Venezia 77, giorno 1. Prime impressioni (e recensioni)

Si parte. Dopo la serata di pre-apertura (ormai una consuetudine qui al Lido da molti anni), con la proiezione di Molecole, documentario Fuori Concorso diretto da Andrea Segre, oggi la Mostra del cinema di Venezia apre ufficialmente i battenti sebbene bisognerà aspettare domani per vedere i primi film che si contenderanno il Leone d’oro. Quest’anno, infatti, la prima giornata prevede soltanto film inclusi in altre sezioni. Certo, al momento l’atmosfera non è quella delle grandi occasioni (e come potrebbe esserlo?) e anche le presenze sono sensibilmente ridotte, sia per una drastica riduzione degli accrediti sia perché anche alcuni membri della stampa, pur accreditati, hanno scelto di saltare un giro: troppa fatica tra aumento dei controlli, obbligo di mascherina durante le proiezioni, un sistema di prenotazioni nuovo e non sempre supportato da una piattaforma informatica capace di reggere il massiccio numero di accessi. Naturalmente, qualsiasi giudizio o bilancio è prematuro sebbene l’organizzazione sembra reggere la prova e il protocollo di sicurezza viene rispettato con grande senso di responsabilità. In attesa di entrare nel vivo, riportiamo una sintesi succinta delle cose viste sino a questo momento.

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Molecole di Andrea Segre (Fuori Concorso): Rimasto a bloccato a Venezia nei mesi del lockdown, Andrea Segre ne ha approfittato per girare alcune immagini della città deserta e per incontrare alcuni suoi abitanti. Il racconto dei mesi del Covid si mescola con il ricordo della città sommersa dall’acqua nella tragica notte del 12 novembre 2019, quando la marea raggiunse 187 centimetri, e con un ritratto familiare in cui il regista ripercorre il suo rapporto con il padre Ulderico, scienziato che si occupò, tra le altre cose, dello studio delle molecole, le stesse che oggi sono portatrici di questo strano morbo dei giorni nostri. Il documentario di Segre si snoda, dunque, seguendo varie traiettorie, troppe per un film di soli settanta minuti. Oscillando tra il diario intimo, il resoconto sulla singolarità di una città e della sua storia, lo spaccato di vita cittadina e le immagini spettrali di un luogo svuotato della presenza dei turisti, presenti in laguna tutto l’anno, il lavoro di Segre appare troppo ondivago e discontinuo, un calderone in cui il regista rimesta argomenti in eccesso senza che il suo film riesca a trovare la quadra. Restano solo alcuni bei filmati d’archivio e qualche suggestiva immagine di una Venezia spettrale e deserta.
Voto: 5

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Apples di Christos Nikou (Orizzonti): Film d’apertura della sezione “Orizzonti”, è l’esordio nel lungometraggio di Nikou, già assistente alla regia di Yorgos Lanthimos e Richard Linklater. Apples è un racconto distopico in cui si immagina un mondo colpito da una pandemia che genera in molti abitanti un’improvvisa e inguaribile amnesia. Al protagonista Aris viene proposto un programma di recupero che consiste nella creazione di una nuova identità facendo tabula rasa del suo io precedente e costruendo un nuovo sé attraverso l’esecuzione di alcuni compiti impartiti dai medici che lo hanno in cura per mezzo di alcune cassette audio (il film è ambientato in una non precisata epoca pre-tecnologica). Aris dovrà poi scattare delle fotografie degli ordini eseguiti per mezzo di una Polaroid e incollarle su un album in modo da impiantare nel suo cervello una nuova mappa di ricordi. Nikou riflette sullo statuto delle immagini e sulla loro possibilità di divenire strumento di formazione della personalità. Idea interessante, che però non trova una realizzazione degna di particolare rilievo. Il racconto mostra, infatti, ben presto tutta la sua natura programmatica. La sceneggiatura, che sembra ricalcare scopertamente akcuni incubi distopici inventati da Efthimis Filippou per i film di Lanthimos (basti pensare a Dogtooth o a The Lobster) risulta nel complesso abbastanza scolastica, per quanto non manchi qualche momento riuscito. Finale deboluccio.
Voto: 5,5

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Lacci di Daniele Luchetti (Fuori Concorso): Tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone, che sceneggia insieme a Francesco Piccolo e allo stesso Luchetti, Lacci è la storia del matrimonio di Aldo De Simone e di sua moglie Vanda, coppia consolidata che ha messo al mondo due figli. I coniugi entrano in crisi quando l’uomo, giornalista radiofonico, si innamora della giovane collega Lidia. La relazione tra Aldo e Lidia scatena la gelosia di Vanda che giunge sino all’autolesionismo. Il film ci mostra i due personaggi che trent’anni dopo sono ancora insieme, alle prese con i litigi di sempre e con una rabbia mai sopita, pentola a pressione in continua ebollizione. Dopo un inizio accettabile, per quanto abbastanza di prammatica, Lacci perde colpi e pezzi man mano che scorre davanti agli occhi dello spettatore. Luchetti, regista ormai decisamente in declino, non riesce a infondere alla materia la complessità psicologica necessaria. Il cast, composto da nomi molto popolari come Luigi Lo Cascio, Alba Rohrwacher, Silvio Orlando, Laura Morante, Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno, è lasciato a briglia completamente sciolta, e gli attori offrono una performance ben al di sotto del minimo sindacale richiesto, con momenti recitativi ai limiti dell’imbarazzo. Decisamente discutibile la scelta di far interpretare lo stesso personaggio a Alba Rohrwacher e Laura Morante, senza curarsi delle regole minime della fisiognomica. Girato quasi tutto in interni, sottoutilizzando le due location di Napoli e Roma, il film ha le ambizioni del melodramma ma lo svolgimento e gli esiti di una soap opera dozzinale. Non proprio azzeccata la scelta di collocarlo come opera d’apertura della Mostra, per quanto anche qui vada considerata la particolarità del momento.
Voto: 4

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The Book of Vision di Carlo S. Hintermann (Settimana della Critica, Evento Speciale): Primo lungometraggio di finzione di Carlo S. Hintermann, regista e produttore italo-svizzero, The Book of Vision è stato il film d’apertura della 35° edizione della Settimana Internazionale della Critica, la sezione curata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. The Book of Vision è la storia di Eva, che abbandona la sua carriera di medico oncologo, per immergersi nella Storia della medicina e mettere in discussione tutto: la propria natura, il proprio corpo, la propria malattia, un destino segnato. La sua storia si incastra con quella di Elizabeth e di Johan Anmuth, un medico prussiano del Settecento in perenne conflitto tra nuove spinte razionaliste e antiche forme di animismo͘. Hintermann, cui si deve il bellissimo documentario (con inserti di animazione) The Dark Side of the Sun, è stato, tra le altre cose, aiuto regista del grande Terrence Malick, che qui figura come produttore esecutivo. E in verità The Book of Vision è impregnato del cinema del grande cineasta statunitense, compreso l’utilizzo del grandangolo, che lo rende pesantemente derivativo. Ci siamo trovati di fronte a un’opera dalle grandi ambizioni, complessa e stratificata, impreziosita da splendide immagini, ricca di momenti suggestivi ma viziata da un eccesso di magniloquenza, da un sovraccarico di simboli e da un intreccio che appare troppo macchinoso. Tuttavia, per quanto ci riguarda, non si può fare a meno di apprezzare la grande generosità della sontuosa messinscena, l’intrigante riflessione sul rapporto tra il rigido determinismo scientifico e la volontà, insita nell’animo umano, di scovare nella natura significati metafisici, capaci di scavallare lo sguardo ravvicinato sulle cose per cercare di spingersi oltre l’ostacolo. The Book of Vision mette in scena il conflitto tra razionalismo e fede, e soprattutto ragiona sulla prevaricazione del primo nei confronti della seconda, sul rapporto tra gli spietati mezzi del Potere e i tentativi di resistenza da parte di esseri apparentemente meno dotati. Da difendere, anche nei suoi eccessi.
Voto: 7

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