso di icone mediatiche e di slogan che incitavano al girl power. Durante questo periodo, le donne non si sono rivolte più agli uomini con la richiesta di esercitare un diritto o un riconoscimento sociale, ma hanno manifestato attivamente per ottenerlo.
Anche se la rigida divisione in momenti cronologici definiti dalle ondate può apparire schematica e arbitraria, risulta utile per tracciare l’evoluzione nel tempo delle correnti più importanti del femminismo e aiuta a comprendere che esso non è un’ideologia, poiché non reca in sé elementi definitivi e immutabili di interpretazione storica e sociale.
Oggi ci troviamo nella quarta ondata del femminismo, peculiare perché si sviluppa nel pieno dell’era di internet favorendo il confronto culturale al di fuori dai confini dell’Europa e del Nord America, significativo in questo senso è il ruolo che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie si è ritagliata come icona globale del femminismo grazie al discorso pronunciato nel 2012 in occasione della TEDxEuston Conference, una conferenza annuale dedicata alla cultura africana. Il discorso, diventato poi virale, è stato poi trasposto in un libro, un piccolo prontuario sulla parità di genere e sul perché Dovremmo essere tutti femministi. A partire dalla quarta ondata, quella attualmente in atto, donne e uomini sono entrambi riconosciuti come vittime di una società patriarcale, e iniziano a essere comprese nel discorso le minoranze e le persone trans. I sessi non sono più solo due, e non è più fondamentale separare le esperienze tra i generi, come fece invece Nin ha fatto riguardo al sesso negli anni ’70. Ma non è così per tutti i femministi.
Il femminismo non è dogmatico e continuano a esistere diversi tipi di correnti più o meno radicali. La prima differenza in seno al femminismo dei giorni nostri è quella tra le femministe intersezionali, rappresentate in Italia da Nonunadimeno, e le radicali escludenti o TERF trans-exclusionary radical feminist, femministe radicali trans escludenti. La prima è considerata la corrente maggioritaria, riconosce le donne trans come donne a tutti gli effetti e accetta qualsiasi persona nel dialogo verso la parità, a prescindere da sesso, genere e orientamento sessuale. È chiaro come non possa esistere una visione univoca di cosa sia il femminismo; a stessa Adichie è stata accusata, a seguito di un’intervista, in cui sosteneva che le esperienze delle donne trans non potessero essere assimilabili a quelle delle altre donne, di essere una TERF. In un’accusa simile, e in molte altre, sarebbe incappata anche Nin se avesse pubblicato oggi i suoi racconti.
Tra gli anni Quaranta e Settanta la liberazione sessuale e il femminismo erano strettamente legati. Ma il tipo di liberazione sessuale espressa da Nin attraverso la produzione di libri erotici sarebbe oggi considerata espressione del femminismo? Probabilmente no, in virtù del suo modo di intendere le relazioni tra i sessi, strettamente binario e codificato. Nonostante Nin avesse avuto relazioni con entrambi i sessi, nei suoi racconti è predominante la retorica di comportamenti stereotipati, tanto da riproporre all’interno di in una coppia composta da due uomini la ripetizione dei ruoli di genere, come si evince nel racconto Elena:
“Quando Miguel era presente, il corpo di Donald si ammorbidiva, i fianchi incominciavano a ondeggiare, il suo viso diveniva quello di un’attrice, della vamp che riceve fiori sbattendo le ciglia.”
Se Nin fosse stata una millenial oggi non sarebbe considerata femminista. Tuttavia, per la permeabilità temporale propria del movimento non le si fa una colpa per essere stata espressione del suo tempo, anzi si guarda a lei perché l’emancipazione passa anche per l’accettazione della libertà sessuale femminile, diritto che Nin ha conquistato anche grazie alla sua opera.
Le donne non separano il sesso dal sentimento. Gli uomini ricercano esclusivamente l’appagamento dei sensi. In ogni relazione c’è chi ricopre il ruolo maschile e quello femminile. Sono cliché vivi nei racconti di Nin, e ancora presenti nella cultura odierna, difficilissimi da decostruire perché la nostra società si basa sulla binarietà e differenziazione dei ruoli di genere. E’ complesso rompere lo steccato che tiene separati, nell’immaginario condiviso, il maschile dal femminile perché solo negli ultimi anni abbiamo accettato che questa fosse una possibilità, qualcosa di praticabile. Questa volontà di abbattere i recinti di genere è una caratteristica del femminismo contemporaneo, totalmente estraneo a Nin. Perciò, nonostante le sue posizioni risultino molto più conservatrici e lontane dalla parità, la scrittrice statunitense (ma nata in Francia) viene giudicata con minore severità rispetto a Adichie.
I fenomeni vanno osservati all’interno della loro epoca e del contesto in cui nascono: giudicare il femminismo come un movimento che esclude coloro che non sono donne è arcaico. In altre parole, essere femministi significa lottare contro il maschilismo, non contro gli uomini.
Il maschilismo vuole che l’uomo sia corrispondente alla stereotipo del macho. Chiunque non si trovi allineato a questo modello, non viene considerato uomo. In questo senso il femminismo rappresenta l’opposto del maschilismo: non vuole sostituirsi a esso ma distruggere le definizioni statiche di maschile e femminile e con essi i luoghi comuni radicati nella società contemporanea. Molti uomini che subiscono violenze da parte di altri uomini, o addirittura di donne, vengono ridicolizzati perché non si riconosce la violenza quale strumento finalizzato a un estremo esercizio del potere patriarcale. Vittima di questo potere non è solo il soggetto fisicamente più debole, ma quello posto in una situazione di subalternità, tendenzialmente le donne, in quanto storicamente considerate inferiori all’uomo, ma potenzialmente chiunque a prescindere dal sesso.
Adichie, parlando del caso di stupro ai danni di una ragazza, ricorda che la cultura in cui viviamo, anche nel caso in cui condanni la violenza, tende a colpevolizzare la vittima:
“La reazione di molti suoi coetanei è stata più o meno questa: sì lo stupro è sbagliato, ma cosa ci faceva una ragazza in una stanza da sola con quattro ragazzi? […] è stato insegnato a ritenere la donna colpevole per sua stessa natura. E ad aspettarsi così poco dagli uomini che vedere l’uomo come una creatura selvaggia e priva di autocontrollo è tutto sommato accettabile”.
Resta difficile per molte persone definirsi femministe, poiché il termine si è caricato di tutti i risvolti negativi e le controversie proprie di un concetto tanto duttile. Il femminismo è un termine che per assonanza richiama agli -ismi politici del Novecento e all’estremismo. Ma alcuni uomini sono semplicemente spaventati dalla possibilità di perdere il ruolo di potere che il patriarcato ha riservato loro.
Ma tu, uomo o donna che leggi, credi nell’uguaglianza sociale, politica e economica tra i sessi? Se è così, perché hai paura di chiamarti femminista?