“Giorni di guerra”: cameratismo omoerotico e pansessualità nell’opera di Comisso
di Marco Antonio D’Aiutolo
“Me ne andavo nell’ora meridiana verso il Natisone arso e ghiaioso, ma dove vi era un’acqua piacevolissima, a cui venivano tanti soldati. Alcuni correvano ignudi per i prati inseguiti dall’allegro abbaiare dei cani, altri pure stavano inginocchiati lungo le rive, intenti a lavare panni o camminavano in mezzo alle acque… Altri si sentivano ridere mentre si spogliavano dietro una siepe e poi ne uscivano imbizzarriti da estri d’amore… Un’allegria infantile aveva preso quegli uomini, come se, toltisi il vestito militare, si fossero ritrovati ragazzi.”
Nel riprendere l’itinerario sulla letteratura omosessuale del Novecento italiano, mi è parso opportuno dedicare la mia attenzione a Giorni di guerra di Giovanni Comisso. Come ormai noto, prendo spunto dalla ricostruzione analitica di Francesco Gnerre che, nel suo L’eroe negato, si sofferma non solo sugli aspetti omosessuali e omoerotici, ma anche sulla “pansessualità” nella produzione letteraria dello scrittore trevigiano. Il rapporto con questi aspetti è vissuto dall’autore in modo genuino, quasi ingenuo. Giorni di guerra ne rappresenta un ottimo esempio.
In quest’opera del 1930, Comisso rievoca la sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Malgrado siano passati quindici anni, secondo lo studioso Giorgio Pullini il libro sembra essere “stato scritto ‘a caldo’, a guerra appena finita, tanto è completa la sua capacità di restituircene la giovanile freschezza”. E il passo citato in apertura rende piuttosto bene questa giovanile freschezza, oltre all’attrazione verso la nudità dei soldati propria di Comisso e verso la natura. È infatti possibile cogliere le modalità con cui molti intellettuali vissero l’esperienza della guerra: una “grande occasione – scrive Gnerre – di una vita avventurosa, l’evasione dall’ambiente piccolo-borghese della famiglia e del chiuso mondo provinciale”. Pochi, o del tutto assenti sono però i riferimenti ai grandi entusiasmi verso gli ideali politici e nazionali o, al contrario quelli che opponevano un rifiuto alla violenza della guerra.
Comisso è un ufficiale assegnato a una divisione dell’Alto Isonzo, a contatto con la natura rigogliosa delle montagne e con i giovani soldati. Si ha – scrive – “la sensazione di essere in villeggiatura, anche quando, dopo Caporetto, l’esercito italiano è in rotta e i soldati si ritirano rubando o requisendo, con l’avallo degli ufficiali, galline o altro ai contadini dei paesi montani”. L’attenzione quindi non è per la morte e per l’orrore della guerra, ma per la vita dei suoi soldati, fatta di esultanza giovanile e di un immergersi nella varietà della natura: boschi di castagni, colli ricchi di frutteti, strade fresche. “La pienezza della stagione si vedeva dalle belle fronde degli alberi”, si legge nel romanzo. “Si guardava e si provava immenso piacere a muoversi”. “Ci si arrampicava con tutto il nostro slancio e da sopra buttavamo giù ciocche di ciliegie al nostro ufficiale… Nessun colpo di cannone intorno, il sole ardente, il luogo deserto, quelle ciliegie straordinarie: eravamo beati”.
Questi passi ricordano molto la poesia e i romanzi inglesi del primo ‘900 che descrivono il rapporto della generazione del 1914 con la Grande Guerra. Per esempio, Rupert Brooke paragona il volontario a un nuotatore che si tuffa nella purezza per fuggire a un mondo ormai vecchio e stanco (quello moderno). “Questo tipo di fuga implicò anche un ritorno all’arcadia, alla natura incontaminata”, scrive G. Mosse in Sessualità e nazionalismo. Questo è vero in Comisso soprattutto quando egli descrive i bagni nel Natisone, in cui i soldati nudi si sentono come ragazzini; mentre, una volta costretti a rivestirsi e i loro corpi sono “chiusi nel vestito ingombrante”, ritornano a essere “lenti e mesti a ogni mossa, come fosse d’improvviso scomparso il sole che li inebriava”. “I soldati che si spogliano per fare il bagno – osserva Mark Thompson nel suo La guerra bianca. Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919 – sono ricorrenti nella poesia inglese della Grande guerra. Il sollievo dei soldati tocca gli ufficiali che vi assistono, talvolta con un’ombra di desiderio”. La stessa metafora del nuotatore di Brooke richiama questo tipo di poesia, “un’ode alla bellezza maschile e alla vulnerabilità naturale” (G. Mosse). In Germania, la poesia dei soldati al bagno fu metafora di purezza, in contrasto con la corruzione della società.
Tuttavia, Mosse chiarisce che “la guerra era un invito alla virilità” e quando la stessa “introdusse l’elemento erotico nella virilità e fece emergere l’amicizia maschile, diventò sempre più urgente eliminarlo”. Per cui Brooke o il poeta e romanziere tedesco Walter Flex, che fu anche eroe di guerra, cercano di vincere l’impulso erotico ripudiando l’amore in favore di un’amicizia senza lussuria. La stessa celebrazione del cameratismo (che risollevò a nuovi vertici l’antico ideale del Männerbund) fece rinascere la paura dell’erotismo maschile: gli atteggiamenti e le emozioni dell’amicizia maschile, tra soldati, “venivano considerati una reminiscenza effeminata e spiacevole di sentimenti omoerotici e anche omosessuali.”
In Comisso, invece, questa forma di cameratismo con i soldati è presente ed “è estremamente sensuale, c’è una tenerezza, una complicità e comportamenti che rendono il libro diverso da altri dello stesso genere” (Gnerre). Si tratta di situazioni palesemente omoerotiche, sebbene non dichiarate esplicitamente. “Mi svegliai fresco e meravigliato – si legge nel romanzo – in un grande letto tra i miei soldati che russavano col volto contro il cuscino. Non riuscivo a ricordare come fossi andato a letto. Essi dovevano avermi portato, tolto la giacca e le scarpe. Li destai posando una mano suoi loro capelli caldi”. In altre, c’è attenzione ai loro corpi, come ad esempio, dormendo in una stalla, Comisso si sveglia al mattino e contempla l’alba che illumina come un fiore, tra la camicia aperta, il loro petto bianchissimo.
Al di là di questi sottili riferimenti, il rimando o la citazione esplicita del sesso sono comunque sempre eterosessuali. Ma la donna appare solo un oggetto di piacere, e lo scrittore si sofferma sulla psicologia dei suoi giovani soldati piuttosto che sulla descrizione dei rapporti. Nel capitolo “La casa bianca di Cormons” viene descritta la visita al bordello, dove i soldati devono affrontare la “prova”, costretti a dimostrare la loro virilità con una donna: “Coraggio – dice uno di loro a un altro – che ne abbiamo passate di peggio, è sempre meglio fare questa scala così che stare in trincea”. Durante l’attesa in fila, l’espressione dello sguardo è implorante: per farsi coraggio i soldati si toccano tra di loro in forma di cameratismo, appunto, sensuale e un po’ osceno: diventano maneschi, si pizzicano, mettono la mano in mezzo alle gambe dell’altro dicendo: “Vediamo se l’hai ancora”. Ridono, si abbracciano, si divertono a scrivere suoi muri nome e cognome con i numeri di reggimento e compagnia, o a fare “grandi disegni osceni o informi figure di donne ignude”. A cose fatte, poi, quando escono dalla stanza, “parevano confusi come per aver compiuto qualcosa di proibito o qualcosa a cui non si sentivano destinati”. Nei passi citati, la grazia e la dolce timidezza di quei giovani sono colte in tutte le sfumature e in contrasto con la gretta fermezza della tenutaria del bordello (donna grassa e spavalda) quando chiede di pagare la marchetta. “Ella gli impose di pagare e allora dal suo portamonete [il soldato] trasse il denaro: ‘Ancora, ancora, svelto’, gli diceva la donna. ‘Non te l’hanno detto che si pagano tre lire?’. Il soldato stentava a trovare le monete, pareva che frammezzo vi tenesse medagliette di santi. La donna era impaziente. ‘Ma, sacramento, siete proprio bambini. Non sapete neanche contare’”.
L’ingenuità e l’incoscienza della giovinezza che, accomuna narratore e soldati, sono le stesse che essi mostrano nella partecipazione alla guerra, come si legge nell’ultima pagina: “Pareva avessero impegnata tutta la loro forza per fare all’amore o per una corsa accanita e sorridevano pesantemente come non sapessero essi stessi cosa avessero fatto e perché”.
Giorni di guerra mostra dunque in maniera manifesta alcuni aspetti della biografia e della sensibilità del suo autore, il suo rapporto con l’ingenuità e genuinità infantili connesse alla sensualità e ad una sessualità di tipo omosessuale. Gnerre ha sostenuto che “tutta la produzione di Comisso… è caratterizzata da un unico itinerario di sensualità, di istinti appagati, di curiosità mai deluse dove non c’è posto per sensi di colpa di nessuno genere”. Ma c’è di più: citando Goffredo Parise, che di Comisso è stato uno degli amici più cari, e il suo breve saggio dal titolo “La pansessualità di Comisso”, Gnerre ritiene che non si tratti solo di semplice omosessualità, bensì di una vera e propria “pansessualità”: “La sua sessualità stava in tutto, direi che (Comisso) era fondamentalmente omosessuale, ma il sesso ha infinite ramificazioni, è come una parabola, come un arco che va da un massimo di sesso maschile ad un massimo di sesso femminile”.