“L’innocenza” di Hirokazu Kore-eda, alla ricerca dei mostri
Quando suo figlio Minato inizia a comportarsi in modo strano, la madre vedova Saori capisce che c’è qualcosa che non va. Dopo aver scoperto che c’è di mezzo l’insegnante di Minato e del suo amichetto Eri, la donna si precipita nella scuola esigendo di sapere cosa stia succedendo. Man mano che la vicenda si dipana attraverso gli occhi della madre, dell’insegnante e del bambino, la verità gradualmente emerge (sinossi).
Presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2023, con il titolo internazionale Monster, L’innocenza è il sedicesimo lungometraggio per il cinema di finzione del grande cineasta giapponese Hirokazu Kore-eda, che lavora di cesello su una raffinata e solidissima sceneggiatura di Yuji Sakamoto, giustamente premiata con la Palma d’oro. La scansione narrativa prevede una divisione in tre capitoli, della durata di circa quaranta minuti ciascuno, orchestrati secondo il punto di vista dei diversi personaggi: prima la vedova Saori (la sempre bravissima Sakura Andō), poi il professor Hori, e infine i piccoli Minato ed Eri (eccezionali i due giovanissimi protagonisti Soya Kurokawa e Yota Hiiragi). Ma, a differenza del modello verso il quale inevitabilmente la mente dello spettatore è portata a rivolgersi, cioè l’ineguagliabile Rashōmon di Akira Kurosawa, le tre narrazioni non risultano rigidamente giustapposte e antitetiche tra loro ma si mescolano e si completano, consentendo una progressiva messa a fuoco degli accadimenti, che nascondono un buon numero di sorprese. Non si tratta, in definitiva, di contrapporre tre differenti versioni di un fatto (un delitto, nel caso del capolavoro di Kurosawa) ma di mostrare come le medesime azioni assumano un significato diverso non appena emergono nuovi elementi che chiariscono il contesto in cui sono avvenute e gettano su di esse una nuova e diversa luce.
L’intelligenza e il merito dello script stanno proprio in questa capacità di rivelare gli eventi in maniera graduale mettendo, quasi plasticamente, lo spettatore a contatto con la complessità del reale e la difficoltà di decodificarlo se non si è pronti ad andare in profondità. “Chi è il mostro?” è la domanda che sentiamo continuamente ripetere durante lo svolgimento della pellicola (e, in questo senso, il titolo originale e quello internazionale suonano senz’altro più centrati ed esplicativi) in una continua ricerca di una vittima (il piccolo Eri, bullizzato ferocemente dai compagni e definito “mostro” persino da suo padre), di un colpevole (il professor Hori, costretto suo malgrado ad attribuirsi malefatte inesistenti), di un responsabile e dei suoi complici di una cattiveria che prende corpo tra le mura della scuola (la catatonica preside e i suoi omertosi assistenti: l’istituzione scolastica esce piuttosto malconcia al termine della storia).
Tuttavia, e qui sta la forza de L’innocenza, l’obiettivo di Kore-eda è solo in parte quello di compiere una requisitoria contro l’ipocrisia di un’istituzione (la scuola) e l’incapacità affettiva del contesto familiare (basti pensare al personaggio del padre di Eri, e alla costante presenza, nel film, di famiglie monogenitoriali): il regista giapponese sembra invece maggiormente preoccupato di dare pregnanza al singolo, alle sue debolezze e fragilità, agli improvvisi slanci vitali di cui anche il personaggio apparentemente più meschino è capace, come si vede nella splendida sequenza pre-finale della “lezione di musica” che la preside impartisce a Minato. Secondo Kore-eda, è quindi l’individuo a dare significato al contesto, e non viceversa. Il regista si dimostra bravissimo anche nella gestione della suspense, presente nella narrazione senza l’enfasi di un’opera come Confessions di Tetsuya Nakashima, con il quale non mancano punti di contatto, pur in una diversa declinazione del meccanismo della detection.
Incorniciato da un incendio e da un uragano, in cui i due elementi dell’acqua e del fuoco sembrano assumere una dimensione simbolica, quasi un contraltare della maniera sommessa e trattenuta in cui invece vengono espressi i sentimenti dei personaggi (compresa l’amicizia tra Minato ed Eri, assai simile a un sentimento amoroso), L’innocenza è l’ennesimo pregevole esito artistico di un autore che, senza rinunciare ai suoi temi prediletti (primo tra tutti, quello della famiglia), è sempre capace di ripresentarli in maniera originale, senza ripetersi ma, al contempo, rimanendo profondamente fedele a sé stesso. Il film segna anche l’ultima colonna sonora firmata dal maestro Ryūichi Sakamoto, cui la pellicola è dedicata, scomparso due mesi prima della presentazione ufficiale a Cannes, e costituisce l’unica collaborazione tra il musicista e Kore-eda. Ci mancherà.
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