“Une partie de plaisir” di Claude Chabrol: scenate da un matrimonio
– Il mondo è cambiato: non si ha più una vera necessità di sapere: si vive.
– Allora almeno lo si faccia tacendo.
Da: Une partie de plaisir
Al termine di una gita in barca Esther e Philippe, che vivono insieme da otto anni ed hanno una figlia, decidono di dar vita ad un esperimento con lo scopo di mettere alla prova il loro amore: daranno a se stessi piena libertà nelle scelte sessuali senza nel contempo venir meno ai propri doveri coniugali. La situazione sfugge ben presto di mano mettendo gravemente in crisi l’equilibrio della coppia.
A leggerla così, la sinossi del venticinquesimo lungometraggio del grande Claude Chabrol, regista che ha fatto della dissezione del cadavere della borghesia una delle cifre dominanti della sua corposa filmografia, potrebbe apparire un’altra variazione sul tema del tradimento coniugale, già presentata in diverse opere precedenti, tra le quali varrà la pena citare almeno Stéphane, una moglie infedele o L’amico di famiglia. L’impressione, se non si è visto il film, è che ci troviamo davanti alla solita insulsa e irritante vicenda di una coppia che con un termine oggi abusato si potrebbe definire radical-chic, più o meno progressista, intenta a mascherare la verità di un’unione fallita dietro un maldestro, ipocrita e malinteso concetto di “libertà”, utile a nascondere la propria meschina bassezza.
In realtà, a rendere peculiare e scioccante Une partie de plaisir, opera dalla messinscena eccellente, dotata di un un ricchissimo sottotesto, e a farne un racconto di straordinario interesse è la figura dello sceneggiatore Paul Gégauff. Gégauff era stato, sino a quel momento, autore di altri script per Chabrol e aveva collaborato con altri registi prestigiosi, tra cui Julien Duvivier; Eric Rohmer, Barbet Schroeder, René Clement, firmando a sua volta anche una regia, Il fuoco nella carne, nel 1965. Questo film si pone come un unicum nel percorso di Chabrol-Gégauff perché lo sceneggiatore è anche il protagonista della storia e recita insieme alla prima moglie Danièle e alla figlia Clémence (poi divenuta attrice e cantante) raccontando una vicenda parzialmente autobiografica e scrivendo una storia che questa volta non è nient’altro che il resoconto della propria crisi coniugale.
Ne viene fuori un’opera complessa, perversa, meravigliosamente ambigua nel descrivere i rapporti tra i sessi e nel mettere in scena impietosamente i riti e i miti di una certa classe sociale, ammantata da un presunto ed inesistente sentimento di superiorità morale. A differenza di altri film di Chabrol, il regista qui non ha però bisogno di fustigare determinati costumi: Gégauff e la moglie espongono liberamente e i loro corpi, descrivendo la progressiva discesa all’inferno del loro rapporto di coppia.
Tra l’altro, l’ambiguità del film è riscontrabile sin dal titolo. Une partie de plaisir, infatti, solitamente reso nelle traduzioni come “gita di piacere” o semplicemente “gita”, potrebbe essere invece tradotto anche come “partita” o “fetta” di piacere, che è proprio quello che la coppia cerca reciprocamente di giocare od assaggiare, di condividere con gli altri, con risultati tragicamente nefasti. La grandezza e la riuscita di un’opera magistrale e sottovalutata come Une partie de plaisir sta nella descrizione precisa della ferocia trattenuta, sempre sul punto di esplodere, che invade i personaggi, nell’atmosfera di sostanziale aridità morale che li soffoca, nella sottigliezza psicologica con cui viene analizzato e reso il montare crescente della loro rabbia, nel sottofondo di morte che percorre tutto il film.
Una morte che arriverà poi anche oltre lo schermo colpendo violentemente la vita reale del protagonista: Paul Gégauff, infatti, verrà ritrovato morto a Gjøvik (Norvegia) il 24 dicembre 1983, ucciso a coltellate dalla seconda moglie, una ragazza di 25 anni (Gégauff ne aveva 61), dopo una scenata di gelosia.
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