Intervista a Gianluca Montebuglio su ‘oma’: “Tenerezza o niente”
“oma è stata arrangiata con e prodotta da Lorenzo De Gennaro, a dicembre 2021, in una notte; quella pubblicata è la traccia senza missaggio e voci definitive: dopo averla registrata è rimasta con me per questi anni, finché non mi sono reso conto che era arrivato il momento di lasciarla andare. Ecco perché non ha un’etichetta dietro. Alla tua intervista seguirà un racconto, poi, su scenecontemporanee.it: per tutto l’immancabile supporto, a riguardo ma non solo, ringrazio Franco Cappuccio. La foto, scattata a villa Ghigi a gennaio 2023 è di Nellide. Se dovesse essere troppo piccola dimmi, così trovo una soluzione. Ora che ci penso è successo tutto in inverno, e ha senso.”
Gianluca Montebuglio
Il testo che seguirà non è proprio un’intervista. Si potrebbe chiamarlo così per comodità. Tuttavia esso non rispetta totalmente le regole delle interviste. In fondo di regole ne rispetta poche e basta. Volutamente, ma senza volontà. Chiamiamola conversazione. Iniziata come? Cito testualmente: “Perché fare un’intervista su una canzone? Parliamo della tenerezza e basta.” – “Sì, preferisco”. Di queste due battute, però, resterà un piccolo e insignificante mistero. Nessuno saprà mai chi ha pronunciato una e chi l’altra.
La canzone era con me da tanto tempo. Avevo bisogno di lasciarla andare. È un’opera intima. Per due ragioni: la prima è di ordine autobiografico. Proviene dalla conoscenza con una persona avvenuta in un ospizio. Una donna che parlava tedesco e friulano. Una signora di grande vitalità, che aveva alle spalle una vita da romanzo. La seconda ragione è intima. Ha a che fare con la tenerezza. Una cosa preziosa che va curata. Se non la curi, la smarrisci. Tenerezza come senso del profondo, ma senza toccarlo. Puoi soltanto sfiorarlo. Non lo afferri, ma vi tendi attraverso uno sforzo in cui ad aiutarti è la meditazione. Nulla a che fare con quella meditazione che spesso viene superficialmente attribuita a santoni o figure del genere. Per meditazione intendo la capacità di “sedersi”, di affrontare i significati delle cose che ci circondano e di come agiscono dentro di noi. Ed è una pratica che ha bisogno di frequenza, costanza e abnegazione.
Una ritualità marziale?
È disciplinare. E conduce a un elemento amoroso. Fondante dell’amore. Solo che è più immediato. La tenerezza è una condizione che va alimentata e che riproduce le corrispondenze amorose. Ma di quell’amore saggio e cosciente che non si risparmia, che non ha bisogno di cautelarsi in autodifese che ne attentino l’esercizio e l’esternazione. Il tramite è la meditazione. E la meditazione è poesia. O non è. La meditazione è la poesia se potesse parlare. Meditando, pensi poetico. E ti arrendi.
Sta emergendo un concetto nuovo di poesia. Come di una meditazione a voce alta.
Sì, e ha reso parola quello che merita di essere parola espressa. In oma ho aperto gli occhi e ho capito che il suo testo lo avevo sognato.
Un’ammissione che sa di coraggio.
Sì. Soprattutto perché ritorna il concetto di tramite. L’autore è un tramite impersonale. Crediamo che dentro vi siano gli elementi dell’io, di un io, ma in realtà quello che mostra i confini e le definizioni dell’opera è il tramite che se ne fa carico. Fino all’annullamento di ogni ipotesi personalizzante.
E ti fregherà per tutta la vita?
Per quanto mi riguarda, mi ha già fregato. Perché ha acceso nuove tensioni. Quando ho iniziato a meditare, mi sono reso conto che non lo avevo mai fatto in quel modo. O che forse non lo avevo mai fatto e basta. Arrivi a un punto che non riesci più a farne a meno. La tenerezza assume la forma dello stupore continuo. Ti avvicina al verbo accorgerti nel senso più pieno. E lo fa soprattutto col verso rivolto dentro. Così puoi scoprirti meraviglioso e meschino, mostrandoti senza vergogna tanto le tue nobiltà quanto le tue miserie. E non ti giudica.
La tenerezza non attribuisce colpe. È così?
La tenerezza non è morale. Se lo fosse, sarebbe autoreferenziale.
Si preferisce provarla o suscitarla?
Se l’accetti, accetti pure che gli altri la provino per te. Rassomiglia alla pienezza amorosa. Devi provare a corrisponderlo.
E cosa si trova dentro quel luogo profondo in cui si guarda con quel coraggio?
Trovi di tutto. Pure quello che non ti piace. Pure lo sporco. E devi rispettarlo. Non ci si abbandona a una rimozione che scelga quello che è giusto e quello che è sbagliato. È tutto in una preziosa conservazione. Ti relazioni anche alla rabbia. Ti avvisa, ti dice che è lì, che potrà sempre agire e che lo ha fatto in passato. E per questo puoi tenerla a bada, ma non puoi evitare di rispettarla. Ogni inquietudine è un demone a cui relazionarsi. Ed evitare che se ne venga dominati. Capire quando è necessario starsene fermi, senza cedere a tentazioni. La tenerezza come resistenza all’azione. E questo l’ho percepito in una donna anziana che stava morendo. Così è nata oma, con la o minuscola perché quella persona era minuta, era una dimensione microscopica, ma al tempo stesso profondissima.
La vecchiaia non è già da sola una cosa minuscola?
Può darsi, perché forse invecchiando ti avvicini alla morte. In fondo la vita nella sua progressiva consumazione è un costante avvicinamento alla morte. E la meditazione fa anche questo. Ti insegna a morire.
Gianluca, sto pensando una cosa. Che titolo useresti per pubblicare questa conversazione?
“Tenerezza o niente”.
Mi è piaciuto e l’ho usato. E così siamo rimasti fregati in due.
Immagine di copertina di Nellide (2023)