Ritratto di Berthe Morisot, maestra dell’Impressionismo
di Eliana Petrizzi
Il dipinto di Edouard Manet dal titolo Berthe Morisot con un mazzo di violette raffigura una giovane donna persa in un suo cupo pensiero, chiusa in un nero appassionato, indomabile e intensamente malinconico. Berthe Morrisot è l’ultima di tre sorelle di un lontano discendente del pittore Fragonard. La madre, donna ambiziosa, nutriva velleità artistiche verso le figlie, non certo per compiacerne i talenti, ma per renderle più appetibili sul mercato della dote. Ed è proprio un giorno al Louvre, dove Berthe e la sorella si erano recate per copiare dal vivo le opere del passato, che la futura pittrice incontra Manet, dandy scandaloso e gentiluomo dalla vita discussa, diventato pittore contro la volontà del padre, e artista osteggiato dalla critica accademica dell’epoca. Tra i due nasce presto un’affinità elettiva nutrita da incontri sempre più frequenti. Mentre lei gli fa da modella, discutono sulla pittura, confrontandosi sui reciproci lavori.
Da subito, le opere di Berthe raccontano un universo femminile solitario, in cui creature umbratili che si amano poco cercano una dimensione di fluidità ed evaporazione attraverso cui liberarsi del peso dell’esistenza. C’è una tensione nelle sue figure femminili, qualcosa che illumina l’immagine, portando nell’apparente, silenziosa grazia dei tratti un ardore profondo, in cerca di forma, identità e nome. Berthe patisce frequenti emicranie, ha una salute psicofisica molto fragile. La madre osteggerà per tutta la vita il suo talento d’artista, ricordandole ossessivamente che la sua strada doveva essere un buon matrimonio, e non l’inconcludente, fallimentare vita di pittrice nubile. Gli incontri assidui con Manet nascondono una delicata relazione amorosa, che rafforza in Berthe la convinzione del suo percorso di pittrice.
Ne La veduta del porticciolo di Lorient a colpire non sono i colori chiari e luminosi tipici dell’Impressionismo né l’uso fluido e quasi acquerellato che Berthe ne fa, ma la figura femminile seduta sul parapetto della strada, che non contempla la limpida bellezza del paesaggio, ma è rivolta in basso, verso un’oscura paturnia. È la stessa figura di donna che ricorrerà in quasi tutti i suoi dipinti: una figura femminile separata dalla natura e dal mondo, portata da quel sentimento in bilico tra noia e angoscia che pochi anni prima Baudelaire aveva raccontato nei suoi versi. Anche quando dipinge, come spesso fa, scene d’interni domestici, Berthe mette di fatto in scena interni che sono soprattutto metafore di un’interiorità calpestata da secoli di silenzio: a essere raccontato è il mondo segreto e intimo delle donne tra le mura di casa. Non esiste malizia né intimità sensuale, ma il silenzio di esistenze inespresse consumate in solitudine tra le abitudini quotidiane.
Sarà forse questo originalissimo diario esistenziale femminile, unitamente alla sua pregnante cifra pittorica, a fare di Berthe Morrisot la prima e unica donna ad esporre insieme ai pittori impressionisti, e a frequentarli privatamente nelle riunioni del gruppo. A unirli era certamente una nuova, comune idea di realismo, affidata alla vibrazione della pennellata che non deve più imitare la natura, ma interpretare il mondo alla luce di una nuova personale sensibilità dell’esistenza.
Le donne che abitavano le vite dei pittori impressionisti erano molto diverse da Berthe. Si trattava in larga parte di modelle e di amanti che, attraverso il matrimonio, miravano a riscattarsi da una frustrante marginalità culturale, sociale e sentimentale. La trasgressione di Berthe è invece nella sua ostinata vocazione a rompere proprio quel destino, in nome di un talento pittorico testardo ed esclusivo, con cui infrangere sia le regole accademiche dell’epoca che i dettami previsti per le donne dal costume dominante.
Di lì a pochi anni, pressata dalle insistenze della madre e rimasta ormai sola con lei in casa in seguito alla morte del padre, Berthe accetta la corte del fratello di Manet, che diventerà presto suo marito, il suo assistente, il curatore e il suo impresario. Dalla loro unione nascerà la piccola Julie, che tuttavia non illuminerà di nuova luce le figure di Berthe. Certo, nei sui dipinti comparirà una figura di donna con una bimba, ma, al pari della madre, recherà negli atteggiamenti la stessa remota pensosità di tutte le ragazze e donne dipinte fino a quel momento: donne animate da impasti pittorici evanescenti ed incompiuti, così come incompiuto è l’universo femminile che Berthe vive e avverte.
A 44 anni, Berthe dipinge un suo autoritratto, come l’ombra disperata del viso fremente di dama con le violette che Manet dipinse nella sua giovinezza. Per tutta la vita fino alla fine, lo sforzo della sua pittura è quello di fissare qualcosa di ciò che accade e passa, perdendosi. È il senso ondeggiante e inquieto del fuggitivo, in cui Baudelaire vede tutta la bellezza della modernità, e in cui l’artista viene chiamato a trasmutare il transitorio nell’eterno dell’arte.
Ma a Berthe, tutto verrà riconosciuto dopo, troppo tardi. Muore a 54 anni. Sul suo certificato di morte c’è scritto: “Senza professione”. Sulla sua lapide, solamente: “Berthe Morrisot, vedova di Eugène Manet”.
Congralutazioni per questo meraviglioso articolo Eliana!