Gli orrori dei roghi estivi hanno tutti dei responsabili

Ogni estate, puntualmente, l’orrore. Il colonnello Kurtz sgrana i suoi occhi dentro le sue segrete. L’esclamazione non è più al cospetto della scoperta, ma nel silenzio abitudinario composto dalle solite frasi di circostanza e dal dolore di una natura che non vorrebbe avere più niente a che fare con l’altra natura, quella di un uomo che ogni istante di più si sente predone e consumatore di un ambiente che è l’unico luogo conosciuto in grado di fornirgli riparo, risorse e conoscenze.

Sulla rivista lo sdegno e la confessione rispetto alla tragedia annuale dei roghi estivi sono stati già affrontati in altre occasioni, così come tra gli editoriali se ne scovano alcuni che potrebbero rievocare i risvolti interiori ed esteriori di qualcosa che va ben oltre parole come problemi, cause e soluzioni (ne segnaliamo alcuni soltanto per fornire più elementi disponibili al Lettore: articolo sui roghi del Vesuvio nel 2017 ed editoriale su La naturalezza dei delitti umani).

Non passa un’estate che non registri la tristezza di dover assistere alla distruzione di luoghi che andrebbero protetti e curati come le madri fanno coi figli – del resto, pure la genitorialità attraversa la sua notte senza fine – e, invece, la natura distrutta, con le sue creature indifese e con le persone che rischiano di morire o altre che ne restano vittime, testimoniano l’incuria e il dolo, perché il dolo è pure figlio della colpa senza memoria e senza dovere di esperienza, di chi è responsabile di tutto questo. E basta con la retorica della colpevolezza generalizzata. Benché esista il dovere a chiamarsi tutti protettori della natura, ci sono persone più responsabili di altre.

Se ogni anno si ripetono sempre gli stessi accadimenti, è perché non si è stati in grado di imparare dagli anni precedenti. Adesso che la pandemia si manifesta pure per quello che avevamo sempre temuto, oltre alla pericolosità del virus, anche per lo sfruttamento politico e per l’ondata di ambiguità che lo accompagnano, adesso che il nemico invisibile fornisce nuove scuse, adesso che l’incapacità e l’opportunismo hanno una nuova maschera con cui coprirsi, è ancora più semplice che i drammi aumentino di dimensioni, che ancora più facilmente sfuggano alla percezione generale e alla necessità di provvedervi.

Il Covid non fa più vittime e non causa più danni di quello che la crisi ambientale fa da decine di anni. Le condizioni climatiche, largamente intese, valgono centinaia di pandemie. Causano ogni anno danni all’uomo e all’ambiente di gran lunga più distruttivi. L’emergenza sanitaria dell’habitat naturale presenta un quadro clinico davanti al quale il Covid impallidisce. Il virus è pericoloso, sì, per le ragioni che abbiamo imparato a conoscere, ma lo è anche nella misura in cui la sua presenza diventa anche coefficiente di quella funzione che oscura ben altre questioni di ben altre dimensioni. Il virus come riparo è un’occasione per i poteri politici e mediatici. Se prima della pandemia la questione climatica non godeva della giusta attenzione, adesso le sue urgenze sono ancora più a rischio. Niente avrebbe diritto a derubricarla. Tuttavia, ci sono dei responsabili. Sono responsabili a causa della loro imperizia, della loro insensibilità e, perché anche quella rinviene dall’autopsia di boschi e foreste, per la loro crudele malafede.

Chi sono? Restando in Italia, sono la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio e il Consiglio dei Ministri, il Ministro della transizione ecologica, che dovrebbe dimettersi insieme al Ministro della Salute. Sono responsabili i vertici degli Stati Maggiori delle forze armate, quelli della Protezione Civile, i Governatori delle regioni, gli assessorati a tutela dell’ambiente e della salute, così come il Ministro dell’Interno e tutti i più alti dirigenti di Pubblica Sicurezza. Sono responsabili i prefetti e i sindaci, i capi delle organizzazioni criminali e tutti quelli che, per via legale o illegale, serbano interessi e tornaconti affinché quell’orrore si ripresenti ogni anno. Sono responsabili i media, soprattutto quelli più influenti e potenti, soprattutto quelli più vicini agli organismi di potere, così come sono responsabili molti partiti politici.

Per non parlare di banche e sistemi di affari che mettono in collegamento meccanismi che privilegiano, per fare un esempio, la fabbricazione di costosissimi aerei da guerra mentre i Vigili del Fuoco, l’Aeronautica e altre forze di soccorso non dispongono di abbastanza velivoli per spegnere gli incendi, di uomini e di risorse per fronteggiare seriamente e rapidamente queste emergenze. E, molto probabilmente, l’elenco si allunga fino a oltrepassare i confini nazionali, tirandosi dentro molti altri governi di numerosi paesi e le strutture politiche internazionali che, d’intesa con quelle finanziarie, ignorano trattati e accordi firmati con una mano e archiviati con l’altra.

Mani comandate da organizzazioni dotate di apparati militari, l’indifferenza e la complicità di chi solo in apparenza si erge a funzione protettrice appiccano questi ed altri fuochi. Perché c’è un fuoco che brucia e uno che esonda, come l’acqua durante le esondazioni, o come ogni altra catastrofe che causa vittime e danni che potevano essere evitati.

Dietro l’orrore c’è un sistema di decisioni e di scelte ben preciso. Sì, non bisogna dimenticare che tutto questo chiama a sé responsabilità che investono anche chi crede gli sia indisponibile un qualche genere di strumento, ma quel sistema di morte e di devastazione ha i suoi attori, i suoi ruoli, le sue funzioni e i suoi poteri. La retorica della complessità delle cose, della generalizzazione e del “non è così semplice come sembra” è il loro passamontagna preferito. La civiltà della consumazione ha instaurato la dittatura del breve termine. ‘Il mondo dura la mia vita’ è il suo motto.

Immagine di copertina da Avvenire.it

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