Claire e il fascino frustrato della borghesia
Che in terra francese la satira non la mandi mai a dire è cosa nota. Eppure in occasione della recente scomparsa di Claire Bretécher, persino un personaggio estremo come il Porcone di Reiser avrebbe tenuto a freno la lingua abbozzando in silenzio un rispettoso saluto. Questo ispira tuttora la perdita di una temibile fustigatrice di costumi, ai quali ha sempre dispensato sberle con la forza morale del pugno ferreo nascosto sotto un vellutato aspetto da modella di Vogue. Bionda come Simone Signoret, col viso sfrontato di una Françoise Hardy, affilata come lo sguardo algido di Charlotte Rampling, l’autrice esordita sotto l’ala di René Goscinny (il papà di Asterix), comincia giovanissima la sua carriera artistica nel campo editoriale. Professione che le apre ben presto le porte del successo tramite le inquadrature di una tavola a fumetti e non quelle del grande schermo – mondo dove sarebbe fatalmente approdata comunque nel ’78 recitando nel film Le strade del sud di Joseph Losey.
Il tratto rapido e nervoso della disegnatrice originaria di Nantes, fa sì che ad appena vent’anni la Bretécher possa collaborare a due testate che sono il pasto principale dei giovani lettori d’Oltralpe, ossia Tintin e Spirou. E’ su quest’ultimo settimanale che, all’inizio degli anni ’60, crea la serie dei Gnangnan, insopportabili neonati, prepotenti e rompiscatole, che si diverte a rappresentare in tutta la loro perfidia di mine vaganti, capaci di mille astuzie pur di devastare la pax adulta.
I pestiferi bebè, professionisti del pianto a dirotto, delle deiezioni più copiose e inopportune e della lagna modulata degna di una sirena da cantiere navale, sono un ottimo esempio della fine che fa ogni retorica passando per le mani della bella umorista: polpette. Così come affronta i suoi pupi, pubblicati tardivamente anche in Italia sul mensile Il Mago, la Bretécher affronta poi il Medioevo per le pagine di Pilote, altro caposaldo della stampa giovanile. E’ così che nasce Cellulite, la sboccata principessa affamata di uomini che, con l’ostacolo di un fisico non proprio di prima scelta e i maneggi di un padre nevrotico, cerca il suo principe azzurro affondando ogni luogo comune fiabesco sotto raffiche di cinismo e perfidia.
Dal ’72, unendosi ai colleghi Marcel Gotlib e Nikita Mandryka, entrambi autori di gustosissime parodie e di storie surreali, dà vita alla rivista L’echo des savanes un’avventura editoriale di cui i tre sono assoluti protagonisti per le prime annate fino all’ingresso di rincalzi eccellenti come Alexis, Alejandro Jodorowsky, Moebius, Jean Solé, Gerard Lauzier, etc.
Intanto, già rispettata come autrice originale e dotata di una sintesi grafica capace di rendere ambienti e personaggi con caustica espressività, la disegnatrice nel ‘72 realizza per il settimanale Le Nouvel Observateur la serie che più di ogni altra conquisterà i favori del pubblico, i Frustrati.
Le tavole dei Frustrati nascono e prosperano in piena contraddizione dell’adagio che invita a non sputare nel piatto in cui si mangia. La Bretécher, controcorrente com’è, lo fa e più che nel piatto sputa nell’occhio dei suoi lettori facendo da specchio a tutte le loro meschinerie e illusioni di borghesi illuminati (o presunti tali) che si traducono in velleità frustrate radical-chic.
Ci va giù pesante la nostra Claire e non risparmia nulla, dalle ambizioni artistiche da salotto, agli intellettualismi sterili, al bigottismo imbiancato di politically correct, alle vite sessuali tristissime, il tutto immerso in un chiacchiericcio verboso, autoreferenziale, frivolo nella sua pesantezza che sommerge l’andirivieni di queste macchiette metropolitane.
Insomma, lei mena, con una ferocia che non si stempera con gli anni e loro, le vittime, la amano. I Frustrati diventano uno spaccato sociologico benedetto persino da Roland Barthes e ristampato in più volumi, dal finire degli ’80. Inoltre, essi si accompagneranno a un altro bersaglio/specie protetta, la gioventù incarnata dall’irritante teen-ager Agrippine, quest’ultima così ben voluta dal pubblico da diventare anche una serie televisiva su Canal plus nel 2001.
Si sentirà la mancanza del coraggio e della vitalità di questa dispensatrice di sciabolate e risolini nevrotici, abile nell’arte del ritratto pittorico con lo stesso acume con cui ha dissezionato le vite delle sue formiche in eskimo e jeans firmati. Facendosi beffe delle loro figuracce, sottolineate con la stesso sadico distacco che ritroviamo nei tragicomici profili borghesi di Lauzier, la bionda Claire continua a inoculare il germe di un dubbio. Forse ci sfugge che in mezzo a quelle vignette, in prima fila tra la folla ci siamo anche noi.