You, me and the apocalypse, ovvero nella Catastrofe c’è posto per tutti
Senza inoltrarsi nell’archeologia televisiva, dove abbondano perle che meritano di essere riscoperte, la “Signorina Cormon” dedica una sezione al recupero di meteore dal ciclo vitale limitato, quanto brillante. Queste serie dal taglio spesso ironico (come abbiamo avuto modo di vedere), non durano più di una stagione, lasciando l’amaro in bocca quando vengono interrotte in un ciclo più o meno compiuto in sé, per deluderci ancora di più quando l’arco narrativo è solo cominciato e l’intreccio va finalmente delineandosi.
Le piramidi egizie, Roswell e la pettinatura di Trump non sono gli unici enigmi che lasceranno inappagati i nostri interrogativi. Salvo l’intercessione di un miracolo produttivo, non conosceremo mai nemmeno l’esito della missione dei raccogliticci sopravvissuti di You, me and the apocalypse.
Il titolo del serial angloamericano del 2015, coprodotto da Sky1 e dalla NBC, si presenta ai telespettatori con una citazione biblica che non promette niente di buono (The apocalypse), anticipata da un più scanzonato You and me che sembra ridimensionarne la portata, presentando la nemesi dei testi sacri come il terzo membro di una comitiva di amici.
Tema sfruttato, sensibile allo spirito dei tempi, la rappresentazione della Fine del Mondo ha sempre assunto sfumature diverse a secondo del contesto storico di provenienza. Dal millenarismo di origine giudaica, al diffuso timore degli anni ’80 dell’approssimarsi di una guerra atomica (vedi The day after di Nicholas Meyer), fino ai più recenti esempi hollywoodiani diretti da Roland Emmerich con i suoi polpettoni conditi di panico e computer graphic animation, lo spettacolo è ritornato sul quesito che non smette di inquietare l’uomo da sempre: quanto durerà tutto questo?
Poco conta se a raderci al suolo debba essere un enorme asteroide oppure una pandemia o una guerra. La presa di coscienza che ci aspetta è dura e indigesta: siamo bruscolini sperduti in una scala immensa, quella di un universo sordo, incomprensibile, che non sa che cosa farsene di noi.
Il tessuto stesso della realtà si disgrega sotto l’effetto della minaccia di turno, la società civile è la prima vittima di questa passata di spugna e, nel caos che precede lo spegnimento del nostro pianeta, le micro-storie di una manciata di sopravvissuti condensano in sé tutti i picchi di nobiltà e grettezza della specie che sta per essere eliminata.
Dramma, escatologia e urgenza sono gli ingredienti base delle storie ambientate alla Fine del Mondo, un topos letterario che diventa un palcoscenico spesso abbastanza soverchiante da schiacciare i suoi attori-profughi in cerca di salvezza. In queste realtà alternative, orfane di regole e cornici sociali, la ricerca di protezione resta un motivo ricorrente trovando nelle Forze Armate l’unica struttura umana in grado di affrontare l’inaffrontabile.
Il cliché non manca di trovare un suo ruolo nel serial ideato da Iain Hollands, solo che questa volta viene preceduto con ironia e acume da un’altra potente organizzazione, tradizionalmente più qualificata per muoversi in un contesto apocalittico, cioè la Chiesa. Attraverso il personaggio di padre Jude, uno strepitoso Rob Lowe tutto tonaca, sigarette e cinismo, incontriamo una delle figure più interessanti dello show, lo sboccato avvocato del diavolo incaricato di far luce sul proliferare di falsi profeti che stanno spuntando in ogni parte del pianeta, nei 34 giorni che precedono l’impatto fatale col meteorite. A fargli da assistente, lo accompagna una suora dall’aspetto di modella e dalla vocazione vacillante, Gaia Scodellaro, incantevole pure nei panni castigati di Suor Céline, mentre l’asse portante della narrazione corale spetta alla stralunata bravura di Mathew Baynton, impegnato nel doppio ruolo del bancario Jamie Winton e della sua antitesi, il gemello terrorista Ariel Conroy, personalità opposte che Baynton tratteggia a tutto tondo in uno scontro lasciato in sospeso dalla chiusura della prima stagione, .
La caratterizzazione dei personaggi, tendente al grottesco ma in fin dei conti realistica, si sposa al sapore da fumetto delle situazioni e all’assurdità delle vicende personali – a loro modo tutte piccole apocalissi. Come la carcerazione della casalinga Rhonda (Jenna Fisher), che finisce in una prigione del New Mexico per coprire un reato di hackeraggio commesso dal figlio Spike, o ricerca della propria identità di Jamie, nevrotico e compulsivo, che si scopre figlio abbandonato da una madre folle e profetica. Nonostante il difficile amalgama di temi, stili e psicologie, l’atmosfera demistificante della messa in scena riesce nel miracolo di coniugare credibilità e leggerezza, confezionando un ossimoro ben rappresentato dalla sigla d’apertura, le immagini minacciose dell’asteroide in arrivo accompagnate da una canzone solare e simbolica come “I can see clearly now” di Jimmy Cliff.
La struttura presa in prestito dalle soap-opera, intrecciando le genealogie dei personaggi, ribaltandone i ruoli e collegandoli tra loro muove le proprie pedine in fuga per una civiltà impazzita che solo l’illusione di una salvezza impossibile, millantata dai notiziari televisivi, trattiene dalla barbarie più totale.
Il gioco al massacro dei massimi sistemi, Stato, Religione, Famiglia procede nel dipanarsi del racconto attraverso le tragicomiche avventure dei suoi interpreti. Tutta l’azione orbita intorno alla cittadina britannica di Slough, dove in un bunker di massima sicurezza troveranno asilo solo una parte delle figure principali, malconce e cambiate, apparendo in una passerella che di puntata in puntata scopre un po’ alla volta le identità allo spettatore. L’angosciato Jamie (o forse è suo fratello travestito), ha il testimone del Grande Quesito e, con questo fardello sulle spalle, siede sull’orlo di un divano ad aspettare davanti a una maratona televisiva e la fine delle trasmissioni – e di conseguenza dell’umanità intera.
Non sarà l’Armageddon, ma un ferale annuncio di Sky 1 nel marzo del 2016 a decretare la fine del serial al quale non sarebbe mai succeduta un’altra stagione. A distanza di tempo i rumours che parlavano di una ripresa del telefilm si sono spenti man mano. Il pubblico di questa intrigante commedia dovrà accontentarsi del valore scaramantico della sospensione. Per chiudere bottega in senso più ampio, ci auguriamo, che non ci sia troppa urgenza.