‘Red Venus’, in dialogo con Franz Cerami e la sua nuova mostra al MANN fino al 24 maggio
di Davide Speranza
C’è un dipinto del Botticelli conservato alla National Gallery di Londra, realizzato intorno agli anni Ottanta del Quattrocento, che prende il titolo di Venere e Marte. Lei distesa a sinistra, osserva indulgente e bellissima (ma con uno sguardo velato da una impercettibile malinconia) lui, sonnecchiante, dal volto provato, quasi esanime. Intorno a loro un gruppo di fauni birbanti, che giocano con le armi del dio della guerra e provano a svegliarlo suonando dentro un corno di conchiglia. Venere e Marte, probabilmente dopo i fasti di una dinamica sessuale. Principio femminile e principio maschile. Lei portatrice d’amore e vita, lui di tragedia e morte. Da qui ad evocare Eros e Thanatos ci vuole poco. I due opposti elementi marcano i confini delle nostre esistenze, ne segnano l’inizio e la perturbazione, la nascita e la fine.
Una miscela esplosiva che da secoli plagia l’immaginario degli artisti e attraversa non solo l’arte classica e moderna, ma anche la furiosa contemporaneità del gesto creativo. Il visual artist napoletano Franz Cerami fionda la sua prospettiva verso questa direzione, sostiene il confronto con i maestri del passato e riscrive il mito grazie al nuovo progetto Red Venus, serie di opere (in collaborazione con l’Università Suor Orsola Benincasa) in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli fino al 24 maggio. Nel mezzo ci sarà una incursione a metà tra poesia e azzardo, ma andiamo con ordine.
Il lavoro è stato commissionato direttamente dal MANN. «Stavo lavorando sul tema della linea rossa, una linea di sangue, che è sangue e vita, sangue e mestruazioni, ferita – racconta Cerami, seduto in Piazza Bellini, circondato dagli amici di una vita, che lo hanno omaggiato della loro presenza all’opening – Da questa linea rossa è uscita Venere. Sono andato al Museo Archeologico e ho studiato le Veneri che erano in esposizione. Ho iniziato ad associare il mito di Venere e Marte, vita e morte, sesso e morte. Poi un giorno per caso mi arriva una telefonata e mi invitano dalla Regione Campania a realizzare un’installazione a Marcianise. Dovevo fare un sopralluogo. L’assessore alla Cultura, Tommaso Rossano, mi accompagna a fare un giro, scopro che tutta l’area è legata al culto antico di Afrodite, che con l’arrivo dei romani diventa il culto di Venere e, infine, quando arrivano i cristiani diventa Santa Venera, mentre San Michele non è altro che Marte».
Il sincretismo avvia una serie di mutazioni dei concetti e delle prassi religiose e con la cristianizzazione le vecchie divinità vengono assorbite. Qui, nel piccolo comune casertano, viene organizzato un carnevale molto particolare che si nutre anche della storia millenaria autoctona. «Durante la sfilata, i carri di Venere e di Marte si incontrano/scontrano come in un amplesso – spiega l’ideatore di Red Venus – Il mio lavoro doveva consistere in un’installazione da proiettare sul campanile di Piazza Carità, legata a queste suggestioni. A quel punto viene a vedere l’installazione Ludovico Solima che insegna al Dipartimento di Economia nell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” a Capua, e mi suggerisce di organizzare una mostra. È così che nasce il confronto con il direttore del Mann, Paolo Giulierini. Lo stesso Ludovico mi consigliò di inserire all’interno dell’installazione la mia mano mentre dipinge. Durante la notte sogno questa cosa, vedo la mia mano che disegna. Passo le ore a scrivermi questa idea e l’indomani mattina inizio a capire la fattibilità dell’opera. Ci lavoro tutto il giorno. Dall’installazione di Marcianise sono passato quindi al Museo Archeologico». Tutto è pronto, ma nel 2019 arriva la pandemia. Il progetto si blocca, rischia di non vedere mai luce. Ora finalmente l’opera è visibile.
«Lavoro con arte pubblica – chiarisce Cerami – Mi piace che la mia arte possa essere vista e toccata da tutti. Mi piace l’idea della partecipazione, l’idea della festa, delle persone che si incontrano e festeggiano intorno a eros e thanatos. L’erotismo e la morte». Una prima installazione si trova in questi giorni nella sala 90 del Mann, sala attigua al Salone della Meridiana. Sulla parete frontale scorre il racconto audiovisivo dell’installazione a Marcianise, mentre sulla sinistra si stagliano le 12 opere a olio e grafite 90×120, a destra i lightbox (le scatole luminose di una serie limitata, multiple di dieci), infine sull’estrema sinistra 8 olii. Il tutto in dialogo con un importante affresco proveniente da Ercolano, dove sono raffigurati Venere e Marte in volo. Le opere di luce e colore di Cerami sembrano quasi un rito propiziatorio, un’azione sciamanica contro la morte disseminata dal virus nel corso di oltre due anni.
«Ritornare adesso a esporre e incontrare il pubblico è stato emozionante – ammette il creativo, che insegna Retorica e Digital storytelling dei Beni culturali all’università Suor Orsola Benincasa – Ricordo che mi trovavo a San Paolo in Brasile. Avevo realizzato una mega installazione per un’azienda di design, un’opera su 10 palazzi, mastodontica. Avevano messo in piedi uno studio dove stampare le immagini, ridipingere. Era Remix Portraits. All’inaugurazione c’era il mondo, una grande gioia. Mentre mi trovavo su un cavalcavia a scattare foto, l’autista di un autobus si è fermato a pochi centimetri da me, iniziando prima a indicare l’installazione e poi me che ne ero il creativo. La gente iniziò a guardare quelle immagini. Fu una bellissima sensazione, quella di creare emozioni, interazione. A me interessa questo. Quando esplose il covid, dovemmo ritornare in Italia e fu un’odissea. Non potendo più prendere un volo diretto, fummo costretti a trovare un aereo per Lisbona, poi Marsiglia, quindi Roma. A Napoli con il treno. Le hostess di terra non volevano avvicinarsi a noi. Era il terrore. Ricordo un centinaio di militari, una serie di blocchi, e una pubblicità audio in cui dicevano di fare attenzione. Mi sentivo in un’atmosfera orwelliana. Piansi e mi emoziono ancora adesso. Questo covid ci negava il contatto con gli altri».
Cerami si ferma un attimo, beve un sorso di birra, gli occhi sono lucidi. Per un artista che si nutre di relazione e rapporti umani il lockdown ha significato una seconda morte. Per esorcizzare questi ricordi ha deciso di organizzare all’interno della stessa mostra una sorta di incursione, un’ulteriore installazione che si terrà solo la sera del 19 maggio, nel Salone della Meridiana. Olii e grafite digitalizzati si sostituiscono agli affreschi della volta della sala. In fondo anche questo sancisce simbolicamente una specie di sincretismo: questa volta artistico. «Tra l’altro è la prima volta che lavoro su un affresco, una grande sfida. Red Venus per me è il momento mistico sui temi della vita – anticipa – Il museo predisporrà una serie di materassini su cui sdraiarsi. Le persone assisteranno a due affreschi, realizzati a olio, grafiti e painting digitale, sui temi di eros e thanatos, Venere e Marte».
Cerami da sempre ha immaginato ponti invisibili tra i grandi di ieri e le ancora infinite possibilità del domani. Anche adesso, mentre restiamo seduti fuori questo locale a pochi passi dalle mura della Neapolis greca, l’artista guarda assorto davanti a sé, come se il mondo intorno fosse una trasfigurazione da svelare e da cui stralciare pezzi di immortalità. «Lavoro con mezzi antichissimi, con la mia mano disegno sulla carta – dice – Non è tanto la tecnologia quello che mi caratterizza, ma la voglia di far uscire le cose all’aperto, la voglia di un’idea. Se la tecnologia è il fine mi sembra una cosa molto noiosa. L’idea di sovrapposizione del mio disegno sulla volta della sala è quella dell’estasi, la meraviglia, la reinterpretazione. Penso che tutta l’arte sia stata contemporanea. Oggi parliamo di Beni culturali e diamo importanza all’arte antica. Gli artisti del passato sono fondamentali. Ma queste persone sono state umane, hanno camminato su questa terra, hanno vissuto di passioni, sono stati dei contemporanei. Allora è necessario e giusto un confronto tra passato e presene, indispensabile per rigenerare, reinventare. Il Mann è un posto che conosco benissimo fin da bambino. È un grande contenitore di storie, icone, simboli, miti, ma queste cose devono muoversi, essere stravolte. La narrazione è stravolgimento, è violenza, è errore. In questo il Museo Archeologico è il luogo adatto a un’installazione del genere e il direttore Giulierini è stato bravo nell’aver avuto la capacità di portare il presente dentro il museo».