“L’amica geniale”, episodi 3-4: guerra e pace nel rione
Dopo le prime due puntate, che avevamo recensito in anteprima dalla Mostra del cinema di Venezia, continua il nostro viaggio dentro L’amica geniale, la serie TV che Saverio Costanzo ha tratto dal primo romanzo della splendida tetralogia di Elena Ferrante. A dispetto del mistero sulla sua identità, l’impressione generale è che la scrittrice, pur non presente fisicamente sul set per ovvie ragioni, abbia esercitato un controllo a distanza molto occhiuto durante le riprese. Il primo dittico di episodi si era concluso con l’arresto di Alfredo Peluso, tirato a forza dentro una camionetta della polizia e con la moglie dell’uomo che si lanciava all’inseguimento del mezzo, in una evidente citazione della celeberrima sequenza della morte di Anna Magnani in Roma città aperta. Il terzo episodio segna l’uscita di scena delle bravissime e sorprendenti Elisa Del Genio e Ludovica Nasti, rispettivamente nel ruolo di Elena (Lenù) Greco e Raffaella (Lila) Cerullo (la Del Genio compare solo nell’incipit del terzo episodio per pochi istanti) che lasciano il posto a Margherita Mazzucco e Gaia Girace.
Purtroppo, l’inevitabile sostituzione delle protagoniste, ormai a un passo dall’adolescenza, segna il primo passo falso della serie, abbassando di molto il livello emotivo delle sequenze. Le due giovani neo-protagoniste, anch’esse esordienti, per quanto fisicamente aderenti ai personaggi, sono apparse un po’ monocordi e non sempre a proprio agio, soprattutto nelle numerose sequenze di dialogo, sempre molto fitto, che scandiscono il corso degli eventi. In questo secondo dittico si parte dall’arrivo delle mestruazioni sul corpo di Elena e si arriva alla scena della festa di Capodanno, salutato come da tradizione napoletana a suon di botti. I festeggiamenti segnano anche un momento di riconciliazione tra le famiglie rivali dei Carracci e dei Peluso, finché la situazione deflagra nello scontro con la famiglia Solara, i protervi caporioni che tengono in scacco il quartiere, fino a raggiungere il climax in una forte crisi emotiva da parte di Lila, quella che nel romanzo viene definita, con interessante neologismo, una “smarginatura”.
La visione degli episodi 3 e 4 conferma un timore già esplicitato nel commento al primo dittico, e cioè l’impressione di una regia che si sia messa totalmente al traino del romanzo, delle vicende raccontate dalla prosa torrenziale di Ferrante, senza particolari guizzi, senza nessuna particolare capacità da parte di Costanzo di dare una forma minimamente personale a quanto viene narrato. Il regista sembra costruire le varie parti del libro in maniera eccessivamente mimetica dove gli attori si limitano a ripetere battute piuttosto che sforzarsi di restituire emozioni, turbamenti, passioni, dove la verbalizzazione dei sentimenti prende il sopravvento sulla loro caratterizzazione. Uno degli esempi è proprio la succitata sequenza della “smarginatura”, che appare fortemente depotenziata rispetto all’intensità con la quale viene raccontata nel romanzo, ed è qui affidata alla voce fuori campo (problema su cui si tornerà più avanti) e a un uso non particolarmente felice della sovrimpressione.
Esiste un sentiero ben tracciato (le pagine trasformate in prodotto televisivo) dal quale non si esce praticamente mai, con uno scrupolo filologico che può forse appassionare chi non conosce il testo e resta affascinato dalla bellissima storia che il film restituisce con precisione pedissequa mentre rischia di lasciare perplessi coloro che si aspetterebbero un maggiore sforzo di trasfigurazione artistica, una maggiore volontà di rischiare, di lavorare sulla materia dando maggiore risalto al mezzo utilizzato, che spesso appare invece schiacciato e appiattito nella mera illustrazione. Non a caso la sequenza più riuscita (molto bella) risulta essere quella della prima festa, quella in casa Spagnuolo dove i corpi, fino a quel momento un po’ ingessati dalla semplice ripetizione di una battuta dietro l’altra, possono finalmente liberarsi nel ballo.
Troppo invasiva, infine (ma questo era un difetto presente sin dall’inizio), la voce fuori campo di Alba Rohrwacher che, al di là della scarsa adesione all’accento napoletano da parte dell’attrice, compagna del regista, interviene in maniera troppo persistente, anche in quelle sequenze cui una maggiore ambiguità avrebbe senz’altro giovato. Si pensi, ad esempio, all’inutile sottolineatura della costante imitazione di Lila delle azioni compiute da Lenù quando la figlia dello “scarparo” studia il latino e il greco prima di lei in modo da porsi sempre in una posizione di vantaggio, in una competizione che è da un lato desiderio di sfida e volontà di rivalsa, dall’altro può apparire come ricerca di un’osmosi impossibile di due vite destinate a prendere fatalmente strade diverse.
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