‘Coi miei occhi’, la mostra della ‘Tieni A Mente’ ODV al Caffè Alzheimer al Centro Asterix di San Giovanni a Teduccio
di Davide Speranza
«In mente non avevo niente però è uscito qualcosa che mi piace», «Il mio cervello», «Quello che resta». Sono alcune delle frasi scritte su fogli, tele, biglietti appesi alle pareti bianche del Centro Asterix di San Giovanni a Teduccio. Pensieri semplici che racchiudono pezzi di universo ancora non deragliati. Appartengono agli ospiti dell’Associazione TAM di San Giorgio a Cremano, affetti da demenza, molti da Alzheimer, che hanno esposto i loro quadri nel centro giovanile di via Domenico Atripaldi. Non lontano dalla struttura, da poco tempo oggetto di recupero, svettano casermoni incolori impreziositi dal murale di Jorit, il faccione di Diego Armando Maradona fiero e rigato sulle guance. Sembrano cassettoni di ferro e cemento armato caduti dal cielo, groviere bucate, manco avessero fatto da cibo per topi con tutte quelle finestre che si affacciano senza colore alla strada. Eppure, a pochi passi, c’era il miracolo. “Quello che resta” è il messaggio che più di tutti gli altri incarna una condizione, l’idea di una memoria che si sfalda, di un passato mischiato al presente, e di una linea della coscienza spezzata, storta, quasi sbiadita, una specie di nebbia che si mangia tutto.
La mostra si intitola Coi miei occhi, e nasce per sostenere il laboratorio d’arte all’interno del centro diurno Caffè Alzheimer della TAM Tieni A Mente ODV. Un “approccio psicosociale”, come lo definiscono gli organizzatori, che possa sostenere il percorso terapeutico delle persone con demenza. Difficile pensare a tanta grazia, in un tempo storico che fatica a individuare punti di riferimento. Invece il ventaglio di colori messo a disposizione da esperti, operatori e ospiti della struttura restituisce il senso di una ricerca del sé, oltre i canoni accettati, guida in una comprensione altra, dove le parole – forse anche questa narrazione – non hanno valore, non trovano riscontro. Invece gli occhi sì, gli sguardi, le vibrazioni emotive, che non hanno bisogno di spiegazioni estorte alla povera e violenta umanità, restano calde sotto la cenere, brace che non si spegne, e se lo fa risulta seguire una linea temporale extra.
La collettiva è organizzata nel mese dedicato alla Consapevolezza sull’Alzheimer e chiunque passi la soglia del Centro Asterix avrà la sensazione di un esterno plumbeo e logoro nella sua dinamicità coercitiva, mentre, all’interno, avrà modo di penetrare i sorrisi della mente, gli strati più silenziosi dell’anima, quelli che bruciano ancora quando la rete di sinapsi chiude poco a poco gli interruttori e dice basta al mondo. Allora ci si renderà conto che “quello che resta” non ha nulla a che vedere con il grigio, con la depressione, con la morte. Tutto il contrario. Diventa manifesto di una battaglia gioiosa, quella per la conquista di una nuova realtà. È un voler annaffiare pezzi di terra fertile, nonostante il deserto intorno, e riuscire a far nascere papaveri e margherite, girasoli e steli verdi e grassi e lucidi, come a voler dire “riemergo”.
Il laboratorio d’arte deve continuare anche l’anno prossimo, è una richiesta alla comunità, una richiesta che riguarda anche noi. Il giovane neuropsicologo Danilo Atripaldi ci aiuta a raccogliere alcuni dati internazionali e locali. Allora l’idea è che quella evanescenza possa accadere a chiunque.
Sarebbero 55 milioni i casi di demenza nel mondo, destinati a diventare 78 milioni nel 2030 e 139 milioni nel 2050. Isolamento sociale e depressione, tra i tanti altri, sembrano essere fattori determinanti al deterioramento delle capacità cognitive.
«L’imprintig di Tam come approccio è quello di ribaltare le carte in tavola – spiega il presidente dell’associazione Fabio Matascioli – Di solito ci si concentra su quello che manca e non sulle risorse persistenti, soprattutto in pazienti che hanno deterioramento cognitivo. L’idea di un lab d’arte permette di tenere un canale comunicativo espressivo aperto, dà la possibilità ai nostri utenti di sentirsi capaci. Inoltre è un modo per comunicare con i familiari e con il resto della società. La persona con demenza può ancora dire tanto. Ma poi, voi avete mai esposto in una galleria d’arte? Loro sì».
A portare avanti il laboratorio è la 30enne Martina Scognamiglio, musicoterapeuta e coordinatrice dei laboratori espressivi nel centro di incontro Caffè Alzheimer. «L’arte è un mezzo potente – spiega, e mentre racconta sorride, forse pensa già a quali progetti poter realizzare in futuro con i suoi ospiti – Crea altre modalità di comunicazione, la possibilità di riuscire a buttare fuori il dentro. Insomma l’arte permette ai pazienti di potersi esprimere laddove il linguaggio è fortemente impoverito. Tam porta avanti questo discorso, da 10 anni ormai. L’idea della mostra nasce quest’anno. Durante il laboratorio avevo osservato l’effetto dell’arte su loro e su di me. Queste persone si mettono in gioco, fanno un grande sforzo. Escono le loro debolezze, il mondo interiore, la parte più intima, quello che resta. Nel corso del tempo ho imparato che le emozioni si trovano nella parte del cervello che si deteriora alla fine. Anche se perdiamo la capacità di muoverci e parlare, quella parte emozionale non va via».
Il percorso da seguire si dipana lungo i corridoi dell’Asterix e la collettiva si divide in sezioni, momenti cronologici che mostrano le grandi conquiste degli “artisti”. Si parte con macchie di colore e ampi spazi bianchi, come se ci fosse ancora incertezza, paura dell’ignoto. Poi compaiono i primi disegni, i titoli incantati e fiabeschi come “Il sole è la cosa più bella”, quindi le macchie si incupiscono, prendono un movimento vorticoso sulla tela e partoriscono “Inferno”, oppure si coagulano intorno a figure geometriche che rabboniscono l’osservatore con un “Che va tutto bene grossomodo”. I quadri acquistano un loro splendore cromatico, una lucentezza emotiva che suggerisce ora rabbia, ora distensione, ora autoconsapevolezza (come nel dipinto “Paura e Tristezza”). È solo il preludio a composizioni floreali, distese di petali, sfumature sgargianti di corolle e foglie, fino a raggiungere collage di senso compiuto e stratificato, soggetti di arte concettuale composti da pezzi di giornale e messaggi benefici: “trovare l’essenza della vita”, “oltre i luoghi comuni”, “ritrovare accoglienza”, “vivere a testa alta”, “una luce restituisce” e “condividere la felicità”. Concetti che forse la massa dei cosiddetti “normali” non è più neanche in grado di pronunciare, né di immaginare.
«A noi interessa il processo, non tanto il risultato – continua Martina – Abbiamo riempito la pagina, sentito le emozioni, la paura, la sorpresa, i ricordi legati a queste emozioni, i matrimoni, i figli, la lontananza, la vicinanza, la perdita. Chi viene a vedere la mostra si aspetta figure tristi e in bianco e nero, invece no. C’è colore, c’è luce. Abbiamo lavorato sulla primavera, un marcatempo, un tema di rinascita, sul quale operiamo in modo da percepire il tempo che passa. Nell’Alzheimer si perde l’orientamento spazio temporale. Hanno disegnato fiori, campi di papaveri. Volevamo raccontarla questa rinascita. Queste persone hanno portato avanti battaglie nel passato, come le donne negli anni Sessata e Settanta. Ci parlano di una storia che è la nostra, di un paese intero. Le guerre, il ‘68. Il prodotto finale è stato un presepe, così da poter restituire loro una parte della tradizione napoletana».
E nel mezzo di questo girotondo, colpisce quel quadro con le foglie. Un altro collage: dietro, un piccolo aneddoto. «Ognuno doveva metterci del suo – ricorda ancora la musicoterapeuta – Ne abbiamo discusso, dovevamo scegliere un titolo. E una signora ha raccontato che le faceva venire in mente la sua condizione, il suo cervello, lei vedeva così il mondo, tutto confuso. Il fatto è che molti non nominano la demenza e l’Alzheimer. Alcuni non se ne rendono conto, altri sì. Alcuni ne parlano. Ti freddano. Ho l’Alzheimer, dicono. Ogni volta mi fermo e rifletto. Accolgo quello che viene detto. Il lab d’arte è un modo per acquisire consapevolezza. Se lo riconosci significa che lo stai affrontando. Se ho la forza di dire che ho l’Alzheimer, significa che ne possiamo discutere, possiamo costruire un dialogo».
Come gli ospiti del laboratorio, anche Martina è di questa terra e combatte per la sua comunità: «Noi siamo di qua – dice, fiera, gli occhi le brillano dietro la montatura degli occhiali – Noi operatori siamo cresciuti in questi territori. Cerchiamo di mettere in rete tante realtà. Ad esempio Tam è qui perché in collegamento con Callysto Aps e la Coccinella, che conducono il Centro Asterix e ci hanno dato la possibilità di aprire il bar gestito dai ragazzi con autismo».
Questa immane e necessaria rivoluzione psichiatrica si modella in un contenitore demografico compresso tra San Giovanni a Teduccio e San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli cittàmondo. In una terra dove cicatrici e polvere possono risultare banali cliché, nascono campi di papaveri in fiore sulle mura bianche degli edifici e a disegnarli sono uomini e donne senza tempo.