Tra Cairoli e il Duomo, Milano aveva un piccolo anfiteatro che ora non c’è più

di Davide Speranza 

 

Se è vero che donne e uomini portano una storia sulle spalle (snodi che ne regolano battiti di vena e numero di rughe sul corpo, come un’architettonica della vita vissuta), è ancor più vero che una città assume la funzione di declinazione narrante attraverso le trasformazioni filtrate dalle istanze dei suoi abitanti. Poeti e scrittori hanno scritto di contesti urbani e paesi, Flaubert e Maupassant, Baudelaire e Zola, Hemingway e Pasolini, Calvino e Moravia. Dal boom economico del dopoguerra in poi è evidente come l’Italia abbia imboccato una trama infelice che oggi raccoglie i suoi risultati: desertificazione sociale al Sud, cementificazione in mano alle mafie, inquinamento e aumento di patologie oncologiche.

Come si organizzano le nostre civiltà? Si affaccia un’Italia bisognosa di identità architettonica sul piano sociale e ambientale, ma il fronte delle grandi opere fagocita il Paese delle comunità. C’è sempre un simbolo che fa da capro espiatorio di una condizione. Dall’ecologia in salsa Gluck, alla presenza delle mafie e Tangentopoli, passando per l’origine del berlusconismo, fino al coraggio di grandi imprese internazionali, Milano incarna quel simbolo. La Milano industriale, la Milano Expo, la Milano dei migranti, delle case basse di via Catalani e quella dei grattacieli di via Filzi, la Milano delle polveri sottili, la Milano degli enormi parchi verdi. Ricordate la “Milano da bere”?

Viene in mente una delle opere di Dino Buzzati dedicata a Piazza del Duomo: una città rocciosa scolpita tra lande verdi, ma deserte, una visione metafisica. In un’intervista, l’architetto e scrittore milanese Gianni Biondillo dice: «tra tanto costruire non abbiamo realizzato abbastanza l’identità e la consapevolezza del nostro ruolo». Sì, la consapevolezza di capitale europea forse sarebbe meglio farla precedere da un altro passo: il ruolo da definire nei confronti dei propri abitanti. È così che vien fuori una metropoli multistratificata in orizzontale e in verticale. I giovani sentono sulla propria pelle i cambiamenti in atto negli ultimi anni. Una città che guarda all’Europa e accoglie culture e lingue da ogni parte del pianeta. Ma si perde in un bicchier d’acqua, annichilendo i luoghi della gente, e quindi del popolo. È così che nel bel mezzo di una mattinata arrivano le ruspe di una ditta di demolizione per distruggere un angolo cult della città meneghina. Un piccolo anfiteatro, in via Porlezza (zona Cairoli), progettato dall’architetto Danilo Pasquini alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo: l’architetto non sarebbe stato avvertito della demolizione. Su molti siti si troveranno poche, e parziali, informazioni riguardo questo episodio: c’è chi scrive che lo spazio incriminato abbia “funzioni di origini sconosciute”. Un’area che poteva ospitare quasi duecento persone, costipata tra enormi edifici amorfi e privi di stile, capace di conservare l’unica funzione che qualsiasi elemento urbanistico dovrebbe svolgere: condivisione sociale.

Era il ritrovo di poeti, artisti, luogo di reading e performance, di giovani e cittadini affannati. Le ruspe sono state mosse da una politica sempre più sciatta che, alla riqualificazione e promozione dell’anfiteatro, preferisce l’ennesima piazzetta anonima, con qualche panchina e un paio d’alberi. A difendere gli spalti dell’emiciclo, il collettivo Tempi diVersi, fondato nel 2013 da Paolo Cerruto e Francesco Marabotti. Dal confronto con il primo, è nato un dialogo totale sulla capitale economica d’Italia. «Era uno dei luoghi che avevamo individuato tra i monumenti di Milano da valorizzare – spiega il giovane Cerruto – È nascosto, tra Cairoli e il Duomo, tra gli edifici di centro città. Spazi attraversati solo da lavoratori e pochi ragazzi. È piuttosto curioso questo anfiteatro in via Porlezza. Un’acustica perfetta. È difficile trovare a Milano un’opera pensata architettonicamente per la comunità. Eppure quella struttura conteneva fino a 150 persone, incastrata tra le viuzze, di fronte a una casa bombardata durante la Seconda guerra mondiale. Poi, c’è la chiesa più piccola di Milano, una chiesa ortodossa. Lo avevamo scoperto da poco. E va bene riqualificare la piazza ma senza eliminare una risorsa del genere. Abbiamo lanciato una raccolta firme, domenica 9 maggio faremo una giornata a microfono aperto. Speriamo di fare abbastanza casino per far sì che qualcuno ci ripensi. Non staremo fermi. A livello storico non ha importanza, è stato costruito nel 1985, ma è un luogo di condivisione sociale. Perderlo sarebbe una sconfitta».

Poesie di natura civile, dibattiti e musica, nel rispetto delle norme, saranno gli strumenti di pace e di dialogo dei cittadini che vorranno accostarsi alla causa. Chiederanno di ricostruirlo. Anche questa è Milano. La Milano che protesta e vuole i suoi diritti. Tempi diVersi lo ha sempre fatto, come collettivo nato per aggregare i poeti e i narratori della città. «Eravamo usciti dal liceo – ricorda Paolo – avevamo grande curiosità, era un momento in cui c’erano pochi spazi dedicati alla parola per i giovani. Con un bando volantinato abbiamo chiesto ai nostri coetanei di mandare delle poesie. Per i primi 4 anni abbiamo autoprodotto raccolte di poesia, organizzavamo reading. Ci siamo subito avvicinati alla dimensione della poesia di strada, che a Milano ha un esponente importante come Ivan Tresoldi. Ci ha preso sotto la sua ala. Ci ha dato uno spazio nella sua officina creativa, Artkademy, che è a Sud di Milano. Avere un luogo fisico dove trovarci è stato importante, abbiamo prodotto eventi di videopoesia e poesia, abbiamo fatto spettacoli con musicisti e videomaker, come “L’amaro miele della giovinezza” e “Il sole sorge anche a Milano”. La dimensione di strada nella nostra ricerca si trova in azioni come affiggere poesie sugli orologi pubblici per dire ai milanesi di fermarsi a leggere e di riscoprire la qualità del tempo piuttosto che la quantità. E poi le passeggiate tra le cabine telefoniche in via di estinzione». Nel 2015 l’Enel aveva affisso un avviso di rimozione dei vecchi corner telefonici e il collettivo milanese decise di salutarli, organizzando un concerto notturno con più di 100 persone che si spostavano tra le cabine: chi leggeva, chi suonava, chi dipingeva.

«Più avanti allo stesso modo abbiamo ragionato sui monumenti dei quali spesso non sappiamo neanche a chi sono intitolati – continua Cerruto – Abbiamo individuato nel centro luoghi da raccontare nelle passeggiate notturne, dando voce alle statue, agli angoli sconosciuti. Lo scrittore Philopat si è cimentato in una lettura in piazza Cairoli. Ci interessa la trasmissione del racconto orale, che vada fuori dalla narrazione classica di questa città che è molto luminosa ma poco abile nel raccontare le sue ombre». Milano parla tante lingue.

“Milano a portata di mano
Ti fa una domanda in tedesco
E ti risponde in siciliano… Milano tre milioni
Respiro di un polmone solo
Che come un uccello
Gli sparano
Ma anche riprende il volo
Milano lontana dal cielo
Tra la vita e la morte
Continua il tuo mistero”.

Lucio Dalla, Milano

Quel piccolo anfiteatro distrutto è simbolo di incuria nei confronti degli abitanti; è stato sovvertito il processo democratico della dialettica di strada. «Siamo in un momento di riassestamento, nessuno ci sta capendo molto di Milano, soprattutto negli ultimi 30 anni è accaduto un altro cambio di stratificazione che è quello che ha portato il mondo in questa città – ricorda l’attivista – C’è una magnifica immigrazione da tutte le parti. Un fenomeno interessante, per cui stanno nascendo tanti artisti di tanti paesi. Emblematico è il caso di “Zero” una serie prodotta da Netflix e tratta dal romanzo “Non ho mai avuto la mia età” di Antonio Dikele Distefano, scrittore italiano nato da genitori angolani. Protagonista è un ragazzo che vive al Barrio, un quartiere popolare di Milano, con un papà che è quasi un griot e vorrebbe avvicinarlo alle tradizioni del paese e alla sua lingua, ma il ragazzo gira in bici facendo le consegne per un pizzaiolo. A un certo punto gli abitanti del posto scoprono che ha un superpotere, l’invisibilità, e lo costringono ad aiutarli contro la minaccia da parte di una grossa agenzia immobiliare che vuole radere al suolo le case fatiscenti, sbattere via i poveri e costruire case per ricchi. Una cosa che effettivamente sta succedendo qui a Milano: vengono allontanati i poveri dal centro, come se una città non avesse le sue stratificazioni. Il fatto che ci sia una serie TV così mainstream con dei ragazzini che si oppongono alla speculazione edilizia, fa sperare. Dobbiamo dire ai giovani che c’è un’alternativa, una riscrittura e risignificazione dello spazio. Viene raccontata di solito questa Milano a forza centripeta, per cui assorbe milioni di persone in nome del lavoro. Tutta questa narrazione è fortemente falsa. Già negli anni Ottanta quando si parlava della Milano da bere, c’era chi la prendeva in giro riferendosi invece alla “Milano da pere”, perché era il decennio dell’eroina che ha spento l’entusiasmo della lotta giovanile. Era una città di zombie. Adesso l’eroina non è così presente, ma zombie ce ne sono ancora, persone che deambulano tra negozi, il farsi selfie e il consumismo. Anche Expo è stata un’operazione strana. Nonostante fosse improntata alla natura, è stata la scusa per cementificare la città».

Dylan Thomas, le avanguardie, Nanni Balestrini, il Gruppo 63. Poesia e piccoli sprazzi di bellezza che cambiano il mondo. Solo questo chiedevano i componenti del comitato. La poesia come strumento per cercare orizzonti nuovi. Poesia che si esprime tra i vicoli, nelle strade, stesi sui parchi rigogliosi di Milano, tra gli angoli angusti della città. Da queste menti che gridano amore per ogni singolo sasso della loro terra nascono progetti straordinari, ancora una volta nella condivisione delle idee, sui marciapiedi. Come il “Premio Alberto Dubito”, concorso di poesia con musica dedicato al poeta trevigiano, suicidatosi nel 2021, aperto a poeti, musicisti, rapper, performer, cantautori fino a 35 anni, e che mette a disposizione una borsa di studio di 2mila euro e una pubblicazione con Agenzia X Edizioni. Dubito scriveva “devo scrivere il mio tempo, prima che sia lui a scrivere me”.

«In questa massima c’è la nostra massima, la mia, come scrittura, come fotografia e analisi, sezione di un tempo – incalza Cerruto – Un artista deve avere quella sfasatura per osservare la società, raccontarla in qualche modo. Dalle nostre passioni nasce quindi un progetto dedicato al racconto orale, alle controculture, una visione anticommerciale dal punto di vista editoriale, che va a cercare nicchie. Agenzia X è tutto questo e con loro lanceremo una collana di narrativa che si chiama Fulmicotone, in cui vorremmo dar voce ai giovani italiani. Fulmicotone è una sostanza chimica che genera esplosione. Il termine si è sedimentato nella lingua, come qualcosa di inatteso, di prepotente. Ci siamo poi avvicinati al poetry slam, un modo anche questo di portare la poesia tra la gente, tra le strade. Ci siamo ritrovati a partecipare a molti festival, Milano, Genova, Roma, Lecce, stringendo collaborazioni con chi avesse un’idea di poesia condivisa, dove lo stare insieme non si legasse solo al bere birra nei locali e andare in discoteca».

Con Paolo si potrebbe andare avanti a parlare per ore e ore, di Mark Kelly Smith e Lello Voce, il poeta Simone Cattaneo e dei mitici “pirati dei navigli”, di Dome Bulfaro autore de La Guida Libera al Poetry Slam e promotore della poetry therapy. Questi fermenti sono le pietre vere di una città, sono le strade, i vicoli, le case e i grattacieli, sono gli alvei e i giardini, questi gioiosi assembramenti di umanità civile sono la città, ne portano la voce, ne costruiscono gli immaginari, ne sostengono vie inimmaginabili di conservazione e rinnovamento di un territorio. Se vieni a massacrare con enormi pale meccaniche un piccolo anfiteatro, cancellando per sempre i luoghi di questo fermento, di queste voci, di questi immaginari, vuol dire che stai cancellando la storia, l’attuale meglio gioventù.

Tanto casino per un anfiteatro di fine anni Ottanta? Chi si pone questa domanda evidentemente non ha mai ascoltato le parole di Pier Paolo Pasolini e non dà il giusto valore alla necessaria compresenza di comunità differenti nello stesso spazio: «Il regime è un regime democratico – disse il grande poeta –  però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece, riesce a ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora questa acculturazione sta distruggendo, in realtà, l’Italia. E allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia. Questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che, in fondo, non ce ne siamo resi conto. È avvenuto tutto negli ultimi cinque, sei, sette, dieci anni. È stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire e adesso, risvegliandoci, forse, da quest’incubo, e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare».

Pasolini è morto trucidato nel 1975. Oggi, di sicuro, piccole grida di strazio dei suoi versi hanno scosso il pietrame dell’anfiteatro di via Porlezza, scardinato dalla violenza meccanica del martello pneumatico. Si spera che Milano conservi la vitalità dei piccoli luoghi e soprattutto dei giovani poeti nati nel suo grembo: essi sono unicamente mossi dal desiderio di progettare architetture umane dove il cemento non è contemplato. Nel post-Covid ci sarà bisogno di umana carne, non di bitume per asfalto.

Un pensiero riguardo “Tra Cairoli e il Duomo, Milano aveva un piccolo anfiteatro che ora non c’è più

  • 17 maggio 2021 in 21:18
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    Potrei scrivere molte cose per commentare questo articolo che pecca di molte notizie sulle attività che si svolgono a Milano. Ci sono i luoghi per la poesia, la musica, il cinema, le mostre, accessibili a tutti.Addirittura il Festival della poesia nel 2019, organizzato da Milton Fernandez ( imformarsi) ha ospitato i detenuti di Opera e le loro poesie, e potrei continuare per un po’….quindi un po’ più di informazione, grazie 😊

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