Torino 36, “Tyrel” di Sebastián Silva è il Get Out del cinema indipendente
Tyler si unisce a degli amici per un weekend nella casa di montagna di uno di loro dove si festeggia un compleanno. Conosce solo uno degli altri invitati e scopre di essere l’unico ragazzo nero del gruppo. Sebbene sia il benvenuto, Tyler non riesce a sentirsi a proprio agio e la combinazione di testosterone e alcool rischiano di far sfuggire di mano la situazione e Tyler comincia a sentirsi come in un incubo [sinossi].
Al suo settimo lungometraggio di finzione, presentato in anteprima al Torino Film Festival, il regista e sceneggiatore cileno Sebastián Silva, ormai trapiantato a New York, fa centro con una storia che rimanda direttamente all’acclamato Get Out di Jordan Peele, sebbene qui si sia nei territori del cinema low budget. Nonostante il focus del film sia il ragazzo afroamericano (molto intelligente la storpiatura del nome che dà il titolo al film), Tyrel è un film corale che mette in scena un ampio ed eterogeneo numero di personalità diverse riuscendo a far entrare lo spettatore immediatamente in sintonia con l’ambiente rappresentato, che è quello dei giovani della middle class statunitense. Partendo da un’esperienza vissuta dal regista stesso durante un viaggio a Cuba, Tyrel è il racconto di un’alienazione che ha le sue scaturigini in un Paese che non è mai riuscito veramente a fare i conti con la sua storia. Tuttavia, lavorando con grande sottigliezza in fase di sceneggiatura, Silva mostra come, anche nelle condizioni ottimali di accoglienza come quella descritta nel film, il sentimento di essere fuori posto diventa qualcosa che in molti afroamericani diventa parte integrante della coscienza.
Nel corso del film non c’è alcuna aperta ostilità nei confronti del “diverso”: i ragazzi riuniti nella casa di montagna per festeggiare il compleanno di uno di loro si comportano con assoluta naturalezza nei confronti di Tyler ma questo non basta a evitare che egli si senta costantemente fuori posto, dis-integrato, incapace di inserirsi nei giochi che l’allegra brigata mette continuamente in campo con inesauribile energia. Girando in maniera frenetica, con abbondante utilizzo della macchina a mano, Silva riesce a supplire alle limitate disponibilità finanziarie traendo il massimo dai suoi attori, che in più di una sequenza danno l’impressione di muoversi e recitare sull’onda dell’improvvisazione. Come in altri suoi precedenti film corali, come Crystal Fairy e Magic Magic, che aveva al centro altre figure di outsider che si sentivano alienati in una località remota, il nuovo film di Silva si stacca dai modelli del racconti gotico o dell’horror dentro i quali a un certo punto scivolava Get Out: Tyrel è depurato da ogni elemento di suspense per concentrarsi invece sugli aspetti psicologici e sui dettagli più minuti per dare consistenza a un sentimento, quello dell’inadeguatezza che pervade il protagonista, descrivendolo e analizzandolo mediante l’utilizzo di piccoli, impercettibili e apparentemente banali eventi.
La cifra del film dunque è la sottigliezza, il lavoro è di fino e punta sulle sfumature, sostenuto anche dall’ottima prestazione del protagonista Jason Mitchell, già visto in Straight Outta Compton di F. Gary Gray e in Detroit di Kathryn Bigelow, che è circondato da un cast estremamente affiatato. Intelligente, divertente, a tratti spumeggiante, Tyrel è una delle belle sorprese di questa 36° edizione del Torino Film Festival.
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