“Il giovane Karl Marx” di Raoul Peck: il potere rivoluzionario delle idee
I filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi;
ma il punto ora non è di interpretare il mondo, ma di cambiarlo.
Karl Marx, Tesi su Feuerbach
Europa 1844–1848. In Germania viene fortemente repressa un’opposizione intellettuale in pieno fermento. In Francia gli operai del Faubourg Saint-Antoine si sono messi in marcia. Anche in Inghilterra il popolo è sceso in strada, la rivoluzione qui è industriale. A 26 anni Karl Marx porta la sua donna sulla strada dell’esilio. Arriva a Parigi dove incontra Friedrich Engels, figlio di un grande industriale, che ha studiato le condizioni di lavoro del proletariato inglese. Questi due figli di buona famiglia, brillanti, insolenti e divertenti riusciranno a creare un movimento rivoluzionario unitario e a forgiare gli strumenti teorici propri a emancipare, oltre i confini europei, i popoli oppressi di tutto il mondo [sinossi].
Uno spettro si aggira al cinema in questi giorni. Il passaggio, mutuato naturalmente dall’incipit del Manifesto del Partito Comunista, pubblicato 170 anni fa, risulta fin troppo facile così come in maniera troppo semplice il pensiero di Marx rischia oggi di finire nell’oblio, tacciato da più parti di essere inattuale, superato, sconfitto dalla Storia. L’impressione invece è che, nel momento cruciale che stiamo vivendo, in cui la Sinistra è in grande crisi in tutta Europa, rimpiazzata da partiti, movimenti e organismi politici che si dichiarano fieramente post-ideologici, un’opera come Il giovane Karl Marx, presentato con successo Fuori Concorso alla Berlinale dello scorso anno, sia di estrema importanza. Ma procediamo con ordine.
Il film di Raoul Peck è innanzitutto la vicenda dell’amicizia di due giovani appassionati, diversi per carattere ed estrazione sociale, due uomini non ancora trentenni che denunciarono senza mezzi termini le contraddizioni del capitalismo incipiente, il lavoro minorile e la diseguaglianza sociale, facendo propria la battaglia per una più equa redistribuzione della ricchezza. Ben lungi dall’essere datata, purtroppo, a quasi due secoli di distanza, la riflessione marxiana ed engelsiana mostra tutta la sua attualità, in un’epoca in cui le strutture profonde del capitale e dell’ineguaglianza non sono mutate, come mostra la tendenza tutt’ora imperante di misurare il benessere sulla crescita economica e non sulle condizioni che generano tale crescita.
Tornando al film, Il giovane Karl Marx non nasconde la sua natura di opera didattica, dichiaratamente militante (tra i produttori anche il cineasta francese Robert Guédiguain, socialista di vecchia data) che, nella descrizione degli anni cruciali nella formazione del grande filosofo tedesco, rasenta l’agiografia e mette la sordina a qualsiasi elemento che possa stridere con l’immagine dell’autore de Il Capitale. D’altronde, l’haitiano Peck è autore di opere che hanno raccontato la realtà politica del suo Paese, a partire dai due film, uno di carattere documentario e l’altro di finzione, da lui dedicate alla grande figura di Patrice Lumumba (Lumumba – La mort d’un prophète e Lumumba, rispettivamente del 1991 e 2000), ed ha realizzato un paio di anni fa il documentario candidato all’Oscar I Am Not Your Negro, opera testamentaria sulla figura di James Baldwin e sulla descrizione dell’annosa questione razziale. Attraverso un’accurata ricostruzione d’epoca e avvalendosi dell’ottimo contributo attoriale di August Diehl (nel ruolo di Marx), Vicky Krieps, vista di recente ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, Stefan Konarske (Engels) e un sorprendente Olivier Gourmet nel ruolo dell’anarchico Pierre-Joseph Proudhon, Peck confeziona un film potente e appassionato, nel quale non mancano persino momenti esilaranti e, per quanto un po’ ingabbiato in una struttura quasi teatrale con il dominio degli interni e una verbosità forse eccessiva, riesce a restituire con precisione il fermento storico che animò quegli anni cruciali (i ’40 dell’800) e ad attualizzare il discorso politico, facendosi anche memento per i comunisti smarriti del mondo globalizzato, ormai impossibilitati a identificare una rappresentanza politica capace di farsi portatrice di talune irrinunciabili istanze.
Perché la rivoluzione non è certamente un pranzo di gala ma il “post-tutto” in cui siamo oggi avvolti sembra aver abdicato all’idea che essa continui a restare una necessità.
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