Lucio Dalla nella sua “Sera dei miracoli”
Durante un concerto tenuto al teatro greco di Tindari, Lucio Dalla descrisse i momenti in cui aveva concepito e scritto una canzone. La sera dei miracoli, arrivata dopo una notte in cui il suo autore era rimasto colpito da un “momento di fuoco di Roma”, un frangente di “grande gioia collettiva”, quando nei pressi della sua abitazione a Trastevere, Dalla aveva avvertito il coinvolgimento emotivo con quell’affresco gioioso improvvisamente manifestatosi durante quella notte d’estate.
Ne venne fuori una specie di romanza sull’eterna e misteriosa relazione tra l’io e l’es, stavolta, però, rappresentata secondo un dirimpettaio noto e privo di maschera. Una polifonia di presenze evocate e contemplate dalla voce narrante sostano presso una poderosa natura viva dove le immagini seguono una direzione profonda e diretta a un punto lontanissimo, forse, destinato al luogo più estremo e lontano dell’orizzonte. Il punto che non esiste, eppure c’è.
Un noi e loro alla Us and Them – curioso e suggestivamente emblematico che Lucio Dalla sia scomparso lo stesso giorno di pubblicazione di The Dark Side of the Moon –, teso tra una moltitudine di sponde vive e retrattili, tra cui la città-nave trasporta chiunque disposto ad aderire al suo indecifrabile codice della navigazione.
“Una sera così strana e profonda che lo dice anche la radio
Anzi la manda in onda
Tanto nera da sporcare le lenzuola
È l’ora dei miracoli che mi confonde
Mi sembra di sentire il rumore di una nave sulle onde
Si muove la città
Con le piazze e i giardini e la gente nei bar
Galleggia e se ne va
Anche senza corrente camminerà
Ma questa sera vola
Le sue vele sulle case sono mille lenzuola”
Lucio Dalla, o almeno l’io che declina le fasi della canzone, si accomoda come un Bartleby inverso, primo disposto ad accogliere il caos dolcissimo e malinconico portato alla sua sponda da questo grande movimento. Nessuna ostilità, una no machine che, però, nella sua magica e ondosa fluidità non può nascondere il volto di quell’imprevedibile disorientamento che la sottrazione delle cose preziose suscita nel saggio del verbo perdere. Il meno è un segno inevitabile nella sommatoria della vita.
“E in mezzo a questo mare
Cercherò di scoprire quale stella sei
Perché mi perderei
Se dovessi capire che stanotte non ci sei”
La grazia e la religiosità di questo rapporto non agiscono dividendo, ma riunendo e confortando i suoi fedeli naviganti in una rassicurazione. Se al principio del brano Lucio Dalla ha scritto che “Qualcuno nei vicoli di Roma fa a pezzi una canzone”, il suo finale salda il conforto nella sua ricomposizione. Perché, adesso, la stessa mano che ha ammonito la presenza di qualcuno che “fa a pezzi una canzone”, confessa che la sta scrivendo nella serenità secondo cui la nave non ha condotto i suoi passeggeri verso la tempesta, ma al sicuro in quel luogo dove il riposo sarà un ingresso all’oblio o a un prezioso ricordo. Il dubbio su un’alternativa che è costantemente contesa nel dialogo eterno tra noi e loro.
“È la notte dei miracoli fai attenzione
Qualcuno nei vicoli di Roma
Ha scritto una canzone
Lontano una luce diventa sempre più grande
Nella notte che sta per finire
E la nave che fa ritorno
Per portarci a dormire”