Venezia 75 giorno 11, i premi: vince Cuarón e la sua storia semplice

Era il favorito della vigilia, quello che aveva messo d’accordo la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e che, si insinuava, poteva contare su una Giuria amica, capitanata dal connazionale e amico Guillermo Del Toro. Ma sarebbe ingiusto parlare di imparzialità: ROMA di Alfonso Cuarón (da scrivere in maiuscolo) è un film veramente molto bello, l’opera più personale dell’autore premio Oscar per Gravity. Ispirato a fatti autobiografici, ROMA ruota intorno ad una famiglia della media borghesia argentina e alla figura lieve e commovente della giovane domestica Cleo, nei confronti della quale il regista opera una sorta di pedinamento accompagnandola in una serie di vicende cruciali della sua esistenza. Tuttavia, siamo molto lontani dai toni e dalla poetica neorealisti: ROMA utilizza al meglio il mezzo cinematografico compiendo uno straordinario lavoro sull’immagine (il film è girato in uno splendido bianco e nero) e sul suono. La Giuria non si è lasciata intimorire dalle possibili critiche derivanti dal fatto che l’ottavo lungometraggio del regista messicano sia distribuito da Netflix e dovrebbe dunque arrivare a breve sulla celebre piattaforma streaming senza passare per la sala cinematografica, sebbene i boss di Netflix stiano pensando anche ad una sortita, per quanto breve, in quello che, per un film del genere, resta il luogo maggiormente deputato per la visione.

Se il premio a ROMA è senz’altro condivisibile (il preferito di chi scrive, lo splendido Killing di Shinya Tsukamoto, era opera troppo raffinata e sofisticata per mettere d’accordo i gusti di una Giuria ampia e composita), lasciano perplessi il Gran Premio a La Favorita di Yorgos Lanthimos, film in costume sulla fragile regina Anna Stuart, interpretata da Olivia Colman, cui è andata una meritata Coppa Volpi come migliore attrice, e soprattuto il Leone d’argento per la regia al modesto The Sisters Brothers di Jacques Audiard, storia di due fratelli cacciatori di taglie nel vecchio West, interpretati da Joaquin Phoenix e John C. Reilly. Grida vendetta ed è impregnato di ipocrisia il Premio Speciale della Giuria a The Nightingale, uno dei punti più bassi del Concorso, e a cui ha giovato il fatto di essere l’unica opera in Concorso diretta da una donna, quella Jennifer Kent ignobilmente offesa al termine della proiezione stampa del 5 settembre da un giovane accreditato. Difficile immaginare che questa doppia circostanza non abbia influito sulla Giuria in sede di discussione, tanto che The Nightingale ha portato a casa anche il Premio Mastroianni per Baykali Ganambarr, esordiente attore di origini aborigene. Chiudono il palmarès la meritata Coppa Volpi a Willem Dafoe per il suo intenso Van Gogh in At Eternity’s Gate e il premio per la sceneggiatura a Joel e Ethan Coen per The Ballad of Buster Scruggs (altro film targato Netflix), bellissimo omaggio al western diviso in sei episodi in cui si passa dal tono estremamente scanzonato del primo ad una progressiva discesa verso una rappresentazione tragica della morte.

Resta a bocca asciutta il cinema italiano, sebbene molti davano per certo un premio all’eccentrico e sbilanciato Suspiria di Luca Guadagnino, autore che continua a mietere consensi fuori dell’Italia ma a dividere buona parte della critica nostrana, Un cenno a parte in questa carrellata merita la Siria, che ha ottenuto due riconoscimenti: il premio del pubblico della Settimana della Critica è andato allo scioccante documentario Still Recording di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub, due giovani filmmaker che hanno filmato il loro Paese nel corso di tre anni del conflitto, dal 2012 al 2015, facendo entrare lo spettatore dentro l’orrore e il sangue e riuscendo a restituire perfettamente lo stato di un Paese sotto assedio, che cerca di trovare un’impossibile normalità. Infine, The Day I Lost my Shadow di Soudade Kaadan, storia di una giovane madre che lotta per crescere il suo bambino di otto anni nella Siria dilaniata dalla guerra nel 2012 ha vinto il Premio per la Regia della sezione Orizzonti. “Porta pazienza, mio caro Paese” – si legge su un graffito realizzato su un muro non ancora ridotto a maceria nel film di Al Batal e Ayoub in una delle opere che ha regalato maggiori emozioni.

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