“Cronache dal presepe” – La ballata della colpa di Roberto De Simone

Eppure a Napoli la nebbia cala molto di rado. Tuttavia, molto resta dimenticato. Se il Maestro Roberto De Simone vede riconosciuta la sua opera artistica nella musica e nel teatro, in particolare per le sue opere che più facilmente hanno trovato spazio nella circolazione mediatica e popolare (La gatta cenerentola, L’opera buffa del giovedì santo, o gli adattamenti de La cantata dei pastori) – resta, però, il timore che già da tempo anche quello inizi a fare fatica – la sua poesia di chansonnier non pare così restituita al giusto riconoscimento. La pronuncia del patrimonio artistico della Partenope contemporanea s’indebolisce pure nelle argomentazioni e nei ricordi, oltre che nella sua forma più povera di intenti, malanno civile che attenta pure alla possibilità di incoraggiare le nuove temperie.

Nel 1977 Roberto De Simone pubblica un album musicale intitolato Io Narciso Io. Dieci tracce divise tra il folk, accenni di rock e di country, in un incanto medievale che rievoca la chanson europea. Amore, temi civili, intimismi, politica, filosofia e letteratura sono i saggi accennati dentro un impianto di testi tra i quali, in occasione della rassegna “Cronache dal presepe”, ho voluto ripescare La ballata della colpa, una canzone che principia la sua poetica dalla genesi del peccato originale.

I versi della ballata rievocano l’antica pulsione dell’uomo di disfarsi delle proprie colpe assegnandole a qualcun altro. Come, per esempio, con la mela di Adamo ed Eva, incapaci, anche davanti a dio, di ammettere l’atto di disobbedienza per aver infranto il divieto sul frutto proibito. Adamo assegna ad Eva ed Eva rimette la sua colpa alla causa rappresentata dalla tentazione del serpente. Passando per la crocifissione di Cristo, divisa tra le remissione di Pilato e le accuse degli ebrei, per la caccia alle streghe, ree di rappresentare indiretti rinvii alla figura diabolica, De Simone non risparmia al suo io contro io (forse anche per questo Io narciso Io) l’ambiguità di volersi rifugiare presso ripari civili e religiosi, anche politici, che detengono il potere di convincere gli uomini su come distinguere torti e ragioni. “Non mi brucio io, dalla parte mia c’è dio”, scrive il maestro napoletano.

L’umanità in preda alla vanitas descritta da De Simone non riesce ad affrancarsi dalla sua peggiore schiavitù. Quella che scaraventa la coscienza dell’uomo nel baratro della menzogna e dell’uso continuo di ogni sovrastruttura che ne alimenti la funzione di purificazione individuale e collettiva. E dentro questo meccanismo fallisce tutto, anche le conquiste politiche e le rivoluzioni.

“Chi è più ricco di accusa è degno ed è logico che paghi il pegno, ma quel pegno non è una cambiale con il timbro del bene e del male”. Il ciclo descritto da Roberto De Simone è il vizio perpetuo della debolezza umana. Il rapido e intenso viaggio nel tempo, che nella ballata del musicista si trasforma in un grande impianto allegorico, raggiunge il massimo grado di sofferenza fino a quando l’io contro l’io di De Simone fonde il suo conflitto nell’epilogo tipico che questa teoria della colpa prevede come regola assoluta. “Un due tre, il gioco questo è. Ora va in prigione chi cantò questa canzone. Un due tre, ma c’è chi fa la spia e va dicendo in giro che la colpa è tutta mia”, segnando, con l’ultima strofa, il peso del capro espiatorio che quasi sempre si rivela in chi cerca di dire la verità.

Io narciso Io è un’opera musicale che, come altre produzioni di De Simone, non ha goduto della giusta attenzione. Un autore che troppo spesso ricorre per ragioni tradizionali, nel grande rituale delle occasioni fissate dal calendario – il Natale, per esempio – ma, come negli anni settanta la musica nazionale assisteva a creazioni capaci di accogliere le influenze della chanson, allo stesso modo la grande opera di De Simone si arricchiva anche di questo esperimento, non tra i più noti, ma non per questo meno importante. Da Il gioco del cavallo a dondolo a Dies irae, Io Narciso Io è un’incisione poetica e musicale che nel tema della nascita, o meglio, della rinascita, meriterebbe di essere recuperato e riproposto.

Se nell’immaginario napoletano natalizio De Simone è una voce spesso presente, non può rischiare di finire nel dimenticatoio lo sforzo di chi ha voluto lasciare una testimonianza letteraria su uno degli angoli più bui, remoti e inconfessabili dell’animo umano. Non bisogna dimenticare che la canzone, quando è tale, ha qualcosa da dire. In questo tempo è un monito di cui, forse, potremmo avere tutti bisogno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!