‘Non si guarda alla vita solo con gli occhi’ – Il miracolo
di Fernando Gerardo Basile
-Che facciamo, andiamo da “Mitio” ?-
L’ennesimo dilemma di come riempire il sabato sera di contenuti possibilmente gradevoli al …palato: da “Mitio”, l’ultima risorsa.
“Mitio”, diminutivo di Emidio, ristoratore sopravvissuto al terremoto; nel senso che continuava imperterrito, nel dopo sisma, a esercitare l’arte della tavola che l’aveva visto improbabile interprete della cucina casereccia nella Locanda del sole, aperta qualche anno prima ai piedi dell’Abetino, poco fuori paese, a ridosso del torrente Arso. Improbabile perché spigoloso di carattere; non invece per i piatti proposti che, nel tempo, erano diventati piuttosto appetibili, malgrado li accompagnasse con del vino non sempre confacente. Michele, sommelier esigente,
ne rimaneva puntualmente deluso e puntualmente rimbrottava, per usare un eufemismo, insomma insultava l’oste per la proposta enologica “oscena”.
– Andiamo o non andiamo? – Mario era impaziente di addentare le solite due – quaglie?- che puntualmente ordinava. Forse temeva che nel frattempo potessero volare lontano nelle stoppie di Caperroni e Tortorino, e fingeva di ignorare che quegli esserini mezzo abbrustoliti che afferrava nel piatto non avevano mai tentato le ali non dico al favonio o alla bora, ma nemmeno allo spostamento d’aria dell’apertura del frigorifero. Ma a lui piacevano, gli ricordavano comunque i tempi andati, quando qualche pietra ai passeri l’aveva tirata anche lui, prima di perdere la vista definitivamente.
– Va bene, andiamo- acconsentì Donato, come al solito sollecito verso l’amico.
Non che fosse entusiasta della destinazione; anche per lui il vino era fondamentale, poco ma buono, e Mitio meritava di essere impiccato a una pianta di ceci per la pessima cantina del suo esercizio.
Ma per Mario!
E poi si trattava di fare piacevolmente notte tutti insieme!
Argomenti a volontà, chiacchiere a non finire!
Mario, conoscitore inesauribile della casistica amorosa altrui e orgoglioso della propria – solo lui sapeva dove l’avesse acquisita, la propria – prometteva ulteriori rivelazioni e particolari piccantissimi. Non ci aveva forse dettagliatamente descritto quello che era avvenuto tra Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre prima che il Padreterno li scacciasse con ignominia? Dalla notte in cui aveva iniziato con il racconto biblico, al riparo di un balcone, lungo un muro della piazza sferzata dalla pioggia, non la smetteva di ripercorrere, attraverso la storia, le vicende d’amore più famose, con riferimenti puntuali all’intero kamasutra, rivisitato dalla sua prorompente fantasia erotica. Ma già all’alba di quella notte piovosa, aveva assolto, lui, i nostri progenitori inconsapevoli, i due fornicatori innocenti: in fondo che avevano combinato? Si erano ritrovati, tanto per ripararsi alla meno peggio, sotto lo spuntone di una roccia, lì nell’Eden, durante un acquazzone, e Adamo, per non bagnarsi i glutei troppo esposti, spingi spingi si era incastrato in Eva invitante, accogliente e compiaciuta.
E per questo: fuori, cacciati?
No, no che non lo meritavano!
Comunque poco male, anzi, bene, che da allora la vita prese tutta un’altra piega; per loro e per noi tutti, altrimenti sapete che noia?
– Ma sì, andiamo- Ciccillo, anche lui, non vedeva l’ora di raggiungere la trattoria e di comunicarci le sue novità. Era stato a Napoli nel pomeriggio e aveva fatto acquisti, era sicuro di sorprenderci; come era successo qualche tempo prima, quando era ritornato con i paramenti di un santo napoletano spogliato di tutto e, indossatili, aveva incarnato Santo Niente nel più grande carnevale paesano di tutti i tempi.
Acconsentimmo anche io ed Ettore, e non ci fu più alcun indugio.
L’Arso tumultuava lungo il suo corso, ancora gonfio per le nevi disciolte sulle Cesine. Il freddo pungente, che ristagnava sotto i pioppi e le arcate del ponte, ci convinse ad accelerare il passo, così che entrammo nel locale quasi di corsa e di corsa Mitio ci servì del vino.
Vino? – Sì, è vino!- sentenziò Michele.
Finalmente vino, di quello buono: aglianico del Vulture, tutto per noi.
Incredibile ma vero, il ristoratore improbabile cominciava a prendere quota, anche nella stima di Michele e di Donato.
Tutti apprezzammo!
Mario ancora di più, innaffiando continuamente i bocconi volatili. Erano quaglie o che altro?
Solo in seguito ci accorgemmo di essere i soli clienti, rumorosi, seduti ai tavoli.
-Sono tempi duri, i soldi del terremoto sono finiti e la gente non spende facilmente, manco per una cena paesana.- Mitio le parole le bofonchiava, quasi si dovesse scusare del vuoto intorno, mentre continuava a servire cibo e vino al nostro tavolo.
I “migliatielli” al sugo, insaporiti con la giusta quantità di peperoncino, erano veramente buoni; l’aglianico, nelle bottiglie, scemava a vista d’occhi.
A orecchio, invece, il tono della conversazione si faceva più acuto.
-Ha ragione Mitio, l’economia paesana stenta! Se non fosse per le pensioni e gli stipendi degli impiegati e professori locali pure l’ufficio postale dovrebbe chiudere- parola di Ciccillo, che ne era direttore temporaneo.
-Perciò te ne vai a Napoli ogni giorno? Che diavolo hai comprato questa volta? l’ennesima stronzata?- Mario non era tenero su questo argomento. Troppe volte, impedito nella vista, aveva sentito da noi amici stupefatti la descrizione degli oggetti più strani tirati fuori da un sacco capiente che Ciccillo apriva nel salotto di casa come un Babbo Natale a tempo indeterminato.
-Questa volta ho fatto centro! Lo sapete che Angelo ci ha invitati a Foggia per il suo compleanno, che regalo gli facciamo? Che regalo facciamo al nostro amico conduttore di treni sulla tratta adriatica? Ci hai pensato tu, Mario, divoratore di presunte quaglie? O tu Donato? Forse voi, Michele, Ettore, Fernando? Crapuloni tutti! No! Ci ho pensato io, solo io. Mitio, spegni la luce.–La spegne o non la spegne, per me che cambia?-
-Stai zitto. Mario, stai zitto, e apprezzerai anche tu.-
Pure il ristoratore, incuriosito, dopo aver spento la luce si appressò, nell’attesa degli eventi.
E all’improvviso, stupiti, cominciammo a sentire lo sferragliare di una locomotiva tra e sotto i tavoli, le lucine accese nel buio, il fischio acuto intermittente e il fumo biancastro che si intravedeva appena: una diavoleria arrivata “calda calda” dalla Cina, scovata su di una bancarella ben fornita, alla Duchesca, dietro piazza Garibaldi!
-E mo’ chiedetemi cosa vado a fare a Napoli- Ciccillo gongolava, mentre tutti brindavamo alla locomotiva, Mario compreso.
-Per inciso, ad Angelo il regalo lo portammo tempo dopo, e chissà perché, subito decise che avrebbe lasciato appena possibile le ferrovie-
-Sì, d’accordo, hai avuto l’idea, ma sta di fatto che, in questa depressione economica, manco il treno, quello vero, sferraglia più sulla Avellino-Rocchetta Sant’Antonio. Giustino Fortunato si starà rivoltando nella tomba per lo sconforto!-
-Ha ragione Fernando, tanto sforzo del grande meridionalista di Rionero in Vulture per far arrivare la ferrovia nelle nostre zone e vedi come è andata a finire? E pensare che la prima volta che sono venuto qui a S.Andrea da Fragneto l’ho fatto proprio col treno, partendo da Benevento. È vero che ho dovuto quasi fare testamento, data la durata del viaggio, ma che bellezza l’Irpinia al rallentatore-
-Parli tu, Ettore, fuoruscito del Principato Ultra? E io che devo dire, che lungo questa ferrovia ho vissuto la mia infanzia collegiale, sbattuto per volere di mio zio, Don Attilio, da un convitto all’altro, tra le province di Avellino e di Salerno?- Michele, commosso, ripercorreva a memoria gallerie, ponti e rettilinei; e stazioni dai nomi esotici: Lapio, Luogosano, Lioni, Cairano.
– Cairano! Mario, ti ricordi quando facemmo il trenostop, a un merci, nella stazione di Calitri, per andare a Cairano dove giravano il film “ La donnaccia”?-
– Io ricordo solo quella grande femmina che era la protagonista, la Boschero. Che femmina! Si capiva dal profumo-
– Non ti smentisci mai! Volevo semplicemente ricordare quanto tempo impiegammo per arrivarci.-
Donato assentiva; anche lui aveva percorsa la tratta ferroviaria molte volte durante la sua carriera scolastica, a giornate intere.
-Un brindisi alla ferrovia! E non mi rompete più con la nostalgia! E poi chi l’ha detto che le cose debbano andare sempre male e per tutti? Mitio, porta il vino, così la vedo anche io la luce.-
Mario l’ottimista! Mario l’inossidabile! Mario l’inarrivabile!
-In effetti non ha tutti i torti, mica tutti i paesi del cratere sono in crisi. Il dopo terremoto ha portato anche benessere in alcune aree; per i motivi più diversi, ma l’ha portato.-
-Scusa Donato, ma a quali realtà ti riferisci?-
-Te lo dico subito, caro Ettore, mi riferisco a tutti i P.I.P. che sono stati approntati lungo i fondovalle dell’Ofanto e del Sele; bene o male qualcuno ci lavora, qualche prospettiva verrà pure a concretizzarsi.-
-Per la verità vivacchiano tutti alla meno peggio, ve l’ho detto che in ufficio entrano solo i soldi delle pensioni e gli stipendi degli statali. E non solo nel nostro paese, anche negli altri del circondario. ….Ma mo’ che ci penso: solo a Oliveto Citra cambia la musica, e non per il P.I.P. o il terremoto-
-E per quale causa?-
– Quale causa? Michele, mi chiedi per quale causa? Per il miracolo! per la fede! miscredente che non sei altro, tu e questi altri peccatori qui presenti-
-E ti pareva che non introducevi l’argomento fede! Ciccì, da quando frequenti le cene dei catecumeni e insegui il Papa in giro per il mondo con viaggi a basso costo, sprizzi fede da tutti i pori e vedi miracoli dappertutto. Mica ti riferisci a un miracolo come quello che hai fatto nella metropolitana di Parigi, quando ti sei esibito ballando alla tua maniera nei sottopassaggi e hai fatto soldi a palate?-
-Fernà’, quella è un’altra storia, gloriosa, ma altra. Su questa, invece, non scherzare! Mi riferisco al miracolo dell’apparizione della Madonna a Oliveto. È apparsa nella penombra di una stradina sotto il castello; l’hanno vista. Io ci credo. Ma soprattutto ci credono le migliaia di pellegrini che arrivano da tutta Italia per pregare. Poi devono pur mangiare qualche cosa, e bere, e….spendere. Insomma Oliveto ha l’economia più florida di tutta la zona, altro che aiuti post terremoto: miracolo e fede; fede e miracolo.-
Donato e Ettore seguivano la conversazione con attenzione crescente. Mario, pensieroso, allungava a tentoni e speranzoso la mano alla ricerca dell’ennesimo bicchiere che Michele gli riempiva puntualmente, e puntualmente, con premura gli parava davanti.
-Ciccì’, scusa, non per essere blasfemo e per spregiare la tua …..fede, ma lo sai che non ci vuole niente a combinare un miracolo del tutto simile?-
-Fernà’, non fare il solito presuntuoso, mò’ che vuoi dire che sai fare pure i miracoli? E che sei il Padreterno? o Berlusconi?-
– Chi, io? Ma per favore!-
Gli altri tacevano attenti. Mario aveva smesso di tracannare e si accendeva una cicca apparentemente distratto nell’operazione, ma tutto orecchi.
-E allora?-
-Vedi, tu sai che pratico la fotografia, che ho fatto migliaia di diapositive a case e chiese scampate al terremoto, e a statue di Santi e Madonne tra le macerie e i calcinacci della Chiesa Madre, della Congrega e di San Michele-
-Sì lo so, ma che c’entra questo con l’economia del nostro paese?-
– C’entra, c’entra! nelle penombre della sera te lo faccio apparire anche io un santo tra le foglie di questi pioppi qui davanti, magari l’Apostolo Andrea in persona, con croce e pesci a corredo; basta un proiettore di diapositive e…
– E io dico che l’ho visto, più miracolo di questo?- l’esclamazione di Mario, secca, perentoria, tuttavia improbabile nella sua fattibilità, ma perciò, appunto, miracolosa, giunse improvvisa a sostenere il progetto con la conferma della visione e l’aspettativa delle folle di fedeli che sarebbero arrivate da mezzo mondo a portare prosperità e benessere alla comunità.
Mario incredibilmente credibile! Mario testimone oculare di un miraculum! Mario miracolato!
Stravaccammo tutti, sotto il tavolo, dalle risate e di economia non parlammo più.
Cambiammo argomento: la storia passata e recente era piena di amori, Mario li conosceva tutti, in ogni minimo particolare.
All’alba eravamo ancora a Semiramide; Paolo e Francesca ancora non si erano baciati; Dante impaziente di Beatrice, ansimava nell’inferno della carne.
E Mitio? Lui, in un angolo, appoggiato a un tavolo, dormiva; forse sognava apparizioni di santi, anche fasulli, e l’arrivo, a pulmanate, di pellegrini danarosi e famelici da accogliere.