‘Anche i piccioni muoiono’. Tema dell’oblio degli affetti
“Quella è la sorgente del Cannillo che è citata nel racconto Anche i piccioni muoiono.”, indicandomela con austera e intima spontaneità. Ci trovavamo lì sotto, mentre un cielo estivo coperchiava la montagna con nuvole grigie, ma innocue. E io, muto, privo di replica guardai lassù, contemplandola quasi di nascosto, sottocchio. Se fosse stata una parola scritta, sarebbe stata una nota a margine segnata quasi clandestinamente. Tuttavia soltanto per tentare di verificare l’intuizione nascosta dal pudore davanti a una sacralità imbarazzata, ma al tempo stesso insopprimibile. Lo svelamento avrebbe condotto ai suoi pentimenti o ai suoi sollievi.
Anche i piccioni muoiono è un racconto di Davide Speranza portato in scena in recital musicale e illustrato. La narrazione rivela un motto implicito di confessione. Il tormento dolce e doloroso della contemplazione del distacco tra i momenti della vita di un uomo. Ancor di più se essa sia legata in qualche modo a quelle di altre persone, di luoghi fermi a specchiarsi su rive in pena di ricezione. Ora la guerra, ora quel che resta, a inumidire i volti corrugati e afflitti di una civiltà senza tempo. Mai essa otterrà una sistemazione dentro la solidità di un riconoscimento che non sia soltanto l’epopea di un’umanità storicamente fuori dalla storia. Indisposta a scriverla, ma naturalmente e primordialmente preparata soltanto a subirla.
In possesso senza eredità, in dinastia senza potere, perpetrata in rifiuto di se stessa e per se stessa. Al lume di angoli semibui, sopra piccoli tavoli rassegnati da cui non arriveranno decisioni, ma su cui si depositeranno angosce e inferni privati, Davide Speranza descrive la pena del reduce. Tornato per non tornare più. Colpevole di sopravvivenza all’ombra di una tragedia senza fine, condannato a fare costatazione di tutto lo smarrito di una vita sul rogo delle tappe. Tra gli affondi in una realtà descritta in forma scalare, laddove dall’alto cala il peso di una colpa in seno a un arcano senza volto e senza terra, e l’incredulità del delirio onirico, attraverso un contrappunto letterario Anche i piccioni muoiono deroga a una inquietante e violenta metafora tutto quel brutale giogo esistenziale che percorre senza sosta quella scala simbolica rivolta alla pendice silenziosa che ne testimonia un’enigmatica imperturbabilità.
“Il mare se vuole affogarti lo fa, se vuole darti pesce lo fa e tu lo sai e lui lo sa. La terra non sa niente.”
da Anche i piccioni muoiono
Vincenzo, il protagonista al quale sono legate tutte le altre figure per un dimensionamento privo di ranghi e gerarchie, è l’erranza orientata dal paradosso secondo cui soltanto il divieto del ritorno offre riparo dalla tempesta di rimembranze che, in quanto tali, sono irrecuperabili, come il mare rende l’oggetto della sua restituzione quando la marea ne riconsegna un segno o, addirittura, la sua integrità. E allora solo il silenzio diventa il verbale più autentico della requisitoria sul luogo di un delitto mai avvenuto, poiché la sua soppressione si è già consumata alla consegna di se stesso alla mortalità della vita. Laddove questa venga intesa come consumazione per sottrazione, fino all’esiguità saggia e affannata di quel se stesso.
È la drammatica e intimamente disperata scoperta dell’afflizione umana. Non nella sua disperazione, ma nello strazio silenzioso della coscienza del vivere verso gli altri. La sporgenza verso il prossimo amato, come in una derivazione poetica alla Montale, “Occorrono troppe vite per farne una”, sedimenta il suo struggente precipitato. Come ha scritto Carlo Fruttero su I compagni sconosciuti di Franco Lucentini, “Il protagonista ha scoperto che i rapporti umani fanno soffrire. E più sono dolci, affettuosi, semplici, giusti, più – qui sta la tragedia – fanno soffrire”.
Di tanto in tanto, non viste, da lassù ruzzolano invisibili e indisturbate le gioie antiche che trovano riparo sotto le nuvole grigie intorno alle vette delle montagne che sembrano minacciare tempesta, ma che sono soltanto l’effetto di un gioco tra pressioni e temperature. Tuttavia, in attesa che qualcuno lo rievochi, qualcosa vi resta nascosto.
Il racconto Anche i piccioni muoiono va in scena, in forma di recital, domenica 15 gennaio, ore 19.00, al Piccolo Teatro Porta Catena, a Salerno. Lo spettacolo prevede, oltre che la recitazione del testo dall’autore stesso, l’esibizione musicale di Gianmarco Volpe e la proiezione delle illustrazioni a cura di Luigi Mascolo, per una polifonia audiovisiva figlia di una lunga sperimentazione del gruppo che porterà in scena la narrazione scritta da Davide Speranza.
Immagini interne e di copertina per gentile concessione di Luigi Mascolo