Intervista a Marco Antonio D’Aiutolo, autore di ‘Mani di mandarino – La coscienza di un carusu’: “Il mio romanzo è un esperimento filosofico-morale”
di Christian Coduto
Marco Antonio D’Aiutolo è laureato in Filosofia e specializzato in Filosofia morale. Collabora con diverse riviste scientifiche e scrive articoli per la Rivista Milena. Molto attivo sui social, cura la rubrica Se posso essere D’Aiutolo, in cui affronta con ironia e intelligenza argomenti filosofici in relazione alla quotidianità. Dal 26 luglio, è uscito nelle librerie Mani di mandarino – La coscienza di un carusu (Milena edizioni, 265 pag.), l’esordio letterario di Marco Antonio, una vera e propria saga costituita da cinque romanzi che affrontano la vita di Gabriele, un giovanissimo ragazzo che vive nella Sicilia degli anni ’30. Un romanzo di formazione in cui, il protagonista, prende coscienza di sé e della propria omosessualità.
Il romanzo è caratterizzato da una scrittura elegante, raffinata. La stesura ha richiesto un duro lavoro (linguistico e legato alle tradizioni) per garantire un adeguato grado di veridicità. Marco Antonio D’Aiutolo ricerca, gioca con le parole, creando un vero e proprio legame di empatia tra il lettore e i protagonisti della vicenda raccontata.
“Era un carusu, appariva scantatu, occhi stretti a fessurine, tanticchia ricurvo in avanti. Anche il mostro, emergendo dall’ombra, scuotendosela di dosso, si tramutò. Prese la forma definita di un’auto. Raggiunse il carusu, non si fermò, lo superò. Il volto, imbambolato e incredulo di questi ne seguì il passaggio, intravide l’autista, non lo degnò di uno sguardo.“
Incontro Marco Antonio D’aiutolo in un bar nei pressi di Bellizzi, la sua città Natale. Mi raggiunge con un sorriso a 32 denti e inizia già a parlare allegramente prima di stringermi la mano. Mi dice che ha trascorso l’estate a lavorare sul romanzo e che, da quel momento, non si è fermato un attimo. Sarà anche stanco, ma trabocca di vitalità da tutti i pori. Saluta il barista (“Qui ci conosciamo un po’ tutti” mi dice) e ordina uno smoothy. Fa un po’ da figo questa ordinazione. Glielo dico e si mette a ridere.
Iniziamo con un po’ di introspezione: chi è Marco Antonio D’Aiutolo?
Ma ti sembra normale fare una domanda introspettiva? A un filosofo, per giunta? (Scoppia a ridere) allora (ritornando subito serio) Marco Antonio D’Aiutolo è una persona che fa battute che raramente gli altri capiscono (sghignazza). (Si ferma un attimo) non è una domanda facile. Ho iniziato a occuparmi di filosofia per liberarmi un po’ di quella immagine un po’ goffa che mi caratterizzava e mi caratterizza ancora. Nel tempo, questi studi mi hanno permesso di diventare l’uomo che sono, mantenendo sempre i piedi ben radicati a terra.
La mia goffaggine e la mia componente inadeguata mi fanno sentire spesso inadatto. (Lo guardo interrogativo) intendo nei confronti del mondo circostante, quello degli adulti. È un po’ come se vivessi in un altro mondo, costruito dentro di me. Questo, però, non significa che io non interagisca con quello che mi circonda, con le persone. Sono solito dire che nel mio mondo non si parla, ma si canta, non si cammina, ma si danza. Chissà, quando diventerò adulto, forse scomparirà, ma al momento è parte di me.
Per il resto credo di essere una persona ordinaria: esco, vado a ballare … poi, in altri periodi, preferisco rimanere a casa per vedere le serie tv o godermi un po’ la mia famiglia. I miei genitori sono ancora legati ad alcuni valori che sembrano scomparire … forse vivono in un mondo alternativo anche loro.
Parla senza fermarsi.
Spesso si lancia in voli pindarici.
Non è voglia di mettere in mostra le sue conoscenze, ma preferisce spiegare le cose per filo e per segno. Piccolo elemento di timidezza, forse?
Da poche settimane è uscito nelle librerie il tuo primo romanzo, “Mani di mandarino”, ti va di parlarcene?
Mani di mandarino deve essere inserito all’interno di un contesto decisamente più ampio, ovvero “La coscienza di un carusu.” È una storia a tematica lgbt ambientata a Catania all’inizio degli anni ’30. Tutto ciò che accade viene raccontato dal protagonista, Gabriele. Il romanzo affronta appunto il percorso del protagonista, le sue varie tappe di consapevolezza: gli approcci con i masculi, gli amori e così via. Gabriele è un arrusu, il femminiello dei giorni nostri. Questi elementi, in lui, sono particolarmente evidenti. Ho cercato, nella mia scrittura, di far sì che questi aspetti potessero essere adattati alla nostra quotidianità. Gabriele è costretto a fare i conti con questo sistema sociale masculu-femmina. Ovviamente, considerare “Mani di mandarino” solo in relazione all’elemento lgbt sarebbe riduttivo: nella storia si affrontano i legami tra il singolo individuo e la società e, soprattutto, tra gli adolescenti e gli adulti. Nella Sicilia dell’epoca essere adulto significava essere maschio … Gabriele ha difficoltà a diventare adulto proprio perché non si sente maschio. Ecco perché non indossa mai i pantaloni lunghi: uno degli elementi distintivi dell’essere cresciuto. Ho scelto il termine carusu perché vicino a arrusu, garrusu o iarrusu che sono dei sinonimi e che fanno riferimento all’omosessualità. Gli adulti deludono Gabriele nel corso del romanzo. L’unico che lo aiuta davvero nel suo percorso di coscienza interiore è Calogero, un apprendista sarto, un ragazzino. Questo è un mio omaggio a Elio Vittorini e al suo “Conversazione in Sicilia”.
Stava per allontanarsi, quando … “Chi non muore …” Gabriele trasalì, era la voce di Calogero, se la ricordava bene. Si voltò. L’apprendista era appena giunto per andare a travagliari, un sorriso smagliante illuminava i suoi occhia mandorla e il suo volto colorato, scurissimo rispetto a quello pallido e roseo di Gabriele.”
Gabriele vive di continue contraddizioni: se da un lato c’è l’impulso e il desiderio di comprendere ciò che sta provando, dall’altro rifugge terrorizzato dalla verità per la paura di essere additato come un qualcosa di abominevole dagli altri. Il romanzo è ambientato negli anni ’30 … credi che la situazione, al giorno d’oggi, sia davvero cambiata?
Negare che ci siano stati dei passi avanti, non solo rispetto alla realtà degli anni ’30, ma anche a quando io ero ragazzino, sarebbe scorretto e ingiusto. La visione dell’omosessualità è profondamente cambiata: il ragazzo omosessuale non viene più visto come un alieno proveniente da un altro pianeta, giusto per dire. Ai Pride è bello vedere, tra i partecipanti, non solo ragazzi la realtà lgbt, ma anche amici, simpatizzanti, persone che sostengono la causa. È una cosa bellissima. Le battaglie hanno dato qualche buon risultato. Anche da un punto di vista scientifico e psicologico ci sono nuove consapevolezze: l’omosessualità non è più considerata una malattia. Di contro, ti racconto una cosa: quando dico che scrivo su un giornale online e mi occupo di letteratura omosessuale, mi è capitato di sentirmi dire “Ma no! Così non va, c’è il rischio della ghettizzazione!”. Discorso analogo quando alcune persone, durante i Pride, sono semplicemente se stessi … l’accusa è quella di essere dei fenomeni da baraccone. Il cliché dell’omosessualità deriva dal cliché della virilità. Detto questo, c’è ancora tanto da fare: ci sono tanti ragazzini che non riescono a uscire allo scoperto e si lanciano in relazioni clandestine, facendosi del male. L’omofobia all’interno dello stesso mondo gay è un dato di fatto. Non amo la frase “Io accetto, rispetto l’omosessualità, però …”. È ciò che dice chi si definisce aperto, ma che poi “accetta” la diversità solo quando si uniforma alla tradizione.
La sua anima filosofica si manifesta in pieno nelle sue risposte. Mette in gioco non solo se stesso, ma anche il mondo che lo circonda. La sua vita è piena di domande che, a loro volta, portano a nuovi interrogativi e dilemmi a cui è necessario rispondere. Dubbi che possono avere risposte immediate o che richiederanno un’intera vita per essere risolti.
Quanto c’è, di Gabriele, in Marco Antonio D’Aiutolo?
La mia idea era quella di rendere il protagonista del romanzo il più universale possibile. Ho creato un personaggio che potesse parlare a tutti, al di là dell’orientamento sessuale di Gabriele. Di sicuro qualcosina di lui, in me, c’è. Anzi, ti dirò: credo ci sia qualcosa di me in ognuno dei personaggi del romanzo, persino quelli meno positivi. Milan Kundera diceva che il romanzo è, di base, la nostra autobiografia, ma soprattutto è la biografia del possibile. Ciò che avremmo voluto realizzare, in sintesi. Una parte del percorso di Gabriele è ciò che avrei voluto per me, nella mia vita. Giusto per dire: Gabriele fa coming out a 17 anni, io l’ho fatto diversi anni dopo.
Perché hai scelto di ambientare “Mani di mandarino” in Sicilia?
Durante il periodo universitario ho frequentato un corso di Francesco Gnerre, l’autore di “L’eroe negato”, in cui si parla della letteratura omosessuale nel novecento italiano. Il titolo del corso era studi culturali e studi gay. In quel periodo conobbi Goretti e Giartosio, gli autori de “La città e l’isola”: il tema principale di questo libro è quello degli arresti degli omosessuali che si concentrarono principalmente in Sicilia. Questi ragazzi vennero inviati al confino, un’esperienza terribile. Questo libro ci ha fornito numerose informazioni legate alla loro vita clandestina, gli incontri e così via. Il tutto mi ha fatto capire quanto questo mondo fosse distante, nello spazio e nel tempo, dal nostro … ma legato allo stesso tempo. Devo dire la verità: la scelta di ambientarlo in Sicilia è legata a un aspetto tendenzialmente pratico. Avevo già molto materiale a disposizione, una ricerca sulla condizione omosessuale dell’epoca in territorio salernitano avrebbe richiesto troppo tempo. Nel romanzo io do spazio a molte figure femminili: la mamma, Maria Catena, la zia … proprio perché l’omosessuale di allora veniva identificato con la figura femminile. All’inizio “Mani di mandarino” l’avevo organizzato in quanto singolo romanzo poi, nel tempo, la storia è cresciuta, si è sviluppata molto fino a diventare una saga di cinque libri.
La natura ha un ruolo importante nel romanzo: gli splendidi paesaggi assumono forme e colori differenti, in base agli stati d’animo del protagonista …
Sono d’accordo: la natura ha e avrà un ruolo significativo nell’intera saga. Parto dall’ambiente, ma già nel secondo romanzo inizia a essere predominante anche il ruolo della natura dell’essere umano e dell’amore. La natura, mi preme sottolinearlo, non è matrigna o benigna: sono le nostre esperienze a renderla tale. Anche se, in alcuni casi, nonostante il nostro stato d’animo più negativo, lei ci risveglia, ci riporta alla realtà. Talvolta siamo noi a dare un significato alla natura, in altri casi è lei che interpreta noi … in una sorta di ciclicità. La dovizia di dettagli con i quali descrivo gli ambienti è significativa per lo stato d’animo del protagonista: in un punto della storia, la descrizione così dettagliata della casa della zia in cui vive Gabriele è fondamentale per sottolineare la materialità che lo schiaccia da un punto di vista emotivo. Descrivere in maniera così minuziosa il mondo in cui vive Gabriele mi ha permesso di dare maggiore concretezza alla storia. Il trait d’union dei cinque romanzi sarà il viaggio, inteso come processo di evoluzione.
L’aria era calma, calda, serena, senza un refolo di vento, la campagna di un verde scuro screziato di blu, zaffiro e indaco, qualche finestra accesa in lontananza. Tra maggio e luglio, le lucciole creavano uno spettacolare cielo capovolto; ma quella notte era tenebra assoluta e solo i grilli e il suono di un assiolo rompevano il silenzio.
“Mani di mandarino” è stato pubblicato dalla Milena edizioni. Come ti sei trovato a collaborare con questa casa editrice?
Mi sono trovato benissimo. Sono sincero: l’idea di poter collaborare con la Milena edizioni mi piaceva sin dall’inizio. Avevo paura che il romanzo non venisse preso in considerazione, che non potesse piacere alla casa editrice. Per fortuna non è stato così (ridiamo). Aggiungi pure che, dopo aver presentato “Mani di mandarino” a Moreno (Casciello, l’editore N.d.R.) ho dovuto aspettare un poco di tempo per ricevere una risposta e questo ha contribuito a moltiplicare la mia paura. Amo lo spirito sia della rivista, con la quale collaboro, sia della casa editrice: mi sono sentito immediatamente a casa. Milena è una casa editrice fresca, indipendente, libera e può contare anche su un’ottima distribuzione, cosa che non deve e non può essere data per certa, allo stato attuale. Così come non è da omettere il fatto che io, per pubblicare il romanzo, non sia stato costretto a investire del denaro. Mi chiede scusa per essersi dilungato troppo nelle risposte. Ha il timore di risultare eccessivo. Lo rassicuro: gli spiego che le risposte più corpose sono rappresentative di persone che hanno qualcosa di interessante da raccontare. “Quindi” mi dice “Questo significa che, ora, posso dilungarmi ancora di più?” e scoppia a ridere.
Domanda multipla: ultimo film visto al cinema, ultimo libro letto, ultimo cd acquistato, ultimo spettacolo teatrale al quale hai assistito.
L’ultimo film che ho visto al cinema è stato “Chiamami con il tuo nome”. Attualmente sto leggendo “Il maestro e margherita” di Bulgakov. Lo sto amando molto, per quanto la lettura stia procedendo a rilento a causa degli impegni legati al romanzo. Di cd ne ho comprati davvero pochi in vita mia. Dopo Youtube e Spotify l’esigenza di comprarli si è ridotta ulteriormente lo ammetto. Ciononostante, un po’ di tempo fa ho acquistato un cd di canzoni natalizie. Musicalmente, amo la voce di Ella Fitzgerald: mi dona pace, tranquillità. L’ultimo spettacolo che ho visto è di una compagnia amatoriale, sulla vita di Giuseppe Moscati. Alla regia Maria Sannino che, tra le altre cose, il 20 settembre farà un reading di “Mani di mandarino” durante la presentazione che si terrà a Bellizzi, in provincia di Salerno.
Terminiamo con un piccolo momento marzulliano: fatti una domanda e datti una risposta
“Che cosa voglio comunicare con il mio romanzo?” “Mani di mandarino è un esperimento filosofico-morale, in cui tutti i personaggi della storia sono chiamati a formare se stessi, manipolando e gestendo il contesto in cui vivono. Lo scopo è quello di comunicare la validità delle esperienze morali e umane delle persone, nel confronto e nel dialogo con gli altri”.
Al termine dell’intervista Marco Antonio D’Aiutolo mi saluta con lo stesso identico entusiasmo. Mi ristringe la mano e continua a parlare allegramente. Lo vedo allontanarsi con un passo vivace. Il suo mondo, quello fatto di poesia e di parole, quello in cui vive solamente lui, lo sta attendendo per un nuovo, appassionante, lavoro