Pandora e il dono della vita vera

di Sara Manuela Cacioppo

C’era una volta Pandora, la donna creata dal niente che nel niente volevano seppellire. Fui impastata da Efesto con acqua e terra sotto ordine di Zeus per punire l’umanità e Prometeo, il titano che rubò il fuoco per donarlo agli uomini.

– Prometeo la pagherai con la sofferenza di chi ami – minacciò Zeus.

– Tu non conosci ciò che non sei – gli rispose Prometeo,sollevando la bocca a formare un sorriso beffardo.

Ma al titano amico degli uomini spettò un orribile destino: fu incatenato a una vetta del Caucaso affinché le sue interiora fossero dilaniate da un falco in eterno.Prometeo fu il primo uomo a fidarsi di me, di una donna, prima ancora di poterla toccare.

Non soddisfatto Zeus, morso dall’invidia e dalla paura di perdere la sua unicità, donò agli uomini la prima donna mortale, un’ammaliatrice destinata ad arrecare disgrazia e perdizione al genere umano. Il mio nome è Pandora e sono fatta di finzione, incarno tutte le qualità che un essere celestiale dovrebbe avere, io sono tentazione, lussuria e conoscenza: Afrodite mi rese bella, Era mi insegnò le arti manuali, Apollo la musica, Atena mi donò il soffio vitale, Ermes la curiosità.

Dicono che il mio nome significhi condanna e che non sono fatta come le altre del mio genere perché non ho organi, non ho sangue che scorre nelle vene, né dei polmoni per respirare o un cuore che batte. Dicono tante cose su di me, ma le parole degli dèi sono menzognere quanto quelle degli uomini. Se fossi stata plasmata senza il cuore come potrei amare? Se non avessi il cervello come potrei pensare? Se le mie mani fossero fatte di fango, come avrei potuto sapere quant’è vellutata la pelle di una donna e quanto forte possa essere l’abbraccio di un uomo?

L’ultimo dono me lo fece Zeus: era un vaso prezioso ricoperto d’oro con smeraldi e rubini incastonati.

– Prendilo, Pandora e non aprirlo mai, lo affido a te – mi disse.

– Grazie della fiducia che riponi nelle mie mani prive di carne, non lo aprirò mio dio – gli risposi con la bugia sulla lingua.

Feci esattamente l’opposto e lui lo sapeva, non per curiosità come tutti vogliono farvi credere, la mia fu una scelta consapevole perché, a dispetto di Zeus, io sapevo cosa fosse giusto per i miei figli, io e Prometeo vi abbiamo sempre spiati, protetti, vi abbiamo desiderati liberi.Col male arriva il bene, con entrambi una scelta, io vi ho dato la facoltà di scegliere e così di conoscere voi stessi o di morire avendoci tentato. Solo dopo essere morti e rinati infinite volte la vostra anima avrà acquisito l’esperienza necessaria per tornare da dove è venuta, dall’Olimpo.

Il mio vaso conteneva doni, non pestilenza. Vi ho dato la tristezza per capire la felicità, la sofferenza per capire la gioia, il tormento per provare il piacere e così facendo vi ho privato dell’immortalità sterile della gente che mi assomiglia. Se sapeste cosa significa non morire e portarsi dietro tutti i pensieri dell’esistenza che si accumulano schiacciando le vertebre fino a storcerle, se vi rendeste conto di cosa significa non poter scegliere chi essere e ripetere ogni giorno lo stesso gesto meccanico come in una prigione di azioni involontarie: Zeus scaglia i fulmini, Apollo traina il carro del sole, Eros scocca le frecce. Quando la vita è una reiterazione è già diventata morte e gli dèi la conoscono meglio di chiunque altro, perché è loro compito superarla e rimettersi in piedi.

Voi invece avete la possibilità di giocare a essere chi più vi aggrada, siete gli unici padroni della vostra vita, se a loro è stato impedito di trovarsi a voi non lo sarà per mano mia. Cercatevi e perdetevi nella ricerca e se qualcuno vi butta a terra fatevi una risata, avete le gambe per rialzarvi.

Zeus è convinto che gli dèi siano esseri coraggiosi, io dico che il coraggio nasce dal pericolo e se non c’è pericolo in cosa sta in coraggio? Quelli che chiamiamo eroi si limitano a ripetere ciclicamente ciò che è scritto nei libri Chiedetevi, figli miei, chi siano i veri eroi.

So bene che all’inizio mi odierete, perché vi hanno stordito le orecchie con storie tramandate da chi gira gli eventi a suo piacimento per screditare chi ha più valore. Odiatemi pure se volete, ma io sono la prima donna che vi ha salvato allora, e continuo a essere tutte le donne che vi hanno partorito e che vi salvano ogni giorno. Non amatemi per la mia bellezza, amatemi piuttosto perché sono vostra madre.

Una volta rimasta sola i miei occhi guardarono il vaso, il quale emanava una luce così intensa da accecarmi, lo aprii e degli zampilli neri schizzarono da tutte le parti, uno di loro mi attraversò quasi a volermi trafiggere e provai dolore. Il nero strisciò fuori dalla mia casa per dirigersi in ogni parte del mondo, ed entrò dentro le fauci della gente portando in dono “vecchiaia”, “gelosia”, “malattia”, “pazzia”, “vizio”. Un unico dono tenni conservato, la speranza. Dovevo togliervela per farvi annegare, per farvi capire cosa significa perdere tutto e imparare ad amare ciò che vi resta, non volevo farvi diventare repliche di dei arroganti, ma uomini forti in grado di trovare nella solitudine la forza di sperare. I più nobili di voi ci riuscirono e, una volta ottenuta, ne cedettero un po’ agli altri: così nacque la solidarietà e l’empatia. Dopo pochi giorni vi donai la speranza per tutti.

Per essere sicura che la mia scelta fosse stata quella giusta scesi sulla terra per tre giorni. Il primo mi travestii da mendicante e mi misi all’angolo di una strada ad aspettare che qualcuno mi regalasse un soldo e un pezzo di pane. Dopo otto minuti una donna si avvicinò donandomi due euro, poi un uomo elegante mi chiese se volessi mangiare e la figlia del fornaio di fronte, che abitava in una casa piccola quanto una scatola, mi regalò la sua coperta preferita per ripararmi dal freddo. In poco tempo quella mendicante che ero io era stata ricoperta di regali e questo è avvenuto perché ogni essere umano conosce l’importanza della vita breve e di conseguenza le attribuisce un significato, scegliendo come viverla.

Il secondo giorno mi incarnai in un ladro, entrai in un negozio e rubai una camicia costosa, fui portato alla polizia e punito perché avevo sbagliato. Siete stati bravi a stabilire delle regole per mantenere la stabilità; sul monte Olimpo le regole non esistono invece perché l’unica cosa che regna è l’individualismo.

Il terzo giorno feci l’amore con le sembianze di una donna dai capelli rossi e lunghi, lo feci per la prima volta con uno sconosciuto e mi sentii viva come non ero mai stata: l’uomo mi strinse a sé dolcemente perché aveva paura di perdermi. Era convinto che quella sarebbe stata l’unica e ultima volta che avrebbe potuto avermi, perché sulla terra nulla è eterno, ogni attimo è prezioso e va goduto. Voi sapete godere davvero.

L’indomani tornai a casa fiera della mia scelta e ripensando a quanto Zeus fosse stato generoso senza rendersene conto. Volevano farmi passare per una sciocca e glielo lasciai credere, volevano gettarmi addosso le nefandezze della cattiveria e glielo lasciai fare, e tutto questo per voi figli miei: ricordate sempre che vostra madre Pandora si è sacrificata per regalarvi la vita vera.

In copertina, Gustav Adolf Mossa, Eva Pandora, 1907

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