Dal tempio di Iside a Mozart. Nel rogo del Museo di Rio sono andati perduti pure gli affreschi pompeiani

Erano sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio, ma non sono sfuggiti alle fiamme del rogo che ha distrutto il Museo Nazionale di Rio de Janeiro. Alcuni affreschi provenienti dal tempio di Iside di Pompei non hanno trovato scampo nel grande incendio che ha cancellato uno tra i più importanti poli museali dell’America Latina.

Il tempio di Iside, che nel corso del tempo ha ispirato disegni, stampe e altri generi di riproduzioni, è una tra le più importanti e suggestive testimonianze presenti negli scavi archeologici di Pompei. La sua costruzione risale al II secolo a.C. Il tempio è stato poi ricostruito per volere di Numerio Popidio Ampliato, dopo un terremoto. Pare che i meriti della ricostruzione siano stati attribuiti da Numerio al figlio Celsino, di appena sei anni, per poterlo avviare presto alla carriera politica.

La costruzione, che nelle due nicchie laterali accoglieva le statue di Anubis e Harpokrates, divinità egizie legate al culto di Iside, è situata nella zona dei teatri, il cosiddetto “Quartiere dei teatri”, ed era originariamente ricca di numerose decorazioni. Pavimentazioni in mosaici, stucchi e affreschi, in un impianto che richiama molti dei segni della cultura egizia. Nelle raffigurazioni sono presenti anche soggetti della mitologia classica, come Venere, Marte, Andromeda, Argo e Perseo. Il tempio di Iside è anche caratterizzato dalla presenza dell’ekklesiastérion, luogo di concezione greca adibito a contenere un numero molto alto di persone. Dal greco ἐκκλησία (assemblea), l’ekklesiastérion era il luogo in cui si riunivano i cittadini greci con diritto di voto per approvare le leggi e i provvedimenti riguardanti la politica della pólis.

 

Il tempio suscitò un tale interesse in Mozart che il compositore austriaco ne trasse ispirazione per una tra le sue opere più celebri, Il flauto magico (un singspiel, “recita cantata”, su libretto di Emanuel Schikaneder ambientato in un immaginario antico Egitto) in cui all’inizio del secondo atto viene pronunciata un’invocazione a Iside, dea egizia della maternità, della fertilità e della magia, e a Osiride, uno dei nove membri dell’Enneade, affinché assistano Papageno e Tamino nelle prove che li attendono per poter liberare la giovane Pamina, rapita da Sarastro, il gran sacerdote del Regno della Saggezza. Liberazione grazie alla quale sarà anche rivelata l’origine del flauto magico, intagliato dal padre di Pamina (è lei stessa a svelarlo a Tamino), Gran Maestro di una Confraternita Solare, e in grado di produrre un suono benefico e protettivo durante le prove dei quattro elementi naturali e l’attraversamento dei sotterranei del tempio.

«Ci sono pure uccelli neri al mondo, perché dunque non anche uomini neri?» 

Il flauto magico di Mozart ancora oggi è al centro di complesse e dibattute speculazioni interpretative. Oltre ad aver affrontato trascorsi critici severi e controversi, segnati da non poche diffidenze (anche se è dal 1971, data della sua prima rappresentazione, che Il flauto magico conquisterà il pubblico) , il libretto del Die Zauberflöte conserva segni, significati, rimandi e ritorni di diversi generi letterari, con forti connotazioni rispetto all’affermazione del pensiero illuminista.

Molti dei reperti recuperati durante gli scavi effettuati tra il 1764 e il 1766 sono oggi custoditi presso il  Museo archeologico nazionale di Napoli. Gli affreschi pompeiani che invece erano presenti al Museo Nazionale di Rio de Janeiro raffiguravano due pavoni appollaiati su candelabri stilizzati, cavallucci marini, dei delfini e un drago, quest’ultimo proveniente proprio dal tempio di Iside. Secondo alcuni studi e alcune ricostruzioni, pare che durante la violenta eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei e ne seppellì una parte, alcuni sacerdoti del tempio di Iside tentarono di mettere in salvo alcuni oggetti di valore cercando di trasportarli in un sacco durante la fuga. Il sacco, però, si rovesciò, spargendo gli oggetti lungo il tragitto. I sacerdoti, raggiunto il foro più vicino (il foro triangolare), restarono comunque uccisi dal crollo di un porticato. Altri sacerdoti che invece avevano deciso di non abbandonare il tempio, probabilmente per fedeltà estrema alla divinità, morirono a causa delle esalazioni tossiche dei gas velenosi.

I reperti andati perduti nell’incendio che ha distrutto il museo di Rio, invece, non hanno avuto possibilità di fuga, né di soprannaturale protezione da parte di un flauto magico. Un drago finito nel fuoco (ne Il flauto magico il principe Tamino durante il primo atto viene inseguito proprio da un drago). Un simbolico paradosso, come è paradossale l’effetto che la devastazione può tradurre in conservazione o in smarrimento. L’eruzione del Vesuvio, nonostante la sua potenza distruttiva, fece sì che la città restasse non così dissimile dalla sua identità per secoli e secoli sottoterra. Quasi nascosta, in silenzio nel suo requie lunghissimo e buio, prima di rivedere la luce agli albori della modernità. Diversamente, un incendio, di ben minore forza rispetto a un’eruzione vulcanica, ha cancellato per sempre un patrimonio di incalcolabile valore. La natura, a volte, nella sua azione glaciale e inesorabile, colpisce ovunque, ma non nel ricordo.

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