Senegal
di Eliana Petrizzi
Casa
L’aria che si sposta mi rinfaccia l’odore delle lenzuola ruminate nelle ore crude della notte. Il cervello è un faro che illumina senza tregua spiagge dove vado a cercare un po’ di pace. Avere fiducia nelle memorie del corpo, che ora un poco spengo; fiducia nella pazienza delle cose che mi aspettano a casa al rientro, e che da lontano mi guarderanno come gli occhi dei cavalli. Le paure che mi accarezzano somigliano a tende con l’orlo in fiamme. Eppure, non sapere cosa voglio da un viaggio mi riempie sempre di gratitudine.
Dakar
Cammino a testa bassa, trascinata dalla posizione eretta e da un senso naturale di ciò che è opportuno. La sola felicità di cui sono capace è un’ignoranza selvatica in cui amo egualmente ogni cosa. Il desiderio non si impiglia in niente e in nessuno, ma cresce al di là, privo di oggetto. La vita è un’immagine sfocata dalla necessità della sua urgenza. Meglio evocarla in un’immagine corale fatta di tutto e del suo contrario. Scelgo questi luoghi per riconsiderare immenso il mio poco, per imparare pazienza e lentezza; per imparare soprattutto che restare lungo il fiume ad aspettare dà più frutti che rincorrerlo a mani tese.
Ziguinchor
Sul pontile della nave per Ziguinchor, guardo un mare ceruleo e calmo. Penso al mio continuo congedarmi, a questa luce dentro che non illumina né a ritroso nella memoria né in avanti nel desiderio. Non restare è più durevole. Sono qui e avrei molto da descrivere, ma sempre più spesso penso che niente si può raccontare, né da una distanza zero né da una lontananza siderale; e nemmeno nel mezzo, perché quello è il tempo inenarrabile dell’accadere.
Saint Louis
Per molte delle persone che osservo, il negozio consiste in un banchetto sul marciapiede, pieno di quisquilie le più disparate; simile ai mercatini che i bambini fanno nei quartieri, quando vogliono giocare a fare i grandi. Le donne vendono merci in strada, o restano nei villaggi ad accudire figli e capanne. Ridono spesso giocando tra loro; quando si rivolgono ad un uomo, parlano con un tono autoritario che non ammette repliche. In generale, le persone sono cordiali, ma se devono comunicare un divieto al viaggiatore, sono poco inclini al garbo. Hanno proibizioni che, a domandarne la ragione, neanche sanno spiegare, purché sia no, e tanta intransigenza un poco dispiace. Le foto che scatto sono il risultato di complicate trattative e spiegazioni. Qui nessuno vuole essere fotografato neppure da lontano; pochissime le eccezioni. Così, per difendere anche il mio diritto ad un ricordo, a volte rubo e passo avanti.
Casamance
Imparo a declinare la cadenza lenta delle ore. Da casa mi chiedono che faccio qui tutto il giorno, se mi annoio. Ci sarebbe invece da viverli questi villaggi, per capire quanto succoso e sorprendente sia il niente da fare. Finito il lavoro, la gente resta all’ombra di un albero a guardare il fiume. Le donne hanno un’eleganza fiera e paziente, con qualcosa di impenetrabile che è di certi animali. Tutti si muovono lentamente, con fiducia nelle generose soluzioni offerte dalla vita. I villaggi sono popolati da giovani e da bambini. Pochi gli anziani, e sacri. Per l’occidentale che osserva questi paesi col proprio metro, tutto appare miserrimo ed irreversibile. Ma questa gente, che ha sorrisi aperti ed un senso arcaico della comunità da noi perduto, sa vivere restando più in piedi di chi giudica. Di ogni viaggio, io aspetto sempre il preciso momento in cui divento nessuno: la gente mi guarda, ma non mi vede. Non ci conosciamo e non ci rincontreremo, ed in questo è la forza del nostro sodalizio. Niente mi rassomiglia: solo in questo mi riconosco. Non avverto la mancanza di nessuno, non ho memoria, non ho più storia, in un’immagine finalmente ricomposta del mondo, come sempre vorrei che fosse.