Francesco De Rosa, maschera antica di malinconia
“Professò, ve lo dicevo. Fatevi la comodità! Fatevi la comodità! E mò ’o cavaliere s’adda arrangià!”
– Antò, ma tu te l’arricuorde Gigino? Il venditore di bare a rate di Così parlò Bellavista? –
– Sì, fammi leggere. Chissà quanti anni avrà adesso. Sarà invecchiato. Ma è muorte! Uh, e chi lo sapeva. Era pure giovane. –
Sì, Francesco De Rosa non c’è più. Dal 2004. I familiari diedero la notizia della sua scomparsa tre mesi dopo. Francesco De Rosa era una maschera bellissima e trascurata. Ingiustamente. Come regola vuole per le cose che vengono dimenticate in un angolo e nessuno sa perché, nonostante siano così belle, sono in pochi a desiderarle veramente.
È nato da una conversazione sotto la pioggia col mio amico Antonio, quest’omaggio a un attore che aveva sul volto i tratti della parola e della timidezza, della scaltrezza e dell’innocenza. Di quella “cialtroneria” candida e tenerissima che solo i “figuri di tanti anni fa” portavano sul volto rievocando personaggi noti e dileguandosi per le strade senza lasciare traccia. Come ‘Mani d’oro’ in Piedone ad Hong Kong, quando Steno lanciò nel cinema un giovane che per molti ricordava la faccia di Totò. “Mani d’o’! Se ne sarebbe accorto pure un fesso!”, e via con quel dialogo ravvicinato e a distanza tra il commissario Rizzo e il ladruncolo dal cuore buono. Attore nato attore, Francesco De Rosa. Negli occhi qualche secolo e sul volto un movimento verticale a scorrere tutta la sua forma plagiata tra Pulcinella e i viandanti di quelle strade dove quello che spunta di tanto in tanto interroga, sovviene, sospira e se ne va.
I suoi film non sono stati pochi, spesso con apparizioni, a mo’ di munaciello bonario e innocuo, con una magia negli occhi sopra quelle due borsette e la voce schiacciata proveniente direttamente da dietro un palato saltellante sopra un perpetuo nodo in gola. Steno, Bellocchio, Lizzani, Fellini, Scola e Gibson sono alcuni tra i registi che lo hanno sfiorato. Appena appena sistemato come un pastore errante a fare il caratterista con l’animo da protagonista. Perché quando Francesco De Rosa compariva in scena, se la prendeva tutta.
“Questa è Enea.”
“Questo è Enea! Questo. Enea è uomo.”, lo corregge Bellavista mentre cerca di vendergli una bara a rate a Vico Rose a Napoli. Un dialogo che sembra trarre spunto dal celebre Febbre da cavallo, dove proprio Francesco De Rosa interpreta uno tra i personaggi di maggiore successo nel film di Steno: “Caligola è un nome da Omo, come Agrippina, Ignorante!”
“Ciccio” De Rosa se n’è andato ai primi di dicembre di 17 anni fa. E se n’è andato di sua volontà. Di quel gesto estremo hanno scritto che probabilmente sia stato causato da uno stato depressivo perché nessuno lo chiamava più a recitare. La famiglia ha sempre mantenuto il più stretto riserbo sull’epilogo di un uomo che nel mondo in cui si era contraddistinto forse ha dato più di quello che ha ricevuto.
Ad Antonio non l’ho detto ancora come è finito Francesco De Rosa. Lo leggerà da questo ricordo. Già so che poi mi guarderà senza dirmi niente. Con quel po’ di malinconia muta, senza voglia di andare oltre il limite irraggiungibile dell’espressività. Come Francesco De Rosa.