Venezia 78, giorno 10. Con ‘Un autre monde’ Brizé completa la sua trilogia sul mondo del lavoro
Un autre monde è l’ultimo film di un Concorso veneziano che quest’anno è stato di buon livello, terza parte della trilogia sul lavoro firmata dal bravo cineasta francese Stéphane Brizé. Il primo film, La legge del mercato, narrava la storia di un cinquantenne che tentava di rientrare nel mondo del lavoro e riusciva a trovare spazio solo come guardia di sicurezza in un ipermercato, dove entrava in contatto con l’indigenza di molti clienti. In guerra si spostava dal piano individuale a quello collettivo, raccontando la lotta dei lavoratori di un’azienda contro il licenziamento annunciato e la chiusura del loro stabilimento. Un autre monde si pone come il controcampo del film precedente, puntando sulla descrizione di un dirigente d’azienda, al quale viene richiesto di organizzare un piano aziendale che prevede il licenziamento di circa il 10% del personale, cioè 58 persone, nonostante la fabbrica in questione, che produce elettrodomestici, abbia chiuso il bilancio ampiamente in attivo. Nel frattempo il protagonista, Philippe Lemesle, cui è affidato il compito di elaborare la strategia di attuazione del piano, deve gestire il doloroso divorzio dalla moglie Anne, dovuto proprio all’insostenibile pressione del lavoro.
Come nei film precedenti, il ruolo del protagonista è affidato al sempre impeccabile Vincent Lindon, anello di congiunzione della trilogia, bravissimo nel restituire il profondo turbamento interiore di Philippe, costretto a eseguire ordini che non approva, soprattutto ora che ha compreso come il lavoro sia stato la causa del fallimento del suo rapporto. Brizé e il suo co-sceneggiatore Olivier Gorce dimostrano la consueta abilità nello scrivere dialoghi estremamente credibili, di millimetrica precisione, capaci di restituire la complessità della situazione descritta, una situazione che molte realtà industriali conoscono molto bene. Si parla, infatti, del problema delle delocalizzazioni, dei continui tagli al personale, operati anche da aziende in salute, spesso effettuati solo per rassicurare gli azionisti e per distribuire dividendi, del conflitto tra etica e mercato, tra responsabilità e minacce di licenziamento o declassamento.
Un autre monde traccia il quadro di un mondo del lavoro costruito in maniera piramidale dove, alla base, ci sono gli operai, spesso costretti a turni infernali e a condizioni di lavoro insicure e gravose, poi i quadri intermedi, come Lemesle, che sono coloro che mettono la faccia quando si tratta di annunciare le decisioni più dolorose, per poi arrivare ai dirigenti locali, che hanno il compito di fare pressione ai loro sottoposti, e infine all’Amministratore Delegato che, in una delle sequenze maggiormente significative, rivela che anche lui risponde a qualcuno, e cioè a Wall Street, il grande mercato, il Vertice, qualcosa cui è impossibile attribuire un volto.
A differenza di In guerra, la cui forza s poggiava sul ritmo serrato e implacabile, da lasciare senza fiato lo spettatore, Un autre monde presenta una maggiore distensione e dilatazione dei tempi narrativi, indugiando più del film precedente sulla vicenda familiare del protagonista che, oltre alla dolorosa separazione dalla moglie (un personaggio che forse avrebbe meritato un maggior spazio di approfondimento), deve gestire l’instabilità psichica del figlio minore, che vive una preoccupante dissociazione dalla realtà. Il giovane Lucas, infatti, studente di economia, vaneggia di conversazioni telefoniche e virtuali con Mark Zuckerberg, e ha iniziato un complesso processo psicoterapeutico che lo aiuti a recuperare il contatto con la realtà.
Con questo personaggio, Brizé vuole probabilmente alludere alle profonde difficoltà delle generazioni successive, alla loro difficoltà nello stare al mondo, alla loro profonda inadeguatezza esistenziale. Ragionamento senz’altro condivisibile e interessante, sebbene un figlio dell’alta borghesia, cui è garantito un certo vantaggio rispetto ai suoi coetanei meno privilegiati, non sia forse l’esempio più adatto per raccontare questo fenomeno. Al netto di qualche sbavatura, che lo rende leggermente inferiore ai due capitoli precedenti, Un autre monde resta comunque un’opera di indubbio interesse che, sospinta dal tema scottante e drammaticamente attualissimo, potrebbe dire la sua nel palmarès annunciato per domani, a partire da Vincent Lindon, che potrebbe bissare la vittoria ottenuta a Cannes nel 2015 con La legge del mercato.
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