Acquarelli per Dino Buzzati – “Le sciarade qualche volta passeggiano”
Le sciarade qualche volta passeggiano
Dalla finestra dello scrittore si scorge un singolare paesaggio, fantastico solo in parte, vero quel tanto che basta. Tra i suoi vialetti cosparsi di ghiaia e riflessioni, la luce lunare (che è ambigua e ingannevole) tinge di ombre gli anfratti dei muri e il terreno umido. Un suono di arcaici flauti di Pan nasce dal mistero notturno e fa arretrare l’orizzonte spostandone il limite più lontano. In quel giardino del pensiero, l’affacciarsi della Luna piena rende stentati gli sforzi del lume sul tavolo da lavoro, oltre che quelli della ragione. Sveglio sotto il cielo in compagnia delle sue perplessità di uomo, il signor Buzzati interroga solitario le stelle. Loro lo sovrastano con la stessa grazia siderale di sempre, luci di scena di un teatro dai canovacci illeggibili, e il vuoto pare riempirsi di una ridda di enigmatici messaggi.
L’istinto del cronista ne avverte la presenza, ma è lo spirito di mago in lui a trasformarli in stregonesche fantasie, basta che allunghi la mano nell’ignoto per poter afferrare le code di quei segnali fuori dall’ordinario. La realtà “normale” si sfilaccia davanti agli occhi, mettendo a nudo l’ordito confuso di un tessitore eccentrico, o peggio ancora distratto. Chiunque ne tacerebbe la vista, il signor Buzzati, invece, che coi misteri ci va a braccetto, riporta storie da sfinge metropolitana, di quelle che risposte non ne offrono affatto. Ecco che aguzza un orecchio nella conformità della quiete condominiale e ci invita ad ascoltare il suono di “una goccia” che sale distintamente i gradini della scala.
Assurda, inesorabile, la goccia si presenta e fa il suo numero di magia. Niente di troppo eclatante, eppure al quel passaggio nessuno dei condomini riesce più a dormire. Sfumano i sogni, sfuma l’oblio del riposo, la goccia sale su senza una plausibile ragione, insinuandosi nei gusci sigillati dagli appartamenti.
Non c’è più modo di fingere, di nasconderla, quella “cosa” c’è, si sente dappertutto. Gli inquilini fanno ipotesi, s’intestardiscono a discutere, a cercare spiegazioni, ma, come dice Buzzati “non è uno scherzo, non ci sono doppi sensi, trattasi ahimè proprio di acqua, a quanto è dato presumere, che di notte viene su per le scale. Tic, tic, misteriosamente, di gradino in gradino. E perciò si ha paura.”
Il mondo sembra meno misurabile e l’uomo meno un compasso. Dopo tanto tempo, lo scrittore si chiede ancora, come da bambino “chi è che passa nel corridoio di notte, Sono i topi o è il vecchio nonno morto in peccato mortale?” Il sospetto che l’immaginazione non sia altro che una sorella illegittima della realtà fa rabbrividire. Sensibile, l’udito scorre in rassegna il respiro cittadino muovendosi tra i palazzi, le antenne, le saracinesche chiuse e passa la parola ai rumori ancestrali che abitano la mente. Da sotto le fondamenta e più in basso ancora, salgono gli echi smorzati dei cunicoli che tarmano la terra. I segreti che vi si annidano vanno in giro felpati e senza preavviso piombano nell’ordine consueto delle cose, lo scrittore non li perde di vista, quando spalancano in uno stabile quegli occhi indagatori che sembravano finestre, o rendono incantata e fatale una giacca su misura.
L’indecifrabile è appostato dietro la porta di casa. Nascosto. Ne sentiamo il respiro trattenuto mentre cerchiamo un lume perso chissà dove nel buio, mentre accendiamo fiammiferi effimeri come tanti piccoli esorcismi.
Materiali e riferimenti bibliografici:
La goccia – racconto, ne La boutique del mistero, Mondadori, 1968