‘Cosa sarà’ di Francesco Bruni, la voce del sangue
La vita di Bruno Salvati è in una fase di stallo. I suoi film non hanno mai avuto successo e il suo produttore fatica a mettere in piedi il prossimo progetto. Sua moglie Anna, dalla quale si è recentemente separato, sembra già avere qualcun altro accanto. E per i figli Adele e Tito, Bruno non riesce a essere il padre presente e affidabile che vorrebbe. Un giorno Bruno scopre di avere una forma di leucemia [sinossi].
François Truffaut una volta ebbe a dire che il cinema è qualcosa che va fatto insieme alle persone che ami, ed è vero che spesso, per quanto non sempre, queste persone coincidono con i propri familiari, cioè con coloro nelle cui vene scorre il tuo stesso sangue. Il sangue, appunto, in Cosa sarà è un elemento che assume un’importanza a dir poco cruciale. È, infatti, questo prezioso tessuto fluido che si muove nel nostro apparato circolatorio il protagonista del quarto lungometraggio di Francesco Bruni, sceneggiatore di lungo corso, collaboratore storico di Paolo Virzì che, con questo film, firma la sua opera più intima e personale. Come ha rivelato il regista, la storia di Bruno Salvati, che scopre di essere affetto da un tumore del sangue, pur con l’inserimento di qualche elemento di finzione, coincide con la sua vicenda privata che lo ha visto, circa tre anni fa, lottare contro una forma di leucemia, la mielodisplasia, e salvarsi grazie a un trapianto di cellule staminali ricevuto dal fratello.
Tuttavia, lo script, firmato naturalmente dallo stesso Bruni con la collaborazione del protagonista Kim Rossi Stuart, evita di appiattire la storia nel mero resoconto clinico cercando invece traiettorie più complesse e stratificate, per quanto presentate allo spettatore in maniera semplice e limpida, senza troppi orpelli. Il racconto mescola, infatti, tre dimensioni: il presente, con la descrizione del calvario del protagonista e dell’universo umano (familiare, lavorativo, ospedaliero) che lo circonda; il passato, con il ricordo dolce e affettuoso della madre che, come mostrava un film di Virzì, co-sceneggiato da Bruni, è sempre “la prima cosa bella” che un essere umano incontra; infine il sogno, forse l’aspetto meno riuscito e compiuto, in cui abbiamo la rappresentazione plastica delle paure e delle angosce di Bruno/Bruni nei suoi momenti di deliquio durante il periodo delle sedute di chemioterapia.
Cosa sarà è senza dubbio uno dei migliori film italiani di questa disgraziata stagione cinematografica, un’opera i cui numerosi pregi fanno presto dimenticare qualche piccolo passaggio a vuoto qua e là. I suoi maggiori punti di forza risiedono probabilmente nei dialoghi, molto ben calibrati, in cui si fondono umorismo e tristezza, dolcezza e paura, e in una solidissima scrittura dei personaggi, disegnati a tutto tondo e perfettamente caratterizzati. Su ciascuno di essi (a partire, naturalmente, dal protagonista), il regista getta uno sguardo partecipe e amorevole, invitando lo spettatore a familiarizzare con loro, a sentirli vicini, a condividere la loro fragilità, a scusarne le piccole o grandi debolezze.
Un’analisi a parte merita l’interpretazione degli attori e delle attrici, tutti perfettamente in parte: se Kim Rossi Stuart, pienamente coinvolto nel progetto, è memorabile nel restituire tutte le sfumature del suo personaggio, quanto agli altri è difficile fare a meno di citare la memorabile imbranataggine della Fiorella di Barbara Ronchi, la dolce veemenza dell’Adele della giovanissima Fotinì Peluso (una vera e propria rivelazione), la meschinità un po’ sorniona dell’Umberto Salvati di un veterano della scena, cinematografica ma soprattutto teatrale, come Giuseppe Pambieri (che deve la sua formazione al “Piccolo Teatro” di Giorgio Strehler), capace di riscattare la “carriera” non troppo eccelsa, agli occhi del figlio, di marito fedifrago e padre distratto.
Cosa sarà è una commedia umana divertente ma non farsesca, seria ma non solenne, a tratti irresistibile nel mettere lo spettatore a contatto con i piccoli e grandi “tic” del suo protagonista, e sembra fare tesoro della lezione dei grandi maestri del passato, pur scegliendo di voltare le spalle al cinismo di Mario Monicelli e di mitigare il pessimismo antropologico di Dino Risi: è probabilmente da intendere in quest’accezione il senso della “commedia che non fa ridere” nello scambio con il produttore interpretato da Ninni Bruschetta, unico personaggio del cast che appare un po’ sacrificato e forse, nel complesso, abbastanza inessenziale.
Dopo aver chiuso la Festa del cinema di Roma, Cosa sarà è uscito per soli due giorni nelle sale italiane, prima che l’ultimo DPCM del Governo Conte facesse abbassare nuovamente la saracinesca a cinema e teatri. In questo senso, si tratta di un’opera davvero sfortunata: doveva infatti uscire lo scorso marzo con il titolo, pensato ben prima dell’inizio della pandemia, Andrà tutto bene ma poi il lockdown aveva costretto l’autore e la produzione a rinviare l’uscita e, con eroica caparbietà e per precisa volontà di Bruni, a rifiutare una circolazione nei circuiti alternativi dello streaming on demand. Cosa sarà, come ogni altro film del resto, meriterebbe di affrontare il giudizio, e probabilmente l’amore, del pubblico, in una visione collettiva, nel buio di una sala cinematografica, unico luogo deputato a far circolare le profonde sensazioni che la sua visione non mancherà certo di suscitare. Speriamo che ciò possa avvenire presto: perché non è soltanto il sangue che scorre nelle vene a tenerci in vita ma anche la possibilità di condividere un’emozione.
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