Valentino Petrosino e la sua fotografia: “Ho iniziato a scattare per caso”
di Davide Speranza
Era il 2017 quando usciva il programma targato Rai5, Ghost Town, dove l’attore e fotografo Sandro Giordano andava “in recupero” dei borghi fantasma di un’Italia dimenticata. Paesi terremotati, abbandonati per miseria o altri eventi, che però conservano vivi i punti nodali della storia. Il giovane fotografo salernitano Valentino Petrosino da alcuni anni cerca di tracciare un percorso simile, attraverso il mezzo fotografico. Petrosino cancella l’idea di una memoria imbalsamata e popolata da spiriti passivi, per imboccare la strada di una narrazione ancora viva, attuale, pulsante. Armato di macchina fotografica ha fatto visita ai paesi della Campania, Molise, Basilicata. Ne è nata una mostra a Pozzuoli all’interno della rassegna di fotografia FOTO Arte Garage VII Edizione coordinata da Gianni Biccari. L’esposizione, dal titolo Era quello il tempo, si accompagna anche al libro che vede coautore Antonio D’Amico (suoi sono i testi narrativi). Scrive nella prefazione Noemi Manna: «Due modi diversi di immortalare il mondo. Uno attraverso le parole, la scrittura, l’altro attraverso l’immagine, la fotografia… qui la fotografia in particolare cattura quell’attimo fuggente mai più ripetibile attraverso il quale il mondo ci appare sotto una lente di ingrandimento e il suo significato diventa, improvvisamente, più intenso». Era quello il tempo nasce da lontano, dalle suggestioni sollecitate all’interno del laboratorio fotografico diretto da Antonio Biasiucci, svolto nel 2019 e inserito all’interno di un progetto più ampio dal titolo Open HeArt.
«Un progetto a lungo termine – racconta Petrosino – L’intento era quello di realizzare una documentazione che avesse come tema i paesi abbandonati, i borghi dimenticati, a me molto caro. Quindi decisi di fare un salto in questi territori, una semplice documentazione delle strutture abbandonate. Ho iniziato a scattare anni fa e non so quando finirò. Con lo scoppiare del covid, mi sono fermato. Accadde di essere selezionato per un laboratorio fotografico coordinato da Antonio Biasucci, un insieme di 4 lab, su fotografia, installazione, video e grafica. Io mi presentai a quello fotografico con Antonio, al quale devo tanto. L’idea con lui è cresciuta. Ho deciso di realizzare questo lavoro, entrando nelle strutture abbandonate. Gironzolavo negli edifici diroccati e fotografavo. Non è stato facile, quando ti ritrovi in questi borghi sei avvolto dal fascino e inizi a fotografare di tutto. È stato anche un lavoro di esemplificazione e scrematura, non solo da un punto di vista grafico ma anche visivo. Ci sono tornato più volte, ogni volta era uno sguardo diverso. Dunque il lavoro da documentazione iniziale si è trasformato in un canto alla memoria, un lavoro concettuale, con una piccola sfaccettatura di denuncia. Si preferisce sempre costruire paesi nuovi e abbandonare quelli vecchi che fondamentalmente sono molto più belli. Ad esempio Apice. Tutti questi luoghi e posti che ho immortalato urlano al tradimento».
Dopo qualche mese, Petrosino decise di contattare l’autore teatrale Antonio D’Amico proponendogli di realizzare racconti da abbinare alle 14 foto del progetto. È nato così anche il volume pubblicato nel 2021 (edito dalla Casa Editrice Il Saggio, di Giuseppe Barra). Protagonista del libro è il signor M, che si ritrova nel suo paese dove ha vissuto in gioventù, e che adesso racconta i luoghi di un tempo che fu. Racconti e ricordi rigurgitati dagli edifici. «Sono i ricordi della nostra giovinezza – aggiunge Valentino Petrosino – i ricordi che possono essere di tutti. Il nome M può indicare chiunque di noi. Questo è un viaggio introspettivo. Attraverso i borghi fantasma parte il concetto della memoria e della sua rivalutazione. In realtà lo stesso termine “fantasma” non mi piace. In questi paesi si respira la vita attraverso gli oggetti, le pareti scardinate e frantumate. Non ci sono fantasmi. Per me lì c’è la vita. La memoria è vita. Quella vita urla».
I luoghi fotografati e protagonisti della mostra sono Apice (in provincia di Benevento), Rocchetta e Croce (in provincia di Caserta), Sorbo (frazione di Montecorvino Pugliano), Senerchia (in provincia di Avellino). L’occhio di Petrosino non dà solo una visione estetica e affabulatoria degli immaginari geografici fissati nell’obbiettivo. «I problemi sono due – tiene a precisare il fotografo, fondatore tra l’altro dell’Associazione Culturale LAB 147 – il primo è la speculazione, e poi l’ignoranza culturale. Oggi insiste il desiderio di cancellare la memoria e ripartire da qualcosa di nuovo che secondo noi ci porta al futuro, ma questo percorso non va. Il passato ovviamente non rimanda sempre a cose belle. Ma attraverso esso possiamo crescere. Con Era quello il tempo, io e Antonio abbiamo ristabilito questa magia ed estrapolato gli elementi e le sfaccettature positive del nostro passato».
Un amore per la fotografia nato a 10 anni, nel 2001, grazie all’analogica di suo padre. Il gioco, poi, è diventato altro. «Mia madre è greca, ogni anno andavo in vacanza in Grecia – spiega Petrosino – Ho iniziato a scattare per caso, non solo in vacanza ma anche qui dove vivo, a Baronissi. Spesso rubavo la macchina fotografica di papà e scattavo per pura voglia di premere quel bottoncino. Poi tutto questo mi ha appassionato, ho iniziato a studiare. A me piace vivere di ricordi, è stato sempre così. Anche per questo è nata la mostra con il suo titolo così particolare. A me piace ricordare e attraverso la fotografia questa cosa emerge fortemente».