Cannes 2018, in Concorso “Dogman” di Matteo Garrone, storia del delitto più efferato di Roma
E’ ormai partito il rush finale del 71° Concorso di Cannes (mentre scriviamo, mancano ancora quattro dei ventuno film in lizza per la Palma d’oro), ed oggi è stato presentato alla stampa Dogman, il nuovo atteso film di Matteo Garrone, che esce in contemporanea nelle sale italiane ed ha ricevuto, qui alla Croisette, un’ottima accoglienza, un successo cui va aggiunta la designazione come “Film della Critica” da parte del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiahni. Dogman è la storia del delitto del Canaro della Magliana, un assassinio commesso trent’anni fa, che fece scalpore sulle cronache nazionali per l’efferatezza mostrata dal suo esecutore, Pietro De Negri, che uccise l’ex-pugile Giancarlo Ricci, come vendetta per le vessazioni subite. Garrone ha raccontato questa storia molto liberamente, ambientandola in una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte. I nomi dei due protagonisti della vicenda sono stati cambiati rispettivamente in Marcello e Simoncino, e i genitori del ragazzo ucciso hanno protestato con decisione nei confronti della ricostruzione degli eventi fornita dal film. Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Alida, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, a causa del quale finirà addirittura in carcere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.
Dopo gli ambiziosi tentativi di Reality e Il racconto dei racconti, Matteo Garrone torna alle origini del suo cinema, riprendendo in mano un progetto sul quale aveva cominciato a lavorare dodici anni fa e che, per l’ambientazione e il particolare rapporto che unisce i personaggi, richiama le atmosfere de L’imbalsamatore, il film che contribuì a lanciare il regista romano a livello internazionale e con il quale prese parte alla “Quinzaine des Réalisateurs” al Festival di Cannes nel 2002. Garrone è un autore che ha spesso esplorato mondi chiusi o marginali, personaggi condannati dalla società o dalla propria natura ad abitare territori liminari, luoghi dai confini ben tracciati e invalicabili. Nell’esordio Terra di mezzo venivano raccontate le vite quotidiane di alcuni migranti, mentre in Ospiti a vivere esistenze borderline erano anche due italiani, un giovane fotografo ed un pensionato sardo con moglie psichicamente instabile. Primo amore e Reality, vincitore del Gran Premio della giuria proprio qui a Cannes nel 2012, ruotavano invece intorno a due personaggi dominati e rovinati dalla loro personalità monomaniaca: l’orafo Vittorio era ossessionato dalla magrezza del corpo femminile sino a costringere l’amante Sonia ad una dieta radicale che la spingerà verso l’anoressia, mentre il pescivendolo napoletano Luciano maturava un’insana, e a lungo andare paranoica, passione per entrare nella casa del Grande Fratello.
Nelle parole del regista, “Dogman è la storia di un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente”. Come ne L’imbalsamatore, il contesto è indissolubilmente legato alle vicende narrate e il film, scritto dal regista con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, ha il pregio di restituire con straordinaria precisione questa geografia squallida e decadente del litorale laziale (perfettamente speculare al Villaggio Coppola, location del film precedente), vera e propria riserva per reietti, tossici e piccoli delinquenti, mondo soffocante cui nulla serve l’affaccio sul mare. Se a Valerio e al suo mentore, il tassidermista Peppino Profeta, era garantita una via di fuga, per quanto effimera o ambigua, attraverso il viaggio o il sesso a pagamento, l’orizzonte dei personaggi di Dogman appare totalmente chiuso, e per Marcello gli unici momenti di riscatto dal grigiore esistenziale sono costituiti dalle immersioni subacquee con l’amata figlioletta: l’evasione è quindi possibile solo in un luogo sotterranneo e irraggiungibile, al riparo dallo sguardo altrui. Proprio il modo in cui è disegnato il rapporto con la piccola Alida è uno dei punti di forza del film, una delle numerose buone intuizionii di una sceneggiatura ben congegnata,soprattutto nella prima parte.
Con grande sintesi icastica, gli abitanti del quartiere sono mostrati più volte alle prese con una partita di calcetto ma la competizione che oppone le due squadre si svolge all’interno di un campetto recintato, chiuso da reti, perfetta mise en abyme dell’universo concentrazionario dove viene relegata questa umanità vittima del degrado. Marcello e Simoncino (interpretati da Marcello Fonte e Edoardo Pesce, entrambi molto bravi), sono immersi in una situazione bestiale, costretti in un destino di pura sopravvivenza, dove la soppressione dell’altro, vagheggiata come strumento di salvezza e di riscatto, finisce per risolversi soltanto nell’ennesimo scacco quando, ad attendere il protagonista che pensa di avere eliminato il male dal mondo, resta soltanto la solitudine più immedicabile e la consapevolezza della sua ferocia. Gli sceneggiatori hanno scelto di mettere in sordina l’aspetto della cronaca (risparmiando allo spettatore i particolari più atroci del delitto) per dare risalto proprio al racconto di questa bruciante sconfitta esistenziale, che appare definitiva proprio dopo lo sfogo dei propri istinti più belluini. C’è da dire però che, per quanto si tratti di una scelta a conti fatti accorta e condivisibile, Dogman perde comunque qualche colpo proprio all’inizio della seconda parte, nella quale l’escalation degli eventi che prepara lo scontro finale appare un po’ troppo frettolosa, quasi che manchi una perfetta calibratura tra i due segmenti in cui è diviso il film: in un Concorso nel quale ci siamo talvolta lamentati di durate eccessivamente lunghe, questa volta l’idea è che una maggiore dilatazione ed una più accurata costruzione emotiva avrebbero forse giovato. Tuttavia, pur con questi difetti, Dogman resta uno dei più autorevoli candidati ad un buon piazzamento nel palmarès finale ed un’opera cui va tutto il nostro plauso.
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