Il Mangianastri\Karmacoma – Napoli trip
di Alfonso Tramontano Guerritore
C’era una volta una casa disabitata con un po’ di gente dentro. Fredda pure d’estate, prendeva il fiato dalle serate di storie, dalle persone messe a caso una con l’altra. Da una finestra di legno il panorama era la bocca di un vulcano puntata al cielo, coi paesi cresciuti sulle case e le erbacce a boschi. In mezzo ai fiori arrampicati cresceva un fiume. A primavera, risalendo da un sentiero di muratura, sfilavano le lucciole. Le stanze bastavano per una cena, un rapimento o un nascondiglio per la notte. L’ingresso era libero, a patto di prendere le scale e lasciare aperto. Senza regole procedeva dal borgo il passaggio dei giorni. Qualcuno portava da bere, qualcuno cercava silenzio. Altri facevano bagordi. Un giorno decidemmo che gli ospiti dovevano cambiarsi la faccia e il nome. Poi mettemmo un cesto per le offerte e un vassoio per i pensieri. La prima volta che riportammo indietro gli alcolici scaduti, fu un dentro o fuori. Cominciammo a scegliere.
La casa divenne tiepida, artificiale. Cominciò senza avviso un lento collasso, come accade alle stelle. La sua luce fu la sua idea, sovrastata da pezze di asfalto e lavori, da vernici e rifiniture. Ad un certo punto nessuno ci passava se non per una festa. Nessuno più cantava lanciando bottiglie, l’ultimo giorno dell’anno. L’ultimo gennaio, prima delle partenze, consacrammo le stanze a Dio. Fu un altro errore. C’erano già i diavoli della spartizione, come le vespe all’odore della carne fresca.
«Il bene da solo dura poco», disse la più anziana delle vicine, una sera della settimana santa, quando bussò per fare il pane. All’alba del venerdì di Pasqua, tornammo a dormire. Le voci della processione chiusero la veglia. Poi arrivò la cena, e fu l’ultima. Poi uscimmo, e non tornammo più.
Anni dopo trovai il nome giusto per quella casa, e lo usai per ogni viaggio.
Il regalo degli ospiti, prima di ripartire dal luogo dov’erano stati accolti, in greco si chiama Xenia.