‘Playtelling, Performance narrative nell’Italia contemporanea’. Intorno al nuovo libro di Dario Tomasello

di Chiara Frallicciardi

Dario Tomasello insegna Letteratura Italiana contemporanea presso l’Università di Messina, dove coordina il DAMS e ha fondato il Centro Internazionale di Studi sulla Performatività delle Arti.

La nostra riflessione è rivolta al suo più recente lavoro editoriale: Playtelling, Performance narrative nell’Italia contemporanea (Marsilio Editori, 2021). Questo lavoro di Tomasello, possiamo dirlo senza tema di smentita, è una pubblicazione cui si avvertiva la mancanza nel panorama italiano dei Performance Studies contemporanei. Infatti in maniera puntuale e rigorosa l’autore affronta questioni complesse che appartengono alla vasta gamma dei linguaggi verbali e non; analizzando in particolare le strategie di approccio interpretativo al linguaggio performativo e studiandone anche il fitto rapporto con le scienze cognitive.

Tomasello sottolinea l’insostituibilità della esecuzione artistica dal vivo in un momento storico, sociale e culturale in cui la performance e la performatività (digitali e non) dominano incontrastate. “La performance sarà per il ventesimo e il ventunesimo secolo quello che la disciplina è stata per il diciottesimo e il diciannovesimo: la formazione onto – storica del potere e della conoscenza”[1]. La performance in tutta la sua pervasività̀ è un tratto tipico dei comportamenti umani e, in quanto tale, costituisce un paradigma utile per comprendere le dinamiche relazionali che si determinano nella everyday life[2]; qualsiasi evento, infatti, può̀ essere analizzato e studiato as performance[3]. Jean-François Lyotard, a proposito del tramonto delle narrazioni dell’epoca moderna (illuminismo, idealismo e marxismo) e a proposito del funzionamento della nuova epoca post- moderna[4], pone le basi per la costruzione di un dibattito sociologico molto importante sulla performance e la performatività, percepite come essenze fondanti dello spirito del nostro tempo. Difatti, esposti a milioni di messaggi visivi, oggi siamo sempre meno capaci di vedere realmente, seppure vedere determini il nostro posto nel mondo, così come la relazione – non sempre trasparente- tra ciò che vediamo e ciò che sappiamo determina la nostra identità, individuale e collettiva.

Attraverso l’analisi di una serie di modelli di descrizione e interpretazione, effettuata con rigore scientifico e di grande impatto comunicativo, il libro riflette -e di conseguenza invita il lettore a riflettere- su tematiche nevralgiche per la condizione postmoderna all’interno della quale viviamo.

Gli esempi apportati sono applicati a performance orali del patrimonio culturale siciliano, dal medioevo all’età contemporanea. L’autore, sebbene scriva un testo specialistico–scientifico utile agli addetti ai lavori, utilizza un linguaggio immediato e chiaro che rende fruibile la lettura anche a coloro che non sono cultori della materia. La dedica dello scrittore che apre l’opera: a Luce, per le storie che verranno, ci fornisce una chiave di lettura efficace per cogliere l’essenza ed il fine ultimo del libro. Capiamo infatti, fin da subito, che il soggetto del libro è principalmente la “storia”, intesa come Arte sacra dello spazio del racconto. Da questa dedica inoltre percepiamo l’affascinante vertigine del presente, teso verso il futuro e percepito come una delle infinite possibilità di essere.

Il capitolo centrale si focalizza sull’arte del Cunto, antica pratica di narrazione orale presente in Sicilia e ricca di influenze euro-mediterranee. Il ritmo sincopato del cunto, di origine misteriosa e antichissima, scandisce l’epopea per voce sola che Mimmo Cuticchio, il maggiore puparo e cuntastorie del nostro tempo, porta nelle piazze e nei teatri del mondo.

L’essere umano, essendo un “animale sociale”, da sempre prova il bisogno più intimo e profondo di esprimere le proprie emozioni entrando in un rapporto empatico con l’altro mediante il potere magico ed evocativo della parola. Di questo bisogno di raccontare ed ascoltare siamo consapevoli oggi più che mai dopo l’esperienza della pandemia globale che dal momento in cui ci ha imposto di non vivere direttamente gli spazi sociali reali, (come bar, ristoranti, cinema, teatri, musei, giardini), ci ha indotti a vivere maggiormente nella dimensione del social media life, ovvero nello spazio fertile del virtuale e a considerare sempre più gli strumenti tecnologici come protesi del nostro corpo.

Raccontiamo per sentirci vivi, raccontiamo per sopravvivere a noi stessi e per sfuggire alla monotonia mortifera della quotidianità cercando di colmare il senso di horror vacui che inevitabilmente ci affligge. Lo sguardo lungimirante dell’autore, rivolto al passato e contemporaneamente al futuro in una prospettiva globale, ci fa comprendere l’importanza e la bellezza del non dover essere spettatori passivi della vita e dell’arte. Di conseguenza è necessario che il fluire dell’esistenza, con le sue contraddizioni, sia vissuto in maniera diretta e non filtrato dai diversi social media. Molto importante è anche che il punto di osservazione del lettore,non meramente spettatoriale e passivo.

Il mio augurio personale, condividendo a pieno il pensiero di Dario Tomasello, alla maniera Longhiana è che questo periodo storico di Covid-19, seguito dalla guerra in corso tra Russia ed Ucraina (che se fosse un quadro sarebbe sicuramente un mix tra Surrealismo paranoico di Dalí, un Picasso nel suo periodo blu ed un luogo/non luogo fantasmico e desolante di De Chirico), possa portare alla rinascita di nuovi stimoli per scoprire e percorrere nuove strade nel mondo dell’arte sia nella maniera fisica tradizionale sia adoperando e sfruttando tutte le nuove tecnologie digitali.

Tenendo sempre presente che la cultura non è sapere ma è cercare.

 

[1] J. McKenzie, La performance come nuovo argomento di conoscenza (Perform or Else. From Discipline to Performance, New York 2001), in R. Schechner, “Introduzione” ai Performance Studies, traduzione a cura di D. Tomasello, Cue Press, Imola 2018, p. 68.

[2] Tomasello D., Vescovo P., La performance controversa. Tra vocazione rituale e vocazione teatrale, Cue Press, Imola, 2021.

[3] Schechner, R., Performance Studies. An Introduction, New York, Routledge, 2002.

[4]  J. F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981.

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