“L’amica geniale”, episodi 7-8: i vecchi e i giovani
Si conclude con un finale sospeso, esattamente come nel romanzo di Elena Ferrante, la prima parte della serie TV tratta da L’amica geniale. Mentre è già in preparazione il seguito, Storia del nuovo cognome, si può dire che, dal punto di vista commerciale, l’operazione è stata un grande successo: boom di spettatori, nuove ristampe del primo libro con tanto di copertina rinnovata che immortala le due protagoniste da bambine (interpretate da Ludovica Nasti e Elisa Del Genio), tour organizzati (sic!) sui luoghi rappresentati nella serie. Per quanto non dispiaccia l’affermazione di un prodotto che prova a veicolare attraverso le immagini un’opera letteraria di indubbio valore, bisogna anche dire che la situazione rischia di sfuggire un po’ di mano trasformandosi in un fenomeno che potrebbe alla lunga diventare stucchevole e svuotare di profondità quella che, su carta, è una saga popolare, nel senso migliore del termine, e appassionante e che (a questo punto lo si può affermare con certezza) la messinscena televisiva ha svuotato di buona parte del suo potenziale.
Gli ingenti mezzi a disposizione e un regista di buon valore come Saverio Costanzo avevano fatto sperare francamente in qualcosa di meglio. Invece, come già scritto negli articoli precedenti a commento dei primi sei episodi, ci siamo trovati di fronte un prodotto che, pur sollevandosi un po’ dalla media delle fiction di solito trasmesse sulla rete ammiraglia del servizio nazionale, appare comunque molto piatto e incapace di utilizzare al meglio il mezzo a disposizione. In particolare gli ultimi due episodi, andati in onda il 18 dicembre, con il triangolo formato da Marcello Solara/Lila/Stefano Carracci, hanno evidenziato dei veri e propri scivolamenti nella soap opera, con un livello ben inferiore di quello che era lecito aspettarsi.
Dal punto di vista strettamente narrativo, “I fidanzati” e “La promessa” raccontano il ritorno a casa di Elena, il corteggiamento di Lila da parte di Stefano, figlio di quell’Achille Carracci (“l’orco delle favole”) affrontato dalle due bambine nel primo episodio, la ricomparsa di Donato e Nino Sarratore e il loro rapporto con Elena, diversamente controverso, la nascita del calzaturificio Cerullo grazie al denaro messo a disposizione dai Carracci, in un’operazione non molto dissimile da quella tentata e fallita da Marcello Solara. Come negli episodi precedenti ma in maniera ancora più marcata, quest’ultima parte mette in scena un vero e proprio conflitto generazionale, in cui gli adulti cercano di imporre ai giovani non solo le scelte che questi ultimi dovrebbero compiere ma anche il proprio pensiero e la propria ingombrante presenza. E’ il caso del sacerdote insegnante di religione, che caccia via dall’aula Elena per aver criticato i suoi attacchi al comunismo (in una sequenza dove, a dire il vero, la giovane protagonista non dà il meglio di sé nel pronunciare le battute), oppure del vecchio Silvio Solara, che impone la sua presenza di compare d’anello al matrimonio di Lila e Stefano, o ancora dell’anziana maestra Oliviero, che finge di non conoscere Lila, venuta a portarle l’invito di partecipazione alle nozze, o infine di Donato Sarratore che, in maniera insistente e patetica, insidia Elena dopo la violenza dell’estate precedente. Per non parlare, ovviamente, dei rispettivi genitori di Lila e Lenù, dove quelli della prima le impongono la sudditanza verso i potenti Solara, mentre la madre della seconda esercita un severo controllo sui corteggiatori della figlia ed è ovviamente incapace di percepirne lo smarrimento.
Purtroppo tutta la messinscena continua a apparire, nel complesso, davvero poco efficace. Anche nelle sequenze che illustrano (perché di mera illustrazione si tratta) le parti del romanzo in cui i personaggi riescono finalmente a liberare i propri sentimenti, sullo schermo tutto appare invece trattenuto, costruito, a tratti persino imbalsamato, senza che vi sia una sola idea di regia capace di suscitare nello spettatore un po’ di sano godimento estetico o una qualsivoglia risposta emotiva, al posto dei quali si avverte talvolta una vera e propria sensazione di straniamento. Per fare un esempio, si potrebbe citare la sequenza finale del matrimonio: dopo la celebrazione in chiesa (filmata in super8 in un raro guizzo di regia), gli invitati si recano al ristorante per festeggiare. Ora, nel romanzo, la compagnia degli invitati veniva presentata dalla scrittrice/narratrice con toni caustici, acidi, feroci, evidenziando non solo la loro pochezza morale ma anche la volgarità degli abiti indossati, la pacchianeria del trucco delle donne, la rozzezza dei commensali. Sullo schermo si vede invece una troupe di attori vestiti e agghindati impeccabilmente, che si comportano in maniera assolutamente decorosa e che ballano allegramente tra loro. Quando arriva quindi il commento sprezzante della voce fuori campo di Alba Rohrwacher (mai così superflua come in quest’ultimo dittico) che parla di “plebe”, esso appare del tutto fuori posto rispetto a quanto lo spettatore vede davanti ai suoi occhi.
Certo, è senz’altro apprezzabile il tentativo di proporre una fiction più “impegnata” e dai costumi apparentemente meno castigati (sebbene gridi vendetta la censura applicata sulle scene delle molestie subite da Elena da parte di Donato Sarratore, tagliate e visibili solo su Tim Vision o sul sito della HBO, co-produttrice dell’evento), parlata quasi tutta in dialetto e necessitante, quindi, di sottotitoli. I dialoghi, infatti, non risparmiano allo spettatore un linguaggio fortemente sboccato non proprio da prima serata di Raiuno, sebbene l’inizio delle puntate si collochi verso le le 21,40, quindi a metà strada tra prima e seconda serata. Tuttavia, non basta inserire qualche parolaccia o dei sottotitoli per compiere un’operazione veramente audace: occorrerebbe anche il coraggio di proporre al pubblico un linguaggio estetico che sappia guardare a quelle serie TV che sanno dialogare benissimo con la settima arte. Quindi, nel complesso, dal punto di vista artistico, l’impressione è che si sia osato davvero poco, trasportando una materia molto interessante e emotivamente ricchissima dentro i territori rassicuranti del prodotto tagliato su misure per le famiglie.
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