Quino, L’intelligenza nel pennino.

Un autoritratto di Quino degli anni ’70  lo consegna in questo modo alla memoria: un uomo snello e longilineo dai capelli indomabili fissa davanti a sé. La postura del corpo, con le mani in tasca, lo mostra tra il timido e il difensivo: lo sguardo fermo dietro gli occhiali dalla grande montatura, però, sottende una saldezza di idee di cui gli abiti confermano l’orientamento ideologico. Maglione a girocollo, stazzonati pantaloni di fustagno e Clarks ai piedi, forse non il ritratto di un rivoluzionario, ma di un impegnato sì, un No-Global ante litteram, un uomo che osserva il mondo e diffida di quel che vede.

In una sola immagine, con la finezza e l’arguzia che ha contraddistinto tutta la sua produzione grafica, Joachim Salvator Lavado Tejon, in arte Quino, ha lasciato la sua impronta identitaria nel medium fumetto utilizzandolo come megafono per scuotere le coscienze, per riflettere, per difendersi.

Quino ci ha lasciato il 30 settembre a Buenos Aires, la città che ha fatto da sfondo alla sua creazione più popolare, l’integerrima e irriducibile Mafalda, e dopo i tanti balloons (nuvole) disegnati nelle sue tavole ora è andato a occupare la propria nuvola celeste, dove può continuare a osservare con ironia, rabbia e tenerezza insieme l’insensato e struggente spettacolo della vita.

L’acutezza dello sguardo critico, il segno sapiente e chiaroscurato come un’acquaforte, hanno sposato in Quino una straordinaria fertilità ideativa, in grado di produrre vignette esilaranti  sempre veicolo di significativi messaggi. A partire dalla sopracitata Mafalda, Quino utilizza il format della striscia umoristica per inscenare in quattro vignette delle perfette macchine filosofiche, sillogismi brucianti in cui alle premesse delle prime immagini segue la mannaia della sentenza con cui la sua bambina ci sbatte in faccia verità più o meno imbarazzanti. Il fumetto, nato nel ‘63 per scopi (paradossalmente) pubblicitari, vede la sua prima pubblicazione l’anno seguente surfando in pochi anni da testata a testata per approdare a “El Mundo” sull’onda di un crescente favore del pubblico, un successo che non conosce flessioni anche dopo la chiusura della striscia nel ’73, portando riconoscimenti pubblici, infinite ristampe e versioni televisive e cinematografiche.

La struttura della strip è imperniata sul classico gruppetto di bambini saccenti e il loro microuniverso familiare, non discostandosi troppo dal modello dei Peanuts di Schultz o dai polemici mocciosi di Mell Lazarus in Miss Peach. Rispetto agli altri “colleghi” citati, però, l’originalità di Mafalda è la fedele rappresentazione del mondo dell’infanzia coi suoi piccoli drammi (l’angoscia dei compiti rimandati di Felipe), o le fantasie e gli innamoramenti folli, o ancora le idiosincrasie alimentari (vedi l’odiata minestra di Mafalda). Alle figure dai ruoli archetipi di sognatori, vanitosi o gretti apprendisti commercianti, calati tutti in una quotidianità in cui ognuno può riconoscere la propria fanciullezza fa contrasto il forte impegno sociale ed ecologico della protagonista, i cui ragionamenti adulti vanno a mettere in crisi gli adulti veri, molto più ingenui e sprovveduti di quanto vorrebbero far credere.

Polemica e inflessibile come una Greta Thumberg, ma più simpatica e (tutto sommato) umana nelle sue esternazioni, Mafalda conquista il pubblico internazionale. Eppure, neanche il grande successo riesce a dissuadere Quino dall’abbandonare la striscia – virtualmente infinita, ma vincolata da schemi fissi –  alla quale preferisce la piena libertà delle sue tavole o vignette in cui si può esprimere con maggiore libertà, utilizzando le soluzioni e i registri narrativi più diversi.

Paragonabile ai grandi disegnatori del “New Yorker”, Quino riesce a sorprendere con una sintesi d’immagine portentosa, raccontando la società contemporanea tramite tranche de vie muti e surreali alla maniera del primo Steinberg, oppure può inscenare microstorie dal sapore esistenziale con un gusto dell’ assurdo che ha radici nel teatro di Ionesco o di Beckett. Gli schemi alla base dell’elemento umoristico variano di continuo, alimentati da un’intelligenza perennemente sveglia e attenta, quasi uno scanner che coglie contraddizioni, risvolti illogici e falsità del reale attraverso una cifra stilistica assolutamente godibile, elegante nell’uso del linguaggio come nella ricerca grafica. Quest’ultima dotata di una varietà di soluzioni visive, dalla schematicità che rende riconoscibili i cartoon dei propri celebri colleghi sudamericani, come Ziraldo o Amengual, oppure Oski, coi quali coabita sulle pagine dei magazine di tutto il mondo.

Si è parlato di intelligenza grafica, parafrasando un titolo del ’99 della rivista Ispano-Messicana “Letras libras”, che parla di “intelligencia del corazòn”, identificando l’interlocutore a cui si rivolge la satira di Quino nel punto di incontro tra ragione e sentimento. Di certo la componente poetica ha un ruolo privilegiato nelle sue invenzioni raccontando con garbo e ironia di solitudini, desideri, fughe dai propri limiti, come nella vignetta del violinista nel monolocale che suona a un pubblico di orecchie disegnate sul muro o, per concludere il discorso, la vignetta apparsa sul mensile Mondadori “Il Mago” che da sola  potrebbe rappresentare il compendio dello stile e del “Quino-pensiero”.

Seduto su una coltre di nuvole, un grande vecchio dalla barba bianca e dall’aureola triangolare si sbellica dalle risate leggendo un grosso volume rilegato. Nel titolo del trattato c’è la spiegazione di tanta ilarità. Non si tratta di un romanzo umoristico o una commedia. È un libro di fisica.

Un pensiero riguardo “Quino, L’intelligenza nel pennino.

  • 3 ottobre 2020 in 17:18
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    Accurato e attento articolo sulla complessità semplice di Quino. Le citazioni sono messe ad arte e contestualizzato la poetica di Mafaldina.

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