Edipo senza complesso e la storia di un desiderio mancato – Prima parte
di Marco Antonio D’Aiutolo
Chi è Edipo? Qual è la sua “vera” storia? È la storia di un destino inevitabile, dal quale non si può fuggire? È la storia di un uomo che uccide il padre e si unisce sessualmente alla madre?
Che quella di Edipo sia la storia di un desiderio mancato è un’idea dello psicanalista francese Jacques Lacan. Il suo pensiero è stato egregiamente descritto e arricchito dalla filosofa slovena Alenka Zuprančič. In che senso vada inteso questo desiderio mancato, però, sarà sviluppato nell’articolo successivo, seconda parte di questo contributo.
Prima, è necessario chiarire perché Edipo sia senza complesso. La prima parte del mio titolo prende spunto da quello usato da Eva Cantarella, nel sesto paragrafo del capitolo Edipo che assassinò il padre e sposò la madre. Tebe, città maledetta, tratto dal suo libro, L’amore è un dio. Il sesso e la polis. Ed è evidente il chiaro riferimento alla teoria di Sigmund Freud del complesso di Edipo. Va precisato che la teoria freudiana, descritta nell’Interpretazione dei sogni (Freud, 1900), ha offerto alla psicanalisi notevoli intuizioni sulla psiche umana e sui disturbi della personalità. Si può, tuttavia, mostrare come essa sia frutto di un’interpretazione quanto meno riduttiva o non completa del mito di Edipo, il personaggio più conosciuto, ma anche più controverso dell’opera di Sofocle: Edipo re, in primis e il successivo Edipo a Colono.
Del complesso di Edipo ne è stato fatto fatto cenno in un precedente articolo (I fratelli Cuccoli e l’amare in carne: narcisismo o non-definibilità dell’uomo?). Ne riporto alcuni passaggi rilevanti. Freud sostiene che, nella cosiddetta fase edipica, il bambino desidera inconsciamente avere rapporti sessuali con il genitore di sesso opposto e uccidere quello dello stesso sesso, perché rivale. Ovviamente, per quanto siano brutali e orripilanti, questi desideri-impulsi appartengono alla sfera dell’inconscio. Il termine stesso richiama a quella parte della psiche che è posta al di sotto del livello di consapevolezza. Pertanto non si pone il “problema” morale in sé del desiderio di incesto o parricidio/matricidio.
Ad ogni modo, nello sviluppo di crescita “normale” del bambino, il desiderio si risolve nel seguente modo: l’impulso “omicida” viene superato attraverso l’identificazione con la figura genitoriale rivale, mentre quello incestuoso con un transfert del desiderio sessuale su un partner esterno alla relazione genitore-figlio. L’eventuale riaffiorare di questi desideri-impulsi (sessuale e di odio e violenza) in età adulta sarebbe causa di stati patologici, che la psicanalisi dovrebbe curare mediante un percorso di ricerca nei meandri della psiche, simile a quello seguito da Edipo alla ricerca della verità. Ma da dove sorge questa interpretazione? Il racconto di Sofocle descrive Edipo che uccide il re di Tebe, Laio, per una banale lite, e ne prende il posto sia come reggente e sia sposandone la moglie, Giocasta. La vita a Tebe si svolge serena, finché Edipo non scopre che lo sconosciuto re ucciso per mano sua era suo padre e la donna da lui sposata e con la quale ha avuto quattro figli è, invece, sua madre. Va da sé che questo mito susciti l’interesse della psicanalisi e dia vita al complesso di Edipo. Tuttavia bisogna chiedersi come si sia potuta verificare la tragica sorte di Edipo. Perché egli ignorava che quei due estranei erano i suoi genitori? E, inoltre, è effettivamente colpevole di parricidio e incesto?
Il destino di Edipo va ben oltre la sua personale situazione e si inscrive in un destino più ampio, in quello di Tebe, “la città maledetta”, come l’ha definita Cantarella. Infatti, osserva quest’ultima, all’origine dei mali di questa città “sta un evento verificatosi nel Peloponneso, alla corte di Pelope.” Qui troviamo Laio, figlio di Labdaco e discendente di Cadmo, fondatore di Tebe. Laio, per fuggire a una faida familiare, chiede ospitalità a Pelope e gode della totale fiducia di quest’ultimo. “Fiducia mal riposta”, scrive Cantarella, visto che Laio si innamora “perdutamente del giovane e bellissimo Crisippo, figlio del re”, abusa di lui e lo conduce con sé a Tebe, dove fa ritorno per rivendicare il suo diritto al trono. Crisippo si uccide per la vergogna e Pelope scaglia una maledizione su Laio: egli sarebbe morto per mano di suo figlio. Ma i guai non sono finiti. La dea Era, protettrice del matrimonio, si indigna con i tebani perché non avevano punito Laio. Manda a Tebe la Sfinge, orribile mostro con il corpo leonino e la testa di donna che pone agli abitanti della città complicatissimi enigmi, divorando i malcapitati che non sanno rispondere. Intanto, Laio, riconquistato il potere a Tebe, sposa Giocasta, con la quale riesce a non procreare. Finché, una notte, concepisce un figlio. “Non si sa bene come, scrive Cantarella, (forse aveva ecceduto nel bere, forse era stato preso da incontrollabile passione, particolarmente pericolosa in un mondo in cui gli anticoncezionali non erano molto efficaci)”. Ovviamente Laio cerca di fuggire al proprio destino e ordina a un servitore di abbandonare il neonato sui monti. Prima però gli perfora le caviglie con un ferro: di qui il nome Edipo, “piede gonfio”.
Il servo però si impietosisce e affida il bambino a dei pastori che lo portano a Corinto. Lo consegnano al re Polibo da cui viene adottato e dove cresce e raggiunge la maggiore età. Un giorno un compagno di giochi lo chiama “bastardo”, allora Edipo lascia la reggia per interrogare l’oracolo di Delfi, che gli fa una predizione: ucciderà il padre e sposerà la madre. Ed è qui che il suo particolare destino, che è poi la sua condanna, si (re-)intreccia e (re-)innesta in quel destino/maledizione più ampio e più grande di lui. Edipo, infatti, è sconvolto, riprende il cammino e giunge a un crocevia in cui convergono tre strade, una delle quali porta a Tebe. In quel momento arriva anche un altro carro. E, guarda caso, è proprio il carro di Laio. Per una banale lite su chi deve passare per prima, ci scappa il morto. Anzi i morti. Edipo uccide sia l’araldo di Laio che quest’ultimo. “La maledizione di Pelope e la prima parte dell’oracolo si sono avverate”, osserva Cantarella. Ironia della sorte, aggiungerei, dato che non solo entrambi ignorano che ciò sia accaduto, ma accade proprio mentre cercano di sfuggire a maledizione e predizione (oracolo): determinano o creano così le condizioni per la realizzazione delle stesse.
A questo punto, Edipo si dirige verso Tebe dove si realizzerà appunto (inconsapevolmente) la seconda parte dell’oracolo. Prima però deve affrontare la Sfinge e risolvere l’enigma che nessuno ha mai saputo sciogliere: “Qual è l’essere che cammina a volte a due gambe, a volte a tre, a volte a quattro, e, contrariamente alla legge generale, è più debole quando ha più gambe?”. La risposta di Edipo è immediata: “L’uomo!”. Infatti, se da bambino gattona (quattro) e da vecchio si sorregge su un bastone (tre), da adulto sta sulle sue gambe (due). La Sfinge, sconfitta, si suicida, o meglio evapora e i tebani, finalmente liberati, accolgono Edipo come trionfatore. In segno di riconoscenza gli danno in moglie la vedova di Laio e lo proclamano loro re. “Anche la seconda parte dell’oracolo si è avverata”. (Cantarella). E così, a quanto pare, le stesse condizioni del complesso di Edipo.
Ma non è effettivamente così. Cantarella osserva che “la storia di Edipo raccontata da Sofocle non è l’unica che la mitologia greca ha tramandato, e non è quella originale.” E fa riferimento a Omero, in cui “Giocasta (chiamata Epicaste) si uccide”. Inoltre, per la versione di Sofocle, una volta scoperto ciò che ha fatto, Edipo si acceca e va in esilio a Colono. In Omero, “egli continua a vivere e muore nella sua città, rimanendo il re”. Quindi “in Omero, come è stato scritto, troviamo ‘un Edipo senza complesso’: per lui l’incesto non è un tabù. Del resto, la Teogonia di Esiodo è piena di incesti, che non sembrano creare alcun problema.”
Probabilmente ciò dipende dal fatto che, come osserva Cantarella in un altro contributo, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, nell’età omerica troviamo “una situazione in cui le regole, di tipo consuetudinario, erano assai più fluide”, essendo in una fase ancora pre-cittadina. Mentre l’incesto viene aggiunto da Sofocle, con indiscutibile efficacia come materiale tragico, per i motivi descritti sempre da Cantarella in L’amore è un dio. Nel capitolo precedente a quello su Edipo, parlando della narrazione mitica di Eschilo, l’autrice ricorda che è solo a partire dal 621-620 a. C. (quindi prima di Sofocle) che vengono istituiti i primi tribunali cittadini. “Da quel momento l’ottica cittadina sostituisce l’ottica familiare, l’uso della forza privata è vietata e la pacifica convivenza dei cittadini è affidata al rispetto delle leggi”.
A ogni modo, conclude Cantarella: “L’interpretazione freudiana, basata esclusivamente sull’Edipo sofocleo, non tiene conto della complessità dei miti, e può portare fuori strada chi cerca di capire quello dello sfortunato re di Tebe”. Ma se ciò è vero, è altrettanto vero che già in Sofocle è possibile cogliere un Edipo senza complesso e precisamente nella sua prova di innocenza: la consapevolezza dello “sfortunato re di Tebe” che si può cogliere solo se si va a fondo all’idea lacaniana – su indicata – del “desiderio mancato”, di cui si parlerà nell’articolo successivo.