A Fabio
Come vorrei che ci fosse abbastanza spazio per ricordarsi di tutto e di tutti. Ma non in massa, non in quel senso sommatorio e approssimativo che è il calcolo frequente di questo tempo. Ricordarsi di quello che se n’è stato a lungo in disparte a brillare dietro un angolo di buio, a fare da discrezione alla propria stessa riservatezza, vergognandosi di nascosto, trattenendo un sorriso di soddisfazione, a prova di imbarazzo.
Ci sono persone che su tutto questo hanno fondato un’esistenza. Sono esistiti diventando luogo sconosciuto, fissati sopra un punto senza desiderio di evidenza. E non è dipeso dalle arti e dai mestieri, né dalle vicende personali o dalle decisioni di una vita. Semplicemente, nella più prodigiosa e misteriosa delle alchimie, per causa di forma. Per essere così come sono. Pure Totò ammise di essere un timido, di sentirsi a disagio ogni volta che entrava in un luogo pubblico, di non voler essere osservato. Totò. E non è una questione di ipocrisia dell’ego. Tutto il contrario. Lo spazio si trasforma in un intorno asfissiante e opprimente. Dove solo la forza di esistere muta il luogo di vivere come qualcosa a cui saper mentire nella più genuina delle spontaneità.
Come vorrei che certe figure venissero esposte nel merito delle loro qualità, dei loro talenti e della loro alta e rara funzione. Invece che perdersi dentro i rumori di un caos che impone troppe parti per recitarne una che sia in grado di riconoscere l’autenticità delle cose. Come vorrei dire all’attenzione degli altri di fermarsi, di arrestarsi sul ciglio di quello spazio minuscolo e sconfinato. Per dire guardate, leggete qui dentro, prendetevi tutto il tempo che non vi farà perdere tempo. Come vorrei che non sia solo l’economia a dare spazio al luogo e luogo allo spazio. Come vorrei che chi ha saputo, chi ha potuto, ne possano essere felici e liberi contestatori.
Eppure, il non narrato, la formula contro la cattiva regola del non veduto-mai accaduto pare possibile. A fatica, nell’affanno sull’orlo dell’arrendevolezza, ma sembra esserci. Possederla e controllarla è in dote a pochi. C’è stato uno scrittore, e un artista, che ha saputo descriverla affiancandosi ai cristalli della sua esistenza. Si chiamava Fabio Lastrucci. Il suo talento e la sua umanità valevano una incalcolabile misura reciproca. Come quelli per i quali vale la pena sperare che ci sia un lassù.
(Immagine di copertina per generosa concessione del fratello Paolo)