Torino Film Festival giorno 1, la farsa sui nazisti di Taika Waititi è il film di apertura
Si è aperta ieri la 37° edizione del Torino Film Festival che quest’anno sembra apparire, sotto tutti gli aspetti, in tono minore, complice anche una pioggia incessante che rischia forse di impigrire persino un pubblico appassionato e fedele come quello del capoluogo piemontese. Di seguito una breve cronaca dei tre film visti nel corso della prima giornata.
Jojo Rabbit di Taika Waititi: Film d’apertura, inserito nell’eterogenea sezione “Festa mobile”, si tratta del sesto lungometraggio del regista neozelandese, presente già una volta a Torino con il brillante e divertente Vita da vampiro – What We Do in the Shadows, e reduce dal recente blockbuster targato Marvel Thor: Ragnarok. La vicenda ruota intorno al piccolo Jojo Betzler, un bambino che, nella Germania del 1945, sogna di diventare un eroe della gioventù nazista, talmente compreso nel suo compito da avere come amico immaginario addirittura Adolf Hitler, interpretato, a dire il vero un po’ svogliatamente, dal regista stesso. Jojo Rabbit vorrebbe essere una satira che strizza l’occhio agli illustri modelli de Il grande dittatore di Charlie Chaplin e Vogliamo vivere di Ernst Lubitsch ma qui non si va oltre la farsa grossolana, forzata e qua e là pesante, dominata da una serie di gag che fanno leva più sull’astuzia che sull’intelligenza. Il risultato è decisamente stucchevole e le risate intermittenti, con parecchi momenti in cui si gira a vuoto. Se appare lodevole la prova del giovanissimo protagonista Roman Griffin Davis, affiancato dalla brava Thomasin McKenzie (già vista nel bellissimo Senza lasciare traccia di Debra Granik) sembrano essere invece lì solo per la paga Scarlett Johansson e Sam Rockwell, rispettivamente nei ruoli della madre di Jojo e di un bizzarro militare che addestra le giovanissime reclute del Reich.
VOTO: 4,5
Algunas bestias di Jorge Riquelme Serrano: Non è andata molto meglio con questo esordio cileno, primo dei quindici film di “Torino 37”, la sezione competitiva nella quale sono incluse anche due opere italiane: Il grande passo di Antonio Padovan, e Now is Everything di Riccardo Spinotti e Valentina De Amicis, che verranno proiettate nei prossimi giorni. Ambientato su una remota isoletta, Algunas bestias racconta la storia di un nucleo familiare, con tre generazioni a confronto, all’interno del quale si annidano rancori sopiti e passioni proibite e inespresse, che raggiungono il loro culmine quando l’acqua e i viveri cominciano a scarseggiare scatenando i peggiori istinti del gruppo. Le ambizioni sono abbastanza alte e sembrano ammiccare a Teorema di Pier Paolo Pasolini e al più recente Miss Violence di Alexandros Avranas ma i risultati sono ben poco esaltanti. Nella messinscena e nella costruzione della tensione tra i personaggi, che aumenta progressivamente, Serrano mostra tutti i limiti di una regia ancora acerba, poco aiutato da un cast non sempre all’altezza, nel quale spicca Alfredo Castro ormai ingabbiato nell’ennesimo personaggio affetto da turbe psichiche di natura sessuale (basti pensare ai recenti Il Club di Pablo Larraín e Ti guardo di Lorenzo Vigas). Infine, parlando di etica dello sguardo, appare a dir poco discutibile la rappresentazione del sesso in una sequenza che non vi riveliamo, qualora doveste avere la sfortuna di imbattervi in questa bruttura.
VOTO: 3
Ho camminato con uno zombi di Jacques Tourneur: Fortunatamente, il Torino Film Festival offre sempre delle ottime retrospettive, che costituiscono delle vere e proprie oasi, dove ristorarsi dopo qualche camminata nel deserto. Quest’anno i selezionatori del comitato guidato da Emanuela Martini hanno deciso di puntare sui classici del genere horror, con una retrospettiva dal titolo “Si può fare”. Ad aprire le danze, l’ottimo film di Tourneur, uno dei pochi a essere proiettati in pellicola con una copia di ottima qualità, prodotto da Val Lewton, dopo il grande successo ottenuto l’anno prima con lo splendido Il bacio della pantera (anch’esso incluso nel 36 titoli in cartellone). I Walked with a Zombie, girato nel 1943, è un titolo che non ha bisogno di presentazioni, una delle prime opere che inserisce la figura del “non-morto” che qui si ispira al folclore haitiano (con tanto di riti voodoo) e che sarà poi reso celebre qualche decennio dopo da George A. Romero, che declinerà questo mito nella cultura occidentale, facendone in qualche modo la perfetta immagine dell’uomo medio inserito nella società dei consumi. Il film di Tourneur utilizza al meglio le atmosfere dall’aspetto malsano dei luoghi in cui il film è ambientato e costruisce una sagace e intrigante riflessione sul rapporto tra scienza e superstizione, e sulla lotta tra la fiducia nella razionalità e il bisogno di rivolgersi a riti e credenze ancestrali quando le proprie convinzioni cominciano a vacillare. Pur viziato da qualche reticenza in fase di sceneggiatura, il film conserva ancora oggi intatto tutto il suo fascino.
VOTO: 8
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