Venezia 76, annunciata la selezione
Ventuno titoli in corsa per il Leone d’oro, la maggior parte dei quali ampiamente previsti e preannunciati, una sezione di “Orizzonti” che punta in massima parte su opere prime e seconde, un largo ventaglio di opere Fuori Concorso (ben diciassette titoli), almeno due “Eventi Speciali” ragguardevoli: la riproposizione di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, che aprì l’edizione della Mostra esattamente vent’anni fa, e dello splendido Goodbye Dragon Inn di Tsai Ming-Liang, che approdò sul Lido nel 2003 e la cui proiezione verrà accompagnata da una performance artistica del maestro taiwanese. E poi una lista variegata di documentari che spaziano da Chiara Ferragni alla politica staliniana con State Funeral di Sergej Loznitsa, da Marghera con Il pianeta in mare di Andrea Segre a Mosul alla Romania di Ceausescu fino alla seconda parte de I diari di Angela in cui Yervant Gianikian racconta sua moglie Angela Ricci Lucchi.
In attesa di vedere i film, si può dire che Venezia pare riuscita ad assicurarsi tutto quel poco che restava dopo che il Festival di Cannes sembrava aver rastrellato la quasi totalità dei titoli più attesi dell’anno. E quindi, dopo l’apertura con il Kore-eda Hirokazu de La Vérité ecco i nuovi lavori di Pablo Larraín (Ema) che segna il ritorno in patria dell’autore cileno dopo Jackie, James Gray con il suo Ad Astra, J’accuse, il film di Roman Polanski sul caso Dreyfus, il cui titolo trae spunto dal famoso pamphlet di Emile Zola, il rischioso accoglimento in Concorso del Joker di Todd Phillips (vedremo poi quanto meritato), The Laundromat di Steven Soderbergh.
È anche un Concorso dai molti ritorni: lo svedese Roy Andersson (Om det oändliga) che nel 2014 si portò a casa il Leone d’oro con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, i francesi Olivier Assayas (Wasp Network) e Robert Guédiguain (Gloria Mundi), il canadese Atom Egoyan (Guest of Honour), la saudita Haifaa Al-Mansour (The Perfect Candidate) che a Venezia aveva portato l’esordio La bicicletta verde. Per quanto riguarda i titoli italiani, ce ne saranno tre a contendersi il Leone d’oro: Pietro Marcello con il suo Martin Eden, Franco Maresco, promosso per la prima volta nel Concorso principale, che presenta La mafia non è più quella di una volta, che riprende l’eccentrica frase pronunciata da Ciccio Mira, protagonista dello splendido Belluscone e interprete (nel ruolo di se stesso) anche di questo film, e Mario Martone che porta al Lido Il sindaco del Rione Sanità, e torna in Concorso un anno dopo il poco brillante Capri Revolution, accolto con scarsa benevolenza nella passata edizioni. I tre cineasti italiani sono stati preferiti al Gabriele Salvatores di Tutto il mio folle amore e alla Francesca Archibugi di Vivere, finiti nel calderone del Fuori Concorso.
Insomma, la Mostra sembra ormai seguire una formula e uno schema collaudati (che magari funzionano e sono perfettamente oliati), in cui la parola d’ordine sembra essere “continuità”, dimostrando forse una scarsa volontà e/o capacità di rischiare. Ma forse è giusto così (almeno dal punto di vista degli organizzatori), visto che gli addetti ai lavori e il pubblico sembrano apprezzare, come mostra l’aumento del numero delle presenze dell’anno scorso (visibile a occhio nudo, al di là dei dati ufficiali diffusi dalla Mostra). Come sempre, Rivista Milena cercherà di separare il grano dalla pula e di dare spazio, nella sua cronaca, anche a percorsi meno battuti sperando di venire a contatto con opere capaci di stupirci in un panorama che rischia di apparire sempre più asfittico.
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