Un mostro chiamato Uomo – Incubi del dopo bomba
“E cosa stavo facendo il giorno in cui sganciarono l’Ultima?
Lieto che tu me lo chieda, signor Diario, no davvero. Stavo facendo il solito. Sveglia alle sei, poi la consueta routine di cesso, doccia e barba. Fatto colazione. Messo il vestito. Nodo alla cravatta. Ricordo di essermi occupato di quest’ultimo, e non molto bene, di fronte allo specchio della camera da letto, notando che mi ero rasato male. A decorarmi il mento come un livido c’era una chiazza di barba scura.”
(Joe Landsdale, Piccole suture sulla schiena di un morto)
I temi della psicosi da Terza Guerra Mondiale e della paura dell’olocausto nucleare sono ovviamente stati indagati e rappresentati, nel campo della fiction speculativa, da opere più propriamente appartenenti al genere della fantascienza. Gli interrogativi posti dalla tragedia del secondo conflitto mondiale e delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki rappresentano un cruciale giro di boa di questo genere narrativo, che proprio nel dopoguerra passa dalla visione sostanzialmente ottimista e permeata di sense of wonder avuta fino a quel momento a un’altra meno idealistica e conscia dei pericoli cui la follia umana combinata al potenziale distruttivo delle armi più tecnologicamente avanzate può portare. Questa sorta di “perdita dell’innocenza” fa sì che in alcune sue atmosfere più cupe la narrazione fantascientifica trovi punti di contatto con l’horror, e proprio in questi anni assistiamo ai primi esempi di una contaminazione tra i due generi che sarà sempre più frequente nei decenni successivi. Questo soprattutto grazie ad autori che lungo la loro carriera hanno con assiduità frequentato entrambi i generi (assieme a molti altri). Lo stesso ciclo di racconti di Herbert West, rianimatore di H. P. Lovecraft, che contiene un episodio ambientato nello scenario delle Fiandre devastate dalla Grande Guerra, può considerarsi uno dei primi esempi di ibridazione tra fantascienza e horror.
Nel dopoguerra il suo discepolo Robert Bloch ha ampiamente trattato nei suoi racconti brevi la tematica del pericolo legato allo sviluppo delle armi di distruzione di massa. Il suo racconto Oscuri vapori si sprigionano dal campanile è sia un omaggio a Lovecraft che una storia sulla psicosi dell’Atomica. Costituisce una sorta di seguito di una delle ultime opere del maestro di Providence, L’abitatore del buio (a sua volta un omaggio al giovane Bloch, in quanto il protagonista è uno scrittore chiamato Robert Blake), e narra dell’ingresso nel nostro mondo dell’Abitatore del buio, il quale altri non è che Nyarlatothep sotto mentite spoglie, fortemente intenzionato a portare all’autodistruzione l’umanità coadiuvandola nelle ricerche sull’energia nucleare e la bomba all’idrogeno. In altre opere Bloch affronta l’argomento con racconti post-apocalittici che colorano lo scenario della guerra futuribile con pennellate cupe e istantanee macabre: il racconto Lo spuntare del giorno è uno sguardo allucinato su una metropoli all’indomani della devastazione prodotta da un bombardamento nucleare. Attraverso una carrellata di immagini di morte e desolazione, di paesaggi post atomici e ritratti di superstiti condannati dal fallout nucleare, Bloch ci conduce al grottesco e amarissimo dialogo finale che illustra appieno, più di qualsiasi retorico orpello e proclama allarmista, l’inutilità e la follia della guerra.
Richard Matheson con Regola per sopravvivere ci ha dato un racconto sulla paura dell’olocausto nucleare che è a tutti gli effetti, nel suo sviluppo e progressivo disvelamento, una storia dell’orrore. Tramite piccoli dettagli minimali ma precisi che diventano chiari solo riletti alla luce della rivelazione finale, la storia ci fa gradualmente scivolare nell’inferno desolato e ossessivo di un sopravvissuto all’immane tragedia. Il racconto può essere letto anche come una celebrazione del potere salvifico dell’immaginazione e della scrittura, capaci di dare la chiave di sopravvivenza all’essere umano intrappolato in una realtà annichilente. Lo stesso autore ha scritto, con Danza Macabra, un’altra opera che si colloca sul labile confine tra horror futuribile e weird sci-fi. Evocando un altro spauracchio non meno temibile dell’olocausto nucleare, quello della guerra batteriologica, Matheson nel suo racconto prefigura uno scenario postbellico che anticipa di molto le atmosfere tipiche da “Apocalisse Zombie” di George Romero e altri cineasti a seguire. Le orripilanti movenze post-mortem delle vittime del contagio sono lo spettacolo clandestino preferito di una generazione di teenager derubata del proprio futuro a causa della catastrofe e costretta a dissiparsi tra divertimenti proibiti e il culto del passato scomparso.
Il tema dell’arma batteriologica sfuggita al controllo costituisce l’incipit del celebre romanzo di Stephen King L’ombra dello scorpione, sorta di crossover tra fantascienza apocalittica e racconto soprannaturale: al resoconto dell’epidemia scatenata dal virus influenzale denominato Capitan Trips fa seguito il confronto tra due gruppi di sopravvissuti, che divengono simboli dello scontro tra bene e male. Il romanzo presenta elementi soprannaturali con la presenza di Randall Flagg, personaggio che ricorre nei romanzi del ciclo della Torre Nera, e che è in realtà una personificazione del male Assoluto, cui si contrappone Madre Abigail e i “campioni del bene”. Il romanzo inoltre si chiude con una esplosione termonucleare che cancella Los Angeles, pur se consentendo, apparentemente, la vittoria contro le forze del Male, e una amara riflessione, o meglio un dubbio espresso dai protagonisti, sul fatto che l’uomo possa imparare dai propri errori.
L’attitudine in un certo senso all’interiorizzazione che questo genere ha, fa sì che spesso l’horror ci descriva la catastrofe nucleare in prospettiva e toni intimisti, una sorta di “apocalisse privata”. In Colazione di James Herbert, la tragedia ci viene presentata attraverso un macabro bozzetto di degrado e alienazione domestica. Si tratta in realtà dell’estremo tentativo della donna protagonista, attraverso la ripetizione degli ormai inutili riti mattutini della routine quotidiana (inutili perché il mondo che conoscevamo non esiste più, come non esiste più la famiglia della protagonista), di rimuovere il trauma e l’orrore. In Piccole suture sulla schiena di un morto, pluri-antologicizzato racconto di Joe Landsdale, alla visione allucinata del mondo post-atomico, totalmente desertificato e popolato da bizzarri animali e spaventose forme di vita vegetale, si sovrappone il perenne senso di colpa del protagonista, ex scienziato e ricercatore in campo bellico, ossessionato dal dolore per non aver potuto salvare la figlia dall’olocausto e dal controverso rapporto con sua moglie.
Un altro tema talvolta indagato in questa narrativa è la difficile e alienante vita di chi, nell’ipotesi di una catastrofe termonucleare, cercherebbe una salvezza rifugiandosi nei bunker antiatomici sotterranei. Se questo tema è anch’esso tipicamente trattato dalla fantascienza, alcuni autori hanno scelto di confrontarsi sul tema con una narrazione che spesso indugia nel macabro e grottesco per mostrarci il lato oscuro di questa apparente speranza di sopravvivenza. Un classico esempio è Maurice e Micia di James Herbert, in cui la difficile convivenza tra un rifugiato e una gatta penetrata accidentalmente nel suo bunker antiradiazioni porterà a catastrofiche conseguenze. Un altro grottesco bozzetto di alienazione postatomica viene dalla penna di Patrick McGrath, che in Storia di uno stivale ci narra il destino della famiglia Murgatroid e i suoi non troppo fortunati tentativi di sopravvivenza nel mondo postatomico.