‘Fame’, di Roxane Gay: l’odissea di un corpo
«Questo libro è una confessione. Ecco le parti più brutte, deboli e scoperte di me. Ecco la mia verità. Ecco una storia del mio corpo, perché spesso le storie dei corpi come il mio vengono ignorate, liquidate in due parole o derise. La gente vede corpi come il mio e fa le sue deduzioni. Crede di conoscere il perché del mio corpo.» (Fame, Roxane Gay, Einaudi, 2018)
Roxane Gay, scrittrice statunitense di origine haitiana, conosciuta soprattutto per essere l’autrice di Bad feminist, lettura imprescindibile negli ambienti femministi radicali, pubblica Fame. Storia del mio corpo. Non si tratta di un saggio d’attualità né di un’autobiografia, è l’odissea post moderna della fame di Roxane e del suo corpo, gravato dal peso di duecentosessanta chilogrammi, cantata con il registro linguistico di una blogger.
La struttura dell’opera è semplice, quasi asettica. Proprio la linearità svela il progetto di scrittura di Gay: vivisezionare gli aspetti della società che strumentalizzano il corpo delle donne. Tuttavia questa operazione ha come soggetto l’esperienza dell’autrice, il mémoire è pervaso quindi di una grande emotività, enfatizzata dall’uso della prima persona con focalizzazione interna, che permette di entrare totalmente nella pelle di Roxane, ed è veicolata attraverso una punteggiatura enfatica e un tono colloquiale, volto a creare un dialogo vis-à-vis con il lettore. L’oscillazione tra analisi sociologica e racconto personale è chiara anche guardando la struttura dei paragrafi, di lunghezza variabile a seconda dell’argomento o del ricordo trattato dalla narratrice. Leggendo Fame non si ha la sensazione di aprire un diario segreto, il lettore non spia mai Roxane dal buco della serratura o tra le tende dei camerini nei centri commerciali, è anzi portato a guardare la realtà con gli occhi della protagonista, e quando viene chiamato a porre l’attenzione sull’ingombro di quel corpo non ne vedrà la carne, ma l’universo invisibile che si nasconde al suo interno.
Il libro si compone di sei parti, la prima e la seconda raccontano le convergenze che hanno plasmato Roxane. La terza e la quarta si concentrano sull’esterno, sul modo in cui la società degli altri, composta da media, Stato, amici e familiari, giudica lei e i corpi obesi in generale. Nella quinta il discorso si sposta sul rapporto tra l’autrice e il cibo e il legame atavico con la famiglia. All’interno della sesta parte vi è un bilancio del vissuto di Roxane, che non fa della sua vita una parabola del nuovo Sogno Americano che coniuga bellezza e successo, nella sua vita e nelle pagine che la raccontano è assente il trionfo, come sottolinea la narratrice stessa. La realtà della vita è più complessa rispetto a quella mostrata dai reality proposti dalla televisione e per Roxane non c’è una dieta miracolosa, non c’è una conclusione del suo percorso di accettazione. C’è il confronto con il ricordo del ragazzo che insieme a un gruppo di amici l’ha stuprata in un bosco appena dodicenne. Non esiste risoluzione positiva che capovolga la drammaticità di questo evento. Roxane, come per tutto il resto, non lo nasconde.
Fame è la storia di un prima e un dopo. Prima e dopo la violenza, la cesura netta tra la donna che Roxane sarebbe potuta diventare: «magra e attraente, benvoluta […]. Non è sempre spaventata e ansiosa. Non ha una vita perfetta, ma è in pace. A suo agio.», e quella che invece è. L’irreversibilità di questo processo fa della storia di Roxane il racconto di una metamorfosi oltre che di un’odissea.
«Ceni mentre vagava lungo la spiaggia deserta fu violentata dal dio del mare: così si raccontava. Nettuno, colte le gioie di quell’avventura amorosa, le disse: “Qualunque tuo desiderio, stai tranquilla, sarà esaudito: scegli cosa vuoi”. E Ceni: “L’oltraggio che ho patito mi fa scegliere il massimo: che mai più debba subire tale affronto. Fa’ che non sia più femmina.»
La metamorfosi è un tema caro alla letteratura ed è presente in tutte le culture, coinvolge anche gli uomini, ma più spesso le donne. La cultura greca e quella latina non fanno eccezione: in numerosi miti la protagonista riesce a evitare lo stupro della divinità di turno trasformandosi, permanentemente, in un animale o in una pianta. La ninfa Dafne, braccata dal dio Apollo, chiede di essere trasformata in una pianta, l’alloro, che poi il dio del sole userà per adornare se stesso. Il prezzo che la vergine paga per sfuggire allo stupro è molto alto. Tuttavia, c’è un caso particolare in cui la fanciulla non usa la metamorfosi per sfuggire alla violenza ma, una volta che questa è consumata, per proteggersi da quelle future: è ciò che fa Ceni nel XII libro delle Metamorfosi di Ovidio, quando chiede al dio del mare di essere trasformata in un uomo dalla forza sovrumana. Ceni è contemporaneamente vittima e guerriero invincibile. Due nature distinte sopravvivono in lei, e senza la vittima non esisterebbe l’eroe. Così nel libro di Gay c’è una creatura fragile, incapace di vivere con se stessa e con gli altri, ma anche un’eroina che ha fatto di un evento traumatico il catalizzatore della sua arte creativa.
Fame non è un libro di auto-aiuto o un romanzo, è un flusso di coscienza in cui non c’è spazio per la rinascita e il finale non è conclusivo poiché la lotta della protagonista contro la compulsione per il cibo non può avere una risoluzione. Il racconto però non rimane fine a se stesso, ha una sua circolarità nella presa di consapevolezza da parte della protagonista dei suoi limiti, dell’ineluttabilità del dolore nella sua storia. La scrittura è parte attiva di questo processo di catarsi, e quindi proprio il lettore in quanto tale sente, dopo aver voltato l’ultima pagina, di avervi preso parte.
Riguardo l’uso del termine “grasso”, percepito come insulto da larga parte della società, occidentale, Roxane ha un’opinione definita e politicamente scorretta: «A volte, qualche persona benintenzionata (credo) mi dice che non sono grassa. […] È un insulto pensare che io, chissà come, non sia consapevole del mio aspetto fisico. Ed è un insulto partire dal presupposto che io mi vergogno di me stessa – che sia vero o no – perché sono grassa.». La voce narrante, per spiegare al meglio verità tanto personali, risulta quasi irritante tanto forte è la personalità che esprime.
Gay con la sua voce forte e riconoscibile narra di un’anima affamata d’amore ma incapace di esprimersi e di un corpo che si fa carico di tradurre questo bisogno in materialità tangibile. Roxane sa, e lo esprime con chiarezza in ogni pagina, che il dimagrimento tanto agognato non coinciderà con la fine dei suoi problemi: «Se domattina mi svegliassi magra, avrei comunque sulle spalle lo stesso fardello che mi trascino dietro da quasi trent’anni». Nonostante tutta questa consapevolezza anche Roxane aspira alla magrezza come sinonimo di felicità, anche lei è sottoposta, come chiunque altro, alle pressioni sociali che spingono al raggiungimento di uno standard prestabilito. Nel suo libro più intimista Gay analizza la storia senza prenderne le distanze, giudicandosi molto, e giudicando la società che la guarda, una libertà che le persone grasse spesso non pensano di potersi prendere. E lei lo sa.
«E poi c’è il modo in cui gli estranei trattano il mio corpo. Mi spintonano nei luoghi pubblici, come se in quanto grassa fossi assuefatta al dolore e/o lo meritassi». Attraverso la narrazione di vicende spiacevoli, che vanno dalla difficoltà di reperire indumenti alle sedie dei ristoranti e poltrone dei cinema troppo strette, bagni pubblici minuscoli, sedili degli aerei non adatti. A partire dalle sue difficoltà quotidiane Roxane spiega come da un lato il suo corpo sia sistematicamente ignorato da quasi tutte le aziende, a prescindere dal servizio offerto, mentre dall’altro la società la giudichi costantemente. Spesso anche desessualizzandola, tracciando un parallelo con la situazione vissuta anche dalle persone con disabilità. Come coloro che soffrono di un deficit mentale o fisico, anche chi è patologicamente obeso deve sopportare una società che pur ignorandolo non riesce a fare a meno di fissarlo. Questo voyeurismo cresce in proporzione alla taglia, perché secondo un sentire comune, la persona patologicamente obesa si trova in una condizione di disagio per sua scelta, le si nega pertanto anche il diritto di lamentarsi e richiedere servizi più adeguati. In un sistema sanitario privato come quello statunitense, in cui l’accesso ai farmaci e alle cure mediche dipende dalla propria disponibilità economica, anche questo ha un peso rilevante.
Nella società nordamericana quasi il 40% della popolazione è obesa. Per affrontare questa emergenza non esistono spazi di discussione dedicati a capire il perché di questa emergenza sociale, ma luoghi nati per commercializzare una visione semplicistica e spettacolarizzata del corpo, come quella veicolata dalla televisione attraverso reality creati ad hoc, approdati anche in Italia, come Extreme Makeover: Diet edition, Vite al limite e molti altri. Anche Roxane è accanita fruitrice di questi programmi, anche lei spia i corpi degli altri e non è immune dal mito della bellezza e dalla promessa di felicità che, nell’immaginario collettivo, questa racchiude in sé.
Questa è la storia di un amore negato, della costruzione di una gabbia di carne. È il racconto di una sopravvissuta, di una vittima, come preferisce definirsi Roxane. Non è un libro che può semplicemente piacere o non piacere, deve essere masticato e metabolizzato con cura perché il suo intento è spiegare, ferire, e mai intrattenere.
«Ero marchiata, dopo. Gli uomini annusandomi potevano sentire che avevo perso il mio corpo, che erano liberi di servirsi del mio corpo, che non avrei detto di no perché sapevo che quel “no” non aveva nessuna importanza». Fame è un libro crudo, e anche se in patria è già un best-seller, non è adatto a tutti gli stomaci. La sua difficoltà non sta nel linguaggio, semplice, o nella storia, violenta sì, ma che non si avvale mai di espedienti morbosi. Risulta arduo perché ha la rudezza propria della verità, tradotta sulla pagina senza alcun mascheramento, poesia o metafora. La maggiore ruvidità è nelle pagine che raccontano l’isolamento della protagonista al primo anno di università grazie al Macintosh Lc II regalatole dai genitori.
L’uso di internet come mezzo per relazionarsi con altri al di fuori del corpo, un modo per avere degli amici, una storia romantica senza l’intoppo di ritrovarsi sola con un estraneo, ma anche un luogo in cui i sopravvissuti alle violenze condividevano le proprie esperienze. «Adesso avevo un vocabolario più ampio per definire quello che era capitato nel bosco. A dodici anni non avevo abbastanza parole». Ma anche la conoscenza di un mondo altro non è che un balsamo troppo leggero. E come ogni medium non è buono o cattivo in termini assoluti, dipende dall’uso che la persona decide di farne, Roxane l’ha usato per capire, ma anche per manipolare una realtà su cui non poteva esercitare controllo.
L’uscita di Fame, pubblicato nel 2017 da HarperCollins, la stessa casa editrice di Va’, metti una sentinella, risponde all’esigenza personale dell’autrice di esporsi, ma il successo editoriale svela anche la necessità del grande pubblico di confrontarsi con narrazioni che parlano di cultura dello stupro staccate dalla retorica classica. Finalmente la vittima usa la sua voce per parlare di se stessa, del desiderio di fare sesso e della sensazione di sporco. Non vuole più essere normalizzata.
Fame non è un racconto dove è contemplato il finale solitamente proposto dai media: la donna finalmente in forma e appetibile, e quindi davvero di successo. È la storia di una verità scomoda, delle nuove domande che dovremmo farci, o smettere di farci, quando incontriamo una persona obesa. Tutto ciò Gay lo fa mettendo, nudo e scomposto, il corpo da duecento chili di Roxane alla portata degli occhi famelici di tutti. È una storia del tutto personale di ricerca di sé nella quale si ritroveranno molte donne e uomini che hanno vissuto esperienze simili, e nello stesso tempo è il racconto di una società. Un’odissea più simile a quella raccontata da Konstantinos Kavafis, rispetto all’originale omerico, in cui il viaggio conta più di una meta inarrivabile: il vagare di un corpo che vuole riprendere il dominio su di sé, quel dominio personale che si dà per scontato, e che lo stupro nega per sempre.
«Mi sono sempre domandata come sia davvero guarire, nel corpo e nello spirito. Mi affascina l’idea che non solo le ossa possano guarire alla perfezione ma anche la mente, l’anima. Se vengono tenute nella posizione corretta per un determinato lasso di tempo, riguadagneranno la forza originaria. Non è così semplice. Non lo è mai.»