Dai ‘Lighting Flowers’ alle pareti di Castel dell’Ovo, in dialogo con Franz Cerami
di Davide Speranza
Una mano che si sporca di terra, fanghiglia rossa mischiata a sputo, erba e acqua piovana. Le dita che scivolano sulla parete spigolosa di una caverna, con gli altri uomini e donne, corpi nudi, a vedere, gesti e ombre. Un cinema preistorico, che ha lasciato il segno, ci racconta di cacciatori e animali, vita e morte, sopravvivenza e ingegno. Quel gesto, a metà tra divino e umano, sacro profanare lo spazio, era l’inizio della trasmissione. Non di un virus. Della conoscenza. Della bellezza. Della poesia del creare. E, quindi, della speranza di un futuro a cui tramandare. Franz Cerami fa esattamente questo. Disarticola cromatiche materie, usa il gesto con gli strumenti che ha a disposizione, diventa sacrilego e mistico profeta di un messaggio. Colori a olio, digital painting. Svolge il gesto nella città più vicina alla resistenza tribale dell’umano, sulle pareti di tufo di un castello in mezzo al mare. A Napoli. Lui, artista digitale napoletano, che governa la luce e le cromie per raccontare gli eccessi e le contraddizioni di un popolo, di una comunità, di quella Sirena partenopea che è sempre più specchio di un’umanità immersa tra antico e contemporaneo.
Nominato da poco ambasciatore del design italiano nel mondo, Cerami lavora sull’arte visiva, proponendo processi creativi coadiuvati da elaborazioni tecnologiche. Dagli anni Novanta ha costruito un percorso professionale basato sulle videoinstallazioni. Girando il mondo con i suoi Lighting Flowers, ad esempio, ha “illuminato” le periferie degradate di terre lontane in Brasile, Russia, Armenia, Italia, presto anche Stati Uniti e Francia. Poi è arrivata la proposta della Voiello – l’azienda campana produttrice di pasta, ora del gruppo Barilla – che voleva lanciare un messaggio durante il periodo natalizio. Franz Cerami si è trasformato nel guru preistorico con la coscienza e la cultura dell’Homo Sapiens “Digitalis”. Quattro progetti: Magica 1, Magica 2, Lumina, Fire. Tutte da videoproiettare, durante le feste di Natale, sulle pareti di Castel dell’Ovo.
Segni antichi, teste, occhi, esplosioni vulcaniche, uova, teschi, frumento e suoni, circuiti neuronali. Il visual artist di Toledo, ha ricostruito una lingua fatta di immagini ritmate, in collaborazione con il Comune di Napoli, l’Università Suor Orsola Benincasa, e un team formato da Flavio Urbinati (assistente dell’artista), Emanuele Ascione (assistente alla coproduzione), Dominique Lora (curatrice), Claudio Del Proposto (musicista e ideatore della colonna sonora). «Nella prima parte ho fatto un lavoro di ricerca insieme a Petra Capece – spiega Cerami – Abbiamo lavorato sui temi da rappresentare e ho scelto l’uomo, la sirena, le ‘capuzzelle’, San Gennaro in una visione cristiano-pagana rielaborando il concetto di misticismo, il Vesuvio, l’uovo di Virgilio, il mangiamaccheroni. Quindi ho deciso di chiamare l’installazione ‘Magica’. I nomi di fatto diventano una traccia, una cosa che ha un significato profondo. Quando faccio il naming penso molto a che nome dare e perché. Ho messo giù tante parole, tanti simboli. Napoli città potente, città sirena, città Vesuvio, il sopra e il sotto di questa terra, la visione divina del santo mischiata al pagano. Poi i mangiamaccheroni come soggetto pittorico proveniente da Luca Giordano e Matthias Stömer. Intorno a queste icone ho pensato di rappresentare la magia».
Nel tempo divorato e sospeso in cui viviamo, il messaggio di salvezza viene dall’arte, e riverbera da Napoli. «Mi intriga il fatto che sia una città contraddittoria con stimoli che vanno in ogni direzione – continua l’artista – una città lenta e rapida, violenta, tutto si tiene insieme in un modo che puoi solo considerare magico. Persone, culture, tensioni, socialità diverse, luoghi brutti e che improvvisamente diventano meravigliosi. Questo è il vero incanto della città. Volevo raccontare questa suggestione, ho quindi cercato le icone, disegnandole. Ho separato in due il lavoro, una parte a olio e poi il painting digitale. Ho un tavolo attrezzato con telecamera verticale che riprende tutto quello che avviene. Interessante è vedere il movimento, il gesto, i gesti accelerati, ho girato decine di ore di materiale. Un grande lavoro in termini anche di quantità, poi rielaborato e ridotto a due minuti. Ho dovuto pensare a come costruire movimenti coerenti con le riprese, in modo che tutto fosse omogeneo. Magica 2 invece è fatta con tavoletta grafica e pennelli digitali. Lì avevo altre necessità che dovevo condividere con il musicista. La musica che ha fatto Claudio è straordinaria, doveva rendere in Magica 1 un lavoro frenetico e in Magica 2 una morbidezza, un gioco di ciclicità, creando un effetto ipnotico e incessante».
Cerami ha cercato di lavorare sui colori primari e sul gesto/ritmo. Una scommessa. Un progetto che potrebbe girare il Pianeta, adesso, per raccontare Napoli, i suoi miti, magari mischiarsi con le altre culture. «Castel dell’Ovo è un posto magico e l’uovo è un simbolo di nascita e morte, come in questa città dove tutto è ciclico, come la Sirena, come le ‘capuzzelle’ – racconta Cerami – Napoli ha una parte superiore femminile e inferiore che è la coda del pesce, un simbolo fallico. Il sopra sono le chiese cattoliche scavate nel tufo ma nella zona di sotto c’è la parte pagana. Ho inteso rappresentare questa non-cesura tra vita e morte. “Fire” l’ho dedicata a mio padre e mia madre, al mio rapporto con i fuochi, che è anche il mio rapporto con l’esterno. Per me è la festa, la bellezza dei fuochi d’artificio. “Lumina” invece è un lavoro di ricerca sull’illuminazione delle feste, come quella di Piedigrotta con le lampadine colorate. Per anni ho provato a lavorare sulle mie luminarie».
Non è un caso che Cerami firmi le sue opere con una sorta di geroglifico, ancora una volta un segno, che acquista la forma di un omino con un grande occhio, intento a realizzare scie luminose. Il mago della luce.
«Questo progetto è la possibilità di raccontare una cultura potente attraverso i suoi simboli – illustra l’autore – Viviamo un momento di grande buio poiché siamo tutti annichiliti dalla convivenza con questo maledetto Covid. Un buio emozionale, economico, sociale. Allora abbiamo provato a raccontare anche una speranza, una magia, la luce. La prima installazione, Magica 1, finisce con una spiga di grano, elemento con cui si fa la pasta ed è simbolo di abbondanza. La Magica 2 finisce con un grande uovo pulsante: è la vita che continua, l’augurio che la vita sarà più bella. Ho lavorato per costruire, insomma, magie di luce. L’arte, in un momento di grande buio, è l’elemento che può consentire la vera rinascita in tutti i sensi, di pensare al futuro. Dopo il buio, l’uomo si è risollevato sempre. In questo momento credo nel potere salvifico e catartico dell’azione artistica».