Venezia 76, giorno 9: “Gloria Mundi” di Robert Guédiguain racconta l’odierna rapacità
La nascita della piccola Gloria diventa l’occasione per una riunione di famiglia. Sylvie e Richard sono i nonni, riuniti al capezzale di Mathilda, che però è figlia della precedente relazione di Sylvie con Daniel, ora in carcere per avere ucciso un uomo durante una rissa. La gioia per la nascita di Gloria è però compromessa dalla difficile situazione finanziaria di Mathilda e del marito Nicolas, vittime dei duri tempi moderni mentre Aurore, sorellastra di Mathilda, e suo marito Bruno si stanno arricchendo acquistando a poco prezzo da persone disperate vecchi elettrodomestici da rivendere a prezzo maggiorato, senza mostrare alcun tipo di scrupolo.
A due anni dal bellissimo La casa sul mare, Robert Guédiguain torna in Concorso a Venezia con Gloria Mundi, un altro racconto di crisi che mette al centro la storia di una famiglia. Ma mentre l’opera precedente era ambientata in un milieu cosiddetto bobo (bohèmien-bourgeois) del quale il regista marsigliese metteva in scena tutta l’ipocrisia, questa volta il focus è il mondo dei lavoratori e le difficoltà di sbarcare il lunario in una società sempre più ostile e competitiva che sembra avere bandito ogni minima traccia di solidarietà e coesione.
Proseguendo coerentemente la traiettoria che è da sempre il cuore della sua filmografia, quella di un cinema dichiaratamente e fieramente militante, Guédiguain descrive un mondo in cui il neo-capitalismo sta distruggendo ogni autentica relazione umana e familiare, in cui le persone si avvicinano le une alle altre solo per scambiarsi favori, sesso, denaro in una smania di possesso e in un desiderio di arricchimento che hanno ormai permeato ogni aspetto e ogni strato della società. Significativo, in questo senso, il personaggio di Daniel, ex-marito di Sylvie che, uscito di galera dopo vent’anni, è costretto a vagare in un mondo totalmente diverso da quello che aveva lasciato, un luogo alieno e inospitale del quale non riconosce alcun valore e dove appare impossibile reinserirsi.
Il cineasta marsigliese lavora ancora una volta con il solito cast, che è ormai una sorta di affiatatissima compagnia teatrale, una vera e propria famiglia cinematografica, tra cui spiccano la moglie Ariane Ascaride, i sempre perfetti Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan, i più giovani Anaïs Demoustier e Robinson Stévenin. Ostinato e indomito, come un Ken Loach transalpino, l’autore di opere eccellenti come Marius e Jeannette, Le passeggiate al Campo di Marte, Le nevi del Kilimangiaro, continua a credere nel cinema come arma da combattimento, strumento di analisi della realtà e di denuncia sociale, mezzo per descrivere il mondo com’è e per incitare alla lotta per costruirne un altro diverso. E migliore.
Per quanto meno potente e più programmatico del precedente, viziato da un finale prevedibile, Gloria Mundi riesce ad affrontare il presente con lucidità e senza sbavature: ne viene fuori un’immagine annichilente fatta di bestiale lotta per la sopravvivenza in cui domina il più insano istinto di sopraffazione. Mentre Aurore e Mathilda, con il loro comportamento rapace e il loro desiderio di emancipazione economica a tutti i costi, rappresentano l’immagine di un mondo sempre più teso verso la realizzazione dell’idea hobbesiana dell’homo homini lupus, i loro genitori Sylvie e Richard, onesti e integerrimi lavoratori, con la loro grande tempra morale sembrano essere gli ultimi sopravvissuti di un’umanità che non esiste più e che rischia di restare fuori dalla Storia.
Anche per questioni puramente anagrafiche, è senz’altro in loro, in questi due reduci dal passato, che si rispecchia il punto di vista del regista che non vuole rassegnarsi (e noi con lui) alla vittoria di una presunta società naturale dove non resti spazio per il mutuo soccorso, l’aggregazione costruttiva e la solidarietà di classe. Ed è proprio quest’indomito romanticismo morale e intellettuale, che scorre sotterraneo pur nella disamina di questo sfacelo, a rendere Gloria Mundi un’opera preziosa e accorata, da difendere e proteggere come una specie rara nonostante le sue imperfezioni.
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