Al teatro Elicantropo ‘Le Troiane’ di Cerciello annunciano la dignità
Le spoglie di un infante aleggiano invisibili tra la sabbia, una lanterna e il vestitino di un bambino. Un nascituro mai nato è l’attesa che l’umanità intera trovi la forza di voltarsi per restituire al passato un futuro mai più brutale e al presente un avvenire mutato nell’animo e nelle intenzioni rispetto a quel passato.
“[…] il desiderio irragionevole di tornare indietro o invece di affrettare il cammino del tempo, queste due ardenti frecce della memoria.”
Albert Camus, La peste
Una manovra del tempo in cui a perire non sia più la pietas. In cui, in fondo, a restare sconfitta sia la morte stessa intesa come inflizione. Respingere l’intendimento mortale. Far sì che mai più l’uomo rassomigli ai padri anche da sepolto, come Andromaca ammonisce piangendo la morte imminente di Astianatte, condannato dai greci per il timore che, una volta adulto, possa vendicarsi dell’uccisione del padre e della distruzione del suo popolo.
Presso l’Anonima Romanzi Teatro Elicantropo di Napoli è in scena (fino al 4 febbraio) Le Troiane di Euripide, su adattamento di Sartre e Giraudoux e da una riscrittura di Seneca. L’impianto drammaturgico diretto da Carlo Cerciello si avvale di elementi tratti anche da Elena ed Ecuba di Euripide. In dedica al popolo palestinese.
Quando si accede al foyer del teatro sopra l’ingresso che conduce in sala è visibile una proiezione di video relativi alle violenze che si stanno consumando in Medio Oriente. La visione è accompagnata da un testo poetico dal titolo Il valore di una vita. Un esergo, quello “alle porte” di una scena allestita con un profondo carico allegorico (costumi a cura di Antonella Mancuso, scenografia di Andrea Iacopino, luci di Angela Grimaldi e musiche di Paolo Coletta), che dichiara apertamente le intenzioni di una rappresentazione che, come più volte ribadito da Cerciello, contempla il teatro come funzione civile e di profonda sensibilità e non di puro intrattenimento.
Un neonato, apparentemente ignaro, è a guardia di una veglia perpetua mentre alle sue spalle si perpetra la relazione tra l’afflizione e il potere. Un automatismo vocale comanda a distanza la dominazione delle future schiave, come una divinità senza forma e senza nome muove i destini degli uomini priva di ogni senso di comprensione e compassione. Una tecnocrazia spietata prescrive e impone uno statuto della vita e della morte fondato sulla schiavitù. L’editto postbellico annuncia le quote del bottino di guerra. Successivamente a un dialogo a distanza di diplomazia militare tra Atena e Poseidone, la dominazione greca istruisce Andromaca (Serena Mazzei), Cassandra (Mariachiara Falcone), Ecuba (Imma Villa) ed Elena (Cecilia Lupoli) alle destinazioni previste per le reduci illustri della sconfitta di Troia.
La disposizione delle figure in scena distingue le tre troiane da quella di Elena, dimensionata in una versione glamour che ne rievoca la vanità intesa come emblema delle ragioni del potere. Elena si rivela luogo ambiguo degli inganni delle divinità che ne hanno sfruttato la bellezza per condurne un simulacro, così come descritto nell’Elena di Euripide, nel letto di Paride illudendolo di essere amato dalla donna che verrà considerata come la ragione della guerra di Troia. Il meccanismo-scandalo di Elena-fantasma (in ossequio al significato greco di σκάνδαλον, skàndalon, che vuol dire inciampo, ostacolo) rende l’amata da Paride la tensione nodale tra i risentimenti di Atene, Sparta, Troia e delle stesse troiane, Ecuba su tutte, che la considerano la causa dei mali della loro patria. Secondo Cerciello, come da lui stesso sottolineato, Elena diventa la metafora della manomissione della verità, la “fake new” che è causa delle guerre e dell’odio tra le nazioni. Il potere mediale è il demone che semina tra gli uomini i più velenosi fraintendimenti, in nome di una conservazione dell’egemonia che è brutale e sommaria.
I quattro personaggi femminili interagiscono in un sistema conflittuale per cui la detenzione della colpa supera la violenza dell’invasore, fino a una struggente devozione allo stesso destino che le ridurrà schiave. Ecuba rimprovera Cassandra di non prendersene gioco, Andromaca sprigiona la sua disperazione fino a implorare i greci di eseguire la loro tremenda sentenza poiché la morte superi in efficacia la vita, Cassandra predice in solitudine un futuro sanzionatorio per i carnefici senza però convincere le intenzioni remissive e arrendevoli di Ecuba, mentre Elena si congeda dopo un aspro confronto, al limite di un vero e proprio processo alla sua esistenza, con Ecuba che la licenzia all’abbandono a un ignoto destino.
La struttura scenica de Le Troiane di Cerciello (aiuto regia di Aniello Mallardo) rappresenta una traslazione dell’antichità ai giorni nostri in estensione della logica cinica e inarrestabile dell’azione militare a disposizione di quella politica. Il 415 a.C. coincide con il 2024 d.C. per un moto del progresso a muovere cambiamenti che fanno da intorno alla stessa immutabile legge dell’umanità che ne qualifica un’accezione che andrebbe considerata in una misura più ampia. Dell’umanità fa parte anche la sua disposizione violenta. Le sue regolazioni confliggono o si accordano coi suoi opposti. Ed ecco che l’epilogo della rappresentazione riuscirà a custodire l’unico elemento prezioso che è reduce innocente dalla guerra e dalla distruzione. La dignità della sensibilità, l’interno umano violabile e inaccessibile al tempo stesso, in grado di elevarsi a valore indisponibile al potere politico. Cifrabile in un messaggio composto da una lingua così potente che pure un sussurro basterebbe ad ascenderlo sopra ogni smania di dominio.
Immagine di copertina da napolipost.com