‘Amour’ di Michael Haneke, un magistrale concerto a due voci con un grande direttore d’orchestra
Georges e Anne, due anziani coniugi, insegnanti di musica in pensione, vanno ad assistere al concerto di un ex-allievo di Anne. La mattina dopo, mentre fanno colazione, Anne ha un momento di paralisi cerebrale che in breve si trasforma in un vero e proprio ictus che le paralizza la parte destra del corpo e la costringe sulla sedia a rotelle. Per i due coniugi è l’inizio di un lungo calvario a causa della degenerazione della malattia di Anne, pazientemente e amorevolmente assistita dal marito [sinossi].
Michael Haneke, considerato uno dei massimi registi viventi, fu il trionfatore indiscusso (e per molti indiscutibile) dell’edizione 2012 del Festival di Cannes, presieduto da Nanni Moretti, che non ha mai nascosto l’ostracismo verso il maestro austriaco (ormai francese d’adozione), da lui considerato troppo duro e cinico. Per questo suo lavoro, Haneke abbandona l’epica corale de Il nastro bianco (2009, altra Palma d’Oro) a favore di una dimensione più intimista, circoscritta a due soli personaggi. Tuttavia, più che al suo film precedente, Amour sembra rimandare, dal punto di vista della struttura filmica, al bellissimo Storie (2000). Anche questo film, infatti, è costituito, come l’altro, da una successione di piani-sequenza, più o meno lunghi e quasi sempre statici.
La vicenda è presentata come se ci venisse mostrata una serie di quadri che scandiscono l’evoluzione della malattia della protagonista e il progressivo e inesorabile auto-isolamento fisico ed emotivo della coppia. Il tempo reale e il tempo dell’azione finiscono quasi sempre per coincidere e la macchina da presa diventa allora una sorta di testimone impassibile (e implacabile) del lento disfacimento di questo corpo, delle sue menomazioni, delle sue secrezioni, della sua progressiva ed irreversibile consumazione. Per questa ragione Amour è, allo stesso tempo, la dolcissima storia di un amore pluriennale che prova a resistere all’inevitabile tragedia del passare del Tempo (“Sei ancora bellissima” dice teneramente Georges ad Anne al ritorno da un concerto cui la coppia ha assistito) ma anche la cronaca impietosa di una vita che sfiorisce.
Rimase quindi deluso e spiazzato chi si aspettava, dopo aver spulciato la sinossi, un Haneke più riconciliato, pacificato o “normalizzato”: ci troviamo invece di fronte ad un’opera dolorosa e gelida, realissima e crudele, di assoluto rigore estetico che rischia talvolta di trasformarsi in un puro esercizio di stile. Il film, oltre a valersi di una calibratissima sceneggiatura, di precisione quasi millimetrica, è sostenuto dalle magistrali interpretazioni dei due protagonisti, in gara di bravura. Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, al loro ritorno al cinema dopo circa nove anni, disegnano i loro personaggi con straziante intensità e grande finezza psicologica, riuscendo a comunicare emozioni col solo fremito di un labbro o con un semplice sguardo.
Il centro del film è la figura umana, il corpo, nella sua sofferenza, nella sua presenza massiccia e quasi ingombrante, del quale viene analizzata anche la sua assenza. Esemplari, in questo senso, nella loro complementarietà, la sequenza in cui Anne guarda un album di vecchie foto di lei e Georges in bianco e nero, e quella in cui Georges, al contrario, contempla dei paesaggi desolati dai quali sembra quasi che la figura umana si sia ritirata, estinta, dissolta, lasciando solo un enorme vuoto. Sara la loro figlia unigenita Eve (Isabelle Huppert in un ruolo di contorno) la persona cui la Vita affida il compito di riempire quel vuoto con il suo corpo ancora in salute. Film da camera, girato completamente in interni, Amour è un’opera dura e difficile, spietata e umanissima, a tratti insostenibile, che chiede allo spettatore lo sforzo e la pazienza di trarre dal “poco” che vi è mostrato il “molto” che vi è racchiuso. Recuperatelo, se potete. Vale.
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Il film è visibile in streaming a pagamento al seguente link: https://it.chili.com/film/amour-2012/06ed83d2-832f-49dc-bf29-d48804bd6e68