“Quattro notti di un sognatore” di Robert Bresson: l’amore fugge
Bisogna prestarsi agli altri
e donarsi a se stessi
Montaigne
Parlando del racconto Le notti bianche, pubblicato nel 1848, Fëdor M. Dostoevskij lo presenta come un “romanzo sentimentale delle memorie di un sognatore”, un dettaglio del quale Robert Bresson deve essersi ricordato nel momento di dare un titolo alla sua trasposizione. Quattro notti di un sognatore (che verrà proiettato giovedì 31 gennaio alle ore 20,00 all’ex Asilo Filangieri di Napoli nell’àmbito della retrospettiva dedicata al grande cineasta francese) viene dopo altri adattamenti del testo dello scrittore russo, tra i quali quelli maggiormente ricordati e degni di nota sono Le notti bianche di San Pietroburgo (1934) di Grigori Roshal e Vera Stroyeva, e il film di Luchino Visconti del 1957, interpretato da Marcello Mastroianni e Maria Schell.
Quando si accinge a girare questo film, Robert Bresson è reduce da un altro adattamento dostoevskiano, Così bella, così dolce e, come ebbe a dichiarare il regista, le ragioni che lo spingono verso un nuovo adattamento letterario sono anche, se non soprattutto, materiali o, come si direbbe in maniera più brutale, “alimentari”. Scegliere qualcosa di già “pronto” si presenta come l’opzione più semplice e immediata per contenere costi e tempi. A chi gli chiedeva il motivo dell’insistenza su Dostoevskij, Bresson rispose: “Semplicemente perché è il più grande”. In effetti, l’anima tormentata e solitaria dell’incommensurabile scrittore russo, il suo tormento religioso e filosofico, la sua solitudine morale, sembrano aderire perfettamente alla storia e al pensiero dell’autore di Diario di un curato di campagna o Pickpocket (il cui protagonista ha non pochi punti di contatto con il Raskol’nikov di Delitto e castigo). Inoltre, diversamente dai suoi tumultuosi romanzi, abitati da personaggi violenti e da passioni viscerali, capaci di indagare gli abissi umani più insondabili, Le notti bianche è un’opera percorsa da un ritmo sommesso, da toni pacati e da atmosfere quasi crepuscolari, decisamente adatte allo spirito e allo stile di Bresson.
Dal punto di vista narrativo, Bresson compie alcune infrazioni sul testo di partenza, delle quali almeno due decisamente rilevanti. La prima è la sostituzione del personaggio della nonna con la madre, in modo da mettere maggiormente sotto pressione il personaggio di Nasten’ka (qui Marthe) e da stabilire tra le due donne un legame che ricorda il precedente Perfidia. La seconda variazione riguarda l’occupazione del protagonista maschile, che nel film diventa un’artista, nella fattispecie un pittore. Si tratta di un elemento significativo perché stabilisce una sorta di prosecuzione tra il sogno, affidato alla voce registrata (sorta di aggiornamento del diario che accompagnava i personaggi dei già citati Diario di un curato di campagna e Pickpocket) e il suo tentativo di fissarlo attraverso la rappresentazione sulle tele, che Jacques riempie di volti femminili, con un massiccio utilizzo di colori caldi. Si respira un’aria quasi da nouvelle vague nello smarrimento di Jacques, nel suo anelito sentimentale, in uno struggimento che rimanda ad alcuni capitoli di Vivre sa vie di Jean-Luc Godard e del sublime Baci rubati di François Truffaut.
Quattro notti di un sognatore, a torto considerato da qualcuno esito “minore” nell’itinerario bressoniano, è invece un’opera impregnata di romanticismo e di sottile e quasi quieta disperazione, dove l’amore si presenta come punto di arrivo e realizzazione per chi riesce a coglierlo, e cocente sconfitta per chi ne resta privo. Melodramma trattenuto, raffreddato, impregnato di tristezza e di mestizia, di dolente eppure pacata rassegnazione, il film mette in scena la sproporzione tra esistenza e possibilità. “Credo soltanto nell’amore. L’amore ci aiuta a comprendere” ebbe a dichiarare durante un’intervista Bresson, capace di narrare il sentimento più famoso e diffuso tra gli uomini servendosi del dettaglio sulla maniglia di una porta, di un uscio chiuso, di un ascensore bloccato, dove il punto più alto del pathos proviene da una voce registrata che ripete ossessivamente un nome. Struggente radiografia del desiderio, come buona parte del cinema di questo straordinario cineasta anche Quattro notti di un sognatore richiede spettatori attivi, capaci di trarre dal poco che viene mostrato il molto che vi è racchiuso.
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