Un “Che bello Gallico” per Albert Uderzo
In un tragico momento come questo, dominato dall’azione cieca e orizzontale della pandemia che quotidianamente sta falciando vite in tutte le parti del mondo, la confusione e la sovrascrittura mediatica ci intontisce come non mai, ovattando nel chiuso dei nostri bozzoli di cemento ogni consapevolezza o capacità empatica. Da rifugiati (o prigionieri), di una tempesta che viaggia nell’aria, stando al coperto ci offriamo per assurdo a un perturbazione altrettanto impalpabile che pare trovare nei numeri, nel loro accumulo in liste dalle sequenze infinite, un malsano appagamento fatto probabilmente di distacco. Un esorcismo involontario che smorza il dolore della perdita nella massificazione, nell’anonimato offerto delle cifre, sufficientemente neutre e lontane per avere una fisionomia riconoscibile e quindi lontane anche da noi.
In questo contesto straniante, dunque, risulta difficile dare rilievo a una singola perdita, sottraendola alla cancellazione che il contagio sta operando dovunque nel mondo, tuttavia non si può non commentare la recente scomparsa di un uomo non toccato dal Covid19 e dall’età più che avanzata, la cui fine rattrista comunque lasciando un vuoto significativo. Albert Uderzo, una colonna portante del fumetto mondiale, si è spento il 24 marzo andando a raggiungere gli amici e colleghi che l’hanno preceduto con decenni di anticipo, per comporre un Panthéon di autori tra i più prolifici e amati della letteratura disegnata.
Pensando a una immaginaria reunion dei creatori di “Pilote”, il settimanale francese che li ha visti dar vita insieme a personaggi memorabili, ci si può figurare l’abbraccio commosso del belga Jean-Michel Charlier, il creatore di Blueberry, Buck Danny, Barberouge, scomparso nell’89, e soprattutto le battute salaci dell’amico fraterno René Goscinny. Lo spiritoso e geniale sceneggiatore parigino se n’era andato nel ’77 lasciando a Uderzo una grandissima responsabilità, pesante da reggere quanto un paiolo pieno fino all’orlo di pozione magica. Occuparsi da solo dei personaggi forse più popolari del moderno fumetto francese, nonché i più esportati in tutto il mondo sin dal loro esordio del ‘59, ovvero Asterix le Gaulois e compagni. Un compito che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque.
La strana coppia di guerrieri costituita da Asterix e Obelix, equivalente fumettistico dei bizzosi coinquilini newyorkesi di Neil Simon, non è certo la prima produzione di Alberto Aleandro Uderzo, infatti lo squisito disegnatore di origine italiana, esordisce proprio illustrando delle serie di ambientazione storica, produzione che realizza tra la Francia e il Belgio, a partire degli anni ’40, lavorando professionalmente come molti altri colleghi per alcune agenzie di distribuzione internazionale.
Caratterizzandosi sin dall’inizio con uno stile grottesco e dinamico insieme, Uderzo potenzia nel tempo questa duttilità muovendosi agevolmente negli scenari umoristici dei medioevali Arys Buck o Belloy, così come nelle avventure dei piloti Tanguy e Laverdure, di stampo più realistico, in cui Charlier non manca comunque di inserire sdrammatizzanti siparietti comici.
L’inconfondibile maniera di Uderzo si basa su un segno che, pure restando pienamente nel solco degli stilemi della bédé franco-belga, li interpreta in maniera originale conferendo alle azioni e ai gag una regia visiva di rara efficacia. Grazie alla padronanza consumata di anatomie e ambientazioni, Uderzo impagina nelle sue tavole la spettacolarità del cinema e la comunicativa del teatro, sfruttando così tutte le inquadrature e i movimenti di macchina che il foglio gli consente, Dalle grandi vignette multiple corali o nei ritmati piani sequenza, la lettura scorre veloce, animata dal tratto sciolto e nervoso, ricchissimo, comunque, di particolari. Altrettanto virtuosa è la mimica straordinariamente espressiva dei suoi “attori” di carta, le cui smorfie degne della comicità di un De Funès o un Fernandel rafforzano i testi ricchi di calembour e trovate esilaranti dell’amico fraterno Goscinny, o i solidi scenari costruitegli da Charlier.
L’attività copiosa prodotta in sessant’anni e più di carriera rendono scoraggiante la ricostruzione sistematica di una produzione fresca, diversificata, sempre improntata a un’altissima qualità e culminante nell’avventura editoriale in proprio con le edizioni Albert-René (in omaggio allo sceneggiatore Goscinny). Soffermandoci su quest’ultima, possiamo rimarcare che con essa il disegnatore si assume il non facile impegno di proseguire la serie di Asterix, arrivata al venticinquesimo volume con l’album Asterix e i Belgi, uscito postumo nel ’79 e ripartita nell’80 con la piena gestione di testo e disegni di Asterix e il grande fossato del 1980. Un traguardo che fa da blocco di partenza a una successiva, lunga sequenza di titoli.
Senza deludere le aspettative del proprio enorme pubblico, il successo del piccolo guerriero gallico è amplificato dalle traduzioni in 10 lingue straniere, da trasposizioni cinematografiche sia a cartoni animati e con attori e la costruzione un parco tematico inaugurato nel ’89 vicino Parigi. Dal suo primo “assolo” il grande disegnatore continua a curare personalmente la serie per nove albi, passando il testimone dal trentacinquesimo numero ad oggi allo sceneggiatore Jean-Yves Ferri e il disegnatore Didier Conrad.
In Italia la presenza di Uderzo è stata introdotta da testate storiche del fumetto per ragazzi, come il Corriere dei Piccoli o il Giornalino pubblicando le avventure satiriche dell’indiano Oumpah-Pah e ripubblicando Asterix, già apparso inizialmente sulle pagine de Il Mago, della Mondadori e su un supplemento di Linus. Il duo Tanguy e Laverdure, invece esce sulla splendida collana I Classici Audacia, ai cui albi monografici si aggiungono le apparizioni di Belloy sulla rivista-contenitore “L’Avventuroso”, omaggio/citazione dell’omonima testata della Nerbini.
Gli equilibri sociali del tormentato ventunesimo secolo, oggi sono più che mai in forse sotto l’assedio di un male incontenibile, finché c’è memoria umana, però, resteranno vivi i suoi miti più cari, inattaccabili creature fatte di idee e immagini. E più lieve dev’essere la sorte dei loro autori più amati, la cui verve frizzante e vitale continuerà ad esistere come un virus benigno che si nutra solo delle nostre risate.