Venezia 78, giorno 1. Un ottimo Almodóvar su memoria e passione materna

In questi giorni a farla da padrone, qui al Lido, sono le polemiche (invero giustissime) da parte di molta stampa sulla situazione degli accrediti che, con le sale riempibili solo a metà, sta generando un vero e proprio caos durante le prenotazioni, obbligatorie dallo scorso anno anche per gli addetti ai lavori, cioè per coloro che a Venezia non vengono certo a prendere il sole. A differenza dello scorso anno, infatti, la Mostra ha deciso di concedere molti più accrediti nonostante il perdurare della pandemia e senza adeguare il numero di presenti a quello delle proiezioni disponibili. Questo ha fatto sì che i posti in sala finiscano subito (in qualche caso addirittura dopo un paio di minuti dall’apertura della piattaforma) impedendo ai giornalisti di fare bene il proprio lavoro. Molte decine di accreditati hanno scritto una lettera aperta a Paolo Lughi, Responsabile dell’Ufficio Stampa, lamentandosi della situazione. Lughi – cosa di per sé apprezzabile – si è scusato per l’accaduto e si è impegnato a porre rimedio alla situazione, con risultati al momento abbastanza scarsi.

Se dal punto di vista organizzativo, dunque, la Mostra parte piuttosto male, sotto il profilo della qualità dei film invece oggi abbiamo potuto  apprezzare grandemente Madres paralelas, il nuovo film di Pedro Almodóvar, che ha aperto brillantemente il Concorso. Il nuovo film del grande regista spagnolo, che fa seguito al dittico di capolavori costituito dal sottovalutato Julieta e da Dolor y gloria, ruota intorno a due donne di età diversa, la più matura Janis (la sempre fulgida Penélope Cruz) e l’adolescente Ana, che condividono la stessa stanza d’ospedale in seguito a una gravidanza non attesa ma, almeno nel caso di Janis, fortemente desiderata. Janis cerca di rincuorare la smarrita Ana e le due diventano amiche, finché uno scherzo del destino finirà per legare le loro vite in maniera indissolubile.

Accanto alla linea narrativa principale, che affonda le radici nel melodramma, Almodóvar, inserisce un subplot attraverso il quale scandaglia la Storia, in particolare quella spagnola degli anni ’30 con la guerra civile e le esecuzioni dei falangisti di Franco, per mettere in atto un’acuta e profonda riflessione sulla memoria. Il ricordo del passato, secondo il regista che firma uno dei suoi film più dichiaratamente politici, non è soltanto mera conoscenza di fatti, con luoghi e date, spesso fine a sé stessa e sepolta nei libri: secondo il regista madrileno, invece, essa è qualcosa di fondamentale per conoscere la propria identità in modo da potersi schierare in un mondo in cui non si smette di seminare discordia, odio e conflitti.

Penélope Cruz e MIlena Smit sono bravissime nel tratteggiare il carattere di queste due donne, diverse per anagrafe e formazione, ma entrambe legate a figure genitoriali assenti o impossibilitate ad aiutarle nella loro crescita. Infatti, Janis è vissuta con la nonna materna mentre Teresa, madre di Ana, è incapace a rivestire il ruolo sociale che le è imposto, tutta presa a vivere una seconda giovinezza come interprete teatrale, professione che la porta a essere perennemente in tournée. Sebbene talvolta il film sembri mettere un po’ troppa carne al fuoco, aprendo d’improvviso nuove finestre che vengono chiuse immediatamente quasi che, come le madri del titolo, esistessero varie linee narrative che scorrono parallele a quella principale, Madres paralelas è un’opera profonda e stratificata, di impeccabile eleganza formale che, ancora una volta, dipinge un gineceo emotivamente ricco di passione al quale fa da contraltare un mondo maschile più opaco e rigido.

Con il consueto amore per i personaggi femminili e la solita maestria nel descriverne la grandezza, le asperità e le sfumature, Almodóvar aggiunge un altro tassello a una filmografia in cui l’altra metà del cielo riveste un ruolo insostituibile. Apparentemente appiattito nuovamente sulla figura della genitrice, il regista di Tutto su mia madre questa volta sorprende e spiazza perché la figura materna, se da un lato viene descritta in tutte le sue diverse declinazioni (di età e sentimento), dall’altro viene spogliata della sua essenzialità, quasi a sottolineare che, tutto sommato, ogni bambino che viene al mondo è figlio di tutti. O, almeno, tale dovrebbe essere in una società che, a differenza che in passato (e qui il paragone viene esplicitato in maniera inequivocabile), appare oggi sfilacciata, liquida, priva di coesione oltre che di memoria.

Superata ormai la settantina, Pedro Almodóvar continua a regalare allo spettatore un cinema freschissimo, vivo, maturo, inevitabilmente meno giocoso ma estremamente capace di scavare a fondo nella propria storia e, in questo caso, anche in quella di un intero Paese, esattamente come gli archeologi del film. Da brividi la sequenza punteggiata da Summer Time di Janis Joplin. Nell’era del Covid, il cinema di Almodóvar c’è e lotta insieme a noi.

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