“Acquarelli per Dino Buzzati”, a cura di Rivista Milena una serie di prose dedicate allo scrittore bellunese
Come riportato dall’introduzione biografica dell’edizione Mondadori dei suoi Sessanta racconti, nel Viaggio agli inferi del secolo Dino Buzzati esclama: “i critici, si sa, una volta che hanno messo un artista in una casella, ce ne vuole per fargli cambiare parere”. In un elzeviro del 31 marzo 1965 scrive: “Da quando ho cominciato a scrivere, Kafka è stato la mia croce. Non c’è stato mio racconto, romanzo, commedia dove qualcuno non ravvisasse somiglianze, derivazioni o addirittura sfrontati plagi a spese delle scrittore boemo. Alcuni critici denunciavano colpevoli analogie anche quando spedivo un telegramma o compilavo un modulo Vanoni.” (Il modulo Vanoni, che prendeva il nome dal promotore di una legge, era quello utile per una denuncia dei redditi di quegli anni).
Più Buzzati tentava di fornire delucidazioni sulle sue opere, più la critica non perdeva occasione per ricondurle a ipotetiche imitazioni, più l’autore bellunese pubblicava interventi rivolti a chiarire le intenzioni dei suoi scritti, più era costretto a verificarsi ridimensionato in letture superficiali e interpretazioni di comodo. Dentro di lui, però, la resistenza a una collocazione subordinata delle opere votate a una maggiore valenza introspettiva e a una ribelle indipendenza dalle imposizioni realistiche, nonostante il successo di un romanzo come il Deserto dei tartari, gli consentiva di opporsi a ogni dirottamento rivolto a collocarlo presso chissà quali appartenenze di genere. La divisione categorica e brutale della critica con Dino Buzzati ha in parte fallito. I teorici dei sottogruppi hanno dovuto lasciarlo in pace. Come lui stesso, in vita e attraverso le sue opere tutt’oggi non ancora del tutto vagliate con la dovuta chiarezza, aveva fortemente desiderato.
La scrittura di Buzzati (parliamo di un autore che, per fare un esempio, con il suo Poema e fumetti è stato tra i precursori della graphic novel), di conseguenza, la voce del suo pensiero, in tutti i sensi, ha percorso il romanzo e i racconti, ha calcato i palcoscenici del teatro, ha disegnato e ha dipinto, ha fatto esperienza di redazioni e di incrociatori, ha affrontato la guerra e la pace, formandosi tra Dostoevskij e l’Egitto, prendendo il largo e riservandosi quieti e silenziosi ritiri, amando la montagna e sperimentando il mare. La sua tensione esistenziale, vissuta nella metafora della selva fanciullesca fino al rifiuto morale della “pianura vile” dell’età adulta, non lo ha comunque allontanato da quel senso acuto e inquieto del reale per cui le sue sortite di cronaca – e non sono state poche – hanno esorcizzato i “mostri della normalità”.
Rivista Milena pubblicherà, in quattro uscite, una serie di prose scritte da Fabio Lastrucci in omaggio a Buzzati e in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, che cadrà il 28 gennaio. La nota introduttiva dell’autore chiarisce le intenzioni di questa microrassegna intitolata “Acquarelli per Dino Buzzati”. Uno sguardo sull’opera letteraria di Buzzati nel quarantacinquesimo anniversario della scomparsa, attraverso una sequenza di brevi flash dai colori tenui. Nessun contributo critico, analisi, nessuna intenzione filologica. Gli anni notturni presso il Corriere, le inquietudini esistenziali, le attese, l’amore per le montagne, tante cartoline acquerellate a mano spedite dall’ufficio nascosto dei suoi mondi interiori. (Fabio Lastrucci)
Nel racconto La canzone di guerra, in cui il re e i generali si interrogano su cosa stiano cantando i soldati, Dino Buzzati, poco a poco, attraverso i clamori dei trionfi degli eserciti, rivela che quella canzone non è altro che il rito funebre a cui quegli stessi re e generali sono sordi e indifferenti, mentre, al ritmo di quel canto, in numero imprecisato i soldati vanno incontro alla morte e “monotone foreste di croci”, così le definisce Buzzati, fanno da ombra sconfinata alle vittorie e alle conquiste per cui quella canzone pare così inadeguata. Questa è la sensibilità di quelli come Dino Buzzati. “Inadeguati” anch’essi.