Torino Film Festival giorno 3, Abel Ferrara si mette a nudo in Tommaso
Passato “Fuori concorso” all’ultimo Festival di Cannes approda anche a Torino, nella sezione “Festa Mobile”, Tommaso, il nuovo lungometraggio di Abel Ferrara. Si tratta di un’opera a metà strada tra il film di finzione e il documentario autobiografico per interposta persona, l’attore Willem Dafoe, alla sua quinta collaborazione con il regista dopo New Rose Hotel, Go Go Tales, 4:44 Last Day on Earth e Pasolini. Tommaso è la storia di un regista statunitense, alter ego di Ferrara, che vive a Roma con la giovane moglie europea Nikki e la loro figlioletta di tre anni Dee Dee. Il loro rapporto è in crisi, e Tommaso non riesce a farsene una ragione, nonostante vi siano molti momenti in cui vediamo un tranquillo ménage familiare con i due coniugi intenti a svolgere le più comuni attività casalinghe: cucinare, lavare i piatti, guardare i talent show in televisione. L’uomo trascorre le sue giornate dividendo il suo tempo tra la preparazione del suo nuovo film, le lezioni per apprendere l’italiano e quelle come insegnante in una scuola di recitazione, il pellegrinaggio nei bar e nei negozi intorno a Piazza Vittorio, gli appuntamenti con il gruppo degli Alcolisti Anonimi dove egli racconta la sua esperienza.
Con questa sua nuova e bizzarra creatura, e servendosi di un digitale leggero, Abel Ferrara decide di mettersi a nudo, come uomo e come artista, al punto da scegliere di affidare le parti della moglie e della figlia di Tommaso a Cristina Chiriac e alla piccola Anna Ferrara, che sono la vera famiglia del regista, e a girare buona parte del film nel suo appartamento all’Esquilino. Con l’impegno e la dedizione che gli sono proprie, Willem Dafoe (che tra l’altro è sposato con la regista italiana Giada Colagrande) si mette completamente a disposizione del regista, assecondando il suo progetto e riuscendo a costruire il suo personaggio in maniera sincera e credibile. Tommaso appare come un uomo fragile e insicuro, che si muove tra i luoghi familiari della sua quotidianità e quelli della sua immaginazione, nella quale si mischiano il terrore che accada una disgrazia alla piccola Dee Dee e quello di essere arrestato e di doversi difendere negli uffici di un oscuro commissariato.
Nell’anno che ha visto l’uscita di molte opere testamentarie (si pensi a The Mule di Clint Eastwood, Dolor y gloria di Pedro Almodóvar, il recentissimo The Irishman di Martin Scorsese) un film come Tommaso, pur nella sua rozzezza stilistica, non manca di efficacia, soprattutto quando il regista sceglie di mantenere uno stile documentaristico e di lavorare per sottrazione. In particolare, grazie all’impegno di Dafoe, molto toccanti appaiono le sequenze all’interno del Club degli Alcolisti Anonimi quando il regista, attraverso la voce di Dafoe, racconta la sua storia di ex-tossico, il periodo trascorso nei centri di riabilitazione, il suo incontro, anni dopo, con un medico che si disse felice di ritrovarlo ancora vivo. Se ha dei limiti, Tommaso, essi stanno innanzitutto nel fatto che, a un certo punto, vediamo il personaggio percorrere sempre gli stessi posti, facendo le medesime cose, senza che Ferrara riesca a immettere un minimo di varietà nella ripetizione e nel modo di raccontarla finendo per rendere il racconto talvolta troppo prolisso.
Dopo una prima parte abbastanza buona, nella seconda Tommaso, questo “ritratto di un artista da vecchio”, descrive un uomo incapace di fare realmente i conti con se stesso: se in The Mule Eastwood prende in giro il suo personaggio con amabile ironia, giocando con l’immagine di sé che anche lui ha contribuito a costruire, e Almodóvar è capace di riconoscere e raccontare la propria senilità in maniera lucida e sentita, Ferrara sembra invece presentarsi come un uomo bloccato, qualcuno che non riesce né a trovare la propria tranquillità di uomo maturo né di rivendicare, al contrario (e legittimamente) la propria inquietudine e la propria diversità. Al contrario, in maniera forse un po’ infantile e stucchevole, Ferrara preferisce presentarsi (ancora!) come l’artista maudit ed eccentrico che sembra chiedere al pubblico compatimento, piuttosto che empatia. Paradigmatica, in questo senso, è la sequenza in cui egli si mostra nelle vesti del Cristo, il martire per eccellenza, crocifisso davanti alla Stazione Centrale di Roma in una sequenza che, nonostante sia anche un modo per citare il cattolicesimo debordante di molto suo cinema precedente e per omaggiare lo stesso Dafoe (che fu Gesù per L’ultima tentazione di Cristo di scorsesiana memoria) appare decisamente fuori tono sotto tutti i punti di vista al punto da rasentare lo scult. Tommaso finisce dunque per risolversi, in definitiva, come l’opera di un autore che, perduto lo smalto dei tempi migliori, sembra girare un po’ in tondo e il cui immaginario appare decisamente troppo logoro.
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